Nel rileggere stralci di Senior Service, il più delle volte mi soffermo su frammenti di poche righe, attratto da ricordi, citazioni di documenti o interviste conclusive, come il pezzo in cui Alberto Franceschini conia l’aggettivo che più rappresenta il Giangiacomo Feltrinelli produttore di cultura, pur descrivendo il Feltrinelli rivoluzionario: “contestuale, ora o mai più”. Mi hanno sempre colpito anche le parole del mogul Carlo Ponti, che dalla sua villa losangelina lo ricorda così disinteressato al mondo del cinema da mortificare i vertici della Metro Goldwin Mayer “bucando” l’anteprima americana del Dottor Zivago, perché “lui se ne fregava, se ne fregava di tutto, gli interessavano solo i soldi”.
Contestualizzando la boutade al difficile rapporto personale tra i due, rimane comunque l’impressione che l’editore milanese tenesse una certa snobistica distanza col mondo del cinema, che la carenza di informazioni e di ricerca su questo argomento sembra confermare. Come su molte altre questioni riguardanti la vita e l’opera di Feltrinelli, questo mancato approfondimento analitico evidenzia e ci ricorda come occorra ancora demistificare prima di storicizzare.
Recentemente ho lavorato a un progetto di ricerca su Alberto Mortara*, economista e produttore di film d’arte. Tra i fondatori di Giustizia e Libertà, cugino dei Rosselli, cresciuto coi BBPR, partigiano, promulgatore di un socialismo liberale e grande europeista, Mortara non è un uomo d’azione, ma con la sua piccola Romor Film diventa uno dei più importanti produttori italiani di film d’arte, collaboratore di Carlo Ludovico Ragghianti e Adriano Olivetti. Siamo agli inizi degli anni ’50, e Feltrinelli sta lavorando al suo grande progetto. Legge l’inglese, il francese, lo spagnolo, il portoghese ma anche il tedesco, lingua di famiglia che ha perfezionato grazie alle lezioni di una giovane ebrea viennese, Alice Feldstein, futura moglie di Mortara.
Questo sconosciuto dettaglio, apparentemente innocuo, innesca una catena di eventi che risulta fondamentale. Sappiamo che nel primo quinquennio dei ‘50 Feltrinelli è concentrato essenzialmente sulla biblioteca, sul tenere un profilo politico nell’orbita del partito e sul produrre libri; quel che non sapevamo è che tra il 1953 e il 1954 decide di aprire una casa di produzione cinematografica. Si chiama Pegaso Film-Telecinema S.p.a. e nasce con lo scopo di agire in controtendenza rispetto al mecenatismo cinematografico autoriale, con l’intento di esplorare il mercato internazionale del cinema e della TV. Per l’Italia, l’idea è avanti sui tempi.
I suoi compagni di strada sono, tra gli altri, l’ex gerarca e direttore del LUCE Augusto Fantechi e il cugino avvocato Filippo Carpi de’ Resmini, intimo amico e suo uomo a Roma. La Pegaso inizia coraggiosamente producendo due cortometraggi per il mercato della TV americana, e mentre lavora alla pre-produzione di un lungo di Comencini si getta in un progetto di melodramma internazionale come Angela, femme ou demon, scritto, diretto e interpretato dalla star hollywoodiana Dennis O’Keefee, commercialmente appetibile ma dai dubbi risultati estetici. Siamo nel 1955 e nonostante il successo della sua eccellente serie Selearte Cinematografica, Alberto Mortara ha l’ambizione di fondere la sua idea di politica economica in un’impresa culturale. Gli servono capitali, così fa circolare tra alcuni amici il memorandum per un progetto di una casa di produzione e distribuzione di film. Quando nella primavera del 1956 Mortara incontra Feltrinelli a Milano, la casa editrice è ben avviata nei primi uffici di via Fatebenefratelli e la Pegaso Film ha circa 200 milioni di perdite. Con l’aiuto di Carpi, i due elaborano l’idea di una società che, oltre a produrre e distribuire, sostenga con prestiti produzioni italiane e coproduzioni internazionali. Con la volontà di rendere il mercato italiano più dinamico e competitivo vogliono occuparsi anche di diritti, opzioni, distribuzione dei titoli, fornendo anticipi per l’acquisto degli stessi. Tra giugno e luglio il progetto prende forma e durante l’ultima assemblea della Pegaso nasce la Compagnia Finanziaria di Produzione e Distribuzione Cinematografica (CFC), di cui faranno parte l’affarista e dirigente sportivo Giuseppe Pasquale e la Romor di Mortara, mentre il restante 40% viene coperto da Feltrinelli come azionista individuale. In pochi anni l’impresa diventerà una tra le più fiorenti, influenti e solide società di finanziamento, capace di fornire supporti a grandi gruppi come Lombardo (e lo stesso Ponti), e fungere da sostegno strategico per le produzioni in attesa o impossibilitate a ricevere fondi statali, distribuendo cataloghi che spaziano dalla prima nouvelle vague francese agli amori di Ercole, dagli USA alla Germania attraverso la controllata INTERFILM. La CFC gestisce anche, fra le centinaia di produzioni, molti dei diritti cinematografici di romanzi e racconti della casa editrice, compresi i diritti di trasposizione di Pasternak per David Lean, e il Testori e Tomasi di Lampedusa per Visconti.
Questa impresa aggiunge un tassello fondamentale alla storia dell’editoria e del cinema italiano e potrebbe consentire di rileggere il lavoro editoriale di Feltrinelli rispetto a quel che in seguito sarebbe diventato, legando questo episodio a una strategia culturale più ampia.
In una prospettiva di ecologia mediale, inoltre, si comprendono meglio le radici della sua pratica editoriale, generatrice di ambienti e narrazioni realmente in grado di influire sull’esperienza individuale e sociale: perché non solo all’inizio della sua carriera Feltrinelli si è in prima persona impegnato in progetti di arte popolare, senza tralasciare il cinema di narrazione e di genere, ma ha anche intuitivamente creato una convergenza di questa piattaforma con il crescente catalogo narrativo della casa editrice, sessant’anni prima di LaF. Qualcosa che forse solo la sua morte ha impedito di trasformarsi nelle basi per una moderna media company, che dalla pianificazione editoriale allo sfruttamento dei diritti d’autore portasse le storie Fedit sul grande e piccolo schermo, centuplicando il pubblico potenziale.
Ci si può mettere decenni a far sedimentare un’eredità culturale, pochi secondi a distruggerla. La figura di Feltrinelli, intanto, continua a sembrare a uso esclusivo delle generazioni che per prime ne hanno sfruttato il lavoro e l’influenza, condannandolo a rimanere prigioniero degli stessi paradigmi culturali che l’hanno ucciso. Perché diventi finalmente una questione pubblica, insieme al necessario processo di storicizzazione servirebbe un radicale ripensamento delle modalità con cui ci si è approcciati alla sua eredità e delle intensità a volte mistificanti con cui è presentata la sua storia. Se è prevedibile che le forme editoriali chiuse avranno un impatto quasi nullo sulle nuove generazioni, è quindi augurabile un superamento rizomatico di quella bidimensionalità. Occorre spostarsi su un terreno nuovo, considerare una piattaforma che raccolga principi di piacere e di realtà, rilanci, imprevedibilità, catene di pensieri e ricordi generativi, qualcosa di “contestuale” e persino contraddittorio, ovvero molto più simile a come il Feltrinelli imprenditore immaginava le sue librerie: tutto ciò che un libro non può contenere.
*Il lavoro di ricerca è stato commissionato dalla Fondazione AEM.