Q Code Mag è un’operazione collettiva nata nel 2013 dalle riflessioni condivise di un gruppo di giornalisti abituati a camminare le storie che raccontavano. Il principio del reportage, per noi, è sempre stata una pratica ineludibile per il racconto di realtà. Sempre più, però, dal 2011 in poi, lo sguardo del reporter si confrontava con un mondo che cambiava e di quei cambiamenti volevamo essere rispettosi e allo stesso tempo parte in causa.
Abbiamo iniziato a interrogarci su un contenitore che fosse capace di essere nel suo tempo e le caratteristiche che abbiamo individuato all’epoca, oggi che siamo diventati un gruppo di oltre 400 contributors, restano per noi salde.
L’auto racconto, prima di tutto. L’irruzione dei social network ha sconvolto per sempre un principio del giornalismo che raccontava il mondo, quello dell’oggettivazione dello spazio narrativo. Per quanto armati delle migliori intenzioni del mondo, il racconto non riesce a emanciparsi completamente da una serie di strutture e di sovra strutture che fanno parte del portato culturale di ogni inviato. Intere parti del mondo, da dieci anni a questa parte, hanno reclamato il diritto a raccontare la loro storia e non solo a essere raccontati. L’oggetto del racconto diventa soggetto e utilizza i social network per far conoscere al mondo il proprio punto di vista. Questo non significa affatto che il reportage perde di senso, ma deve necessariamente confrontarsi con un mondo che cambia. Se da un lato il lavoro di fact-checking diventa sempre più importante, rispetto al materiale che inonda la rete, dall’altro lato è sempre più importante l’elevata specializzazione nei settori di mondo che si raccontano. L’inviato, oggi più che mai, deve avere uno sguardo competente, de-colonizzato, non orientalista, capace di interagire il racconto e l’auto racconto, usando il metro che indica la distanza tra il personale e il collettivo.
Abbiamo iniziato a chiamare tutto questo ‘geopoetica‘, forse perché la gran parte di noi viene da anni e anni di racconti con le lenti della geopolitica. Che non basta più. Per anni il canone del macro per spiegare il micro è stato centrale, per quanto insufficiente. Oggi, più che mai, i cambiamenti del racconto e degli strumenti a disposizione per lo stesso ci interrogano sul ‘centro’ delle storie. E mai come oggi, sono le persone, le storie, che devono stare al centro. Per noi la geopoetica è un racconto capace di tenere assieme le storie personali con le dinamiche globali; le memorie personali con quelle collettive; le mappe fisiche con quelle culturali; gli spazi con le storie che li abitano.
Chiamiamo tutto questo ‘giornalismo narrativo‘, ma è bene chiarire subito: non ha nulla a che fare con la letteratura. E’ giornalismo, fatto e finito. Informare, sempre e comunque, partendo dati e fatti, verificati e incrociati, dopo un’accurata verifica di tutti i punti di vista sulla questione. Quello che però cambia, fin dagli esordi di Q Code, è il linguaggio. Oggi più che mai serve un giornalismo capace di farsi leggere, di curare la bella scrittura, di interagire toni di voce e strumenti: audio, foto, video, testo, infografiche, illustrazioni. Tutto concorre a rendere la complessità, tutto serve a interessare e intrigare, senza mai perdere di vista l’obiettivo: informare.
La redazione di Q Code Magazine
In questi otto anni le piattaforme delle riviste sono state prevalentemente due: il nostro sito e la rivista cartacea. Nel primo caso abbiamo puntato sul multimediale, mentre nel secondo abbiamo voluto ancorarci al nostro lavoro: se il web rappresenta i rami dell’albero, la carta ne rappresenta le radici. Le due piattaforme si integrano a vicenda, si parlano, si scambiano, si completano.
In parallelo a questo percorso di prodotti, ne abbiamo sviluppato uno di relazioni, convinti che il buon giornalismo debba puntare all’impatto sulla società e sul tempo che attraversa. Laboratori, progetti condivisi, scambi di contenuti: farsi rete di reti, per ampliare l’impatto di un progetto che prima che giornalistico sia culturale, che diventi un progetto sociale, informando.
Dal principio del nostro progetto editoriale, abbiamo immaginato le contaminazioni – di linguaggi e di orizzonti – come un dovere narrativo. Q Code si è aperto fin dall’inizio alla collaborazione con il mondo della ricerca accademica. Molti dei nostri contributors, infatti, non provengono da un percorso giornalistico tradizionale. Questo perché siamo sempre più convinti che il moltiplicarsi di fonti di informazione non sia un problema, anzi, siamo certi che rappresenti una grande risorsa. Proprio per questo, però, è sempre più importante che la complessità non diventi frastuono. Le competenze del mondo accademico – troppo spesso limitate a ristretti circoli – vanno messe a disposizione del maggior numero di lettori. Q Code si è proposta come piattaforma comunitaria, dove le competenze sul racconto si mettessero a disposizione dei contenuti specifici e scientifici, per agevolarne la diffusione. Il rapporto funziona come un ecosistema: il contenuto giornalistico si nutre di elementi scientifici e rende questi fruibili a un pubblico più vasto. E’ la complessità il tema del nostro tempo, è l’accuratezza il senso di questo lavoro, è la polifonia narrativa il fine di questo percorso.
Per questo i nostri strumenti di riferimento sono i webdoc, i podcast, le graphic novel e il longform. E la narrazione collettiva, come esperimento di riduzione dell’ego. Perché mai come nel tempo del racconto individuale, il giornalismo deve sapersi pensare collettivo.