Università degli studi di Pavia

Nel mondo della globalizzazione, di internet, del progresso industriale e tecnologico, dell’Europa unita e senza guerre, nessuno (o quasi) si aspettava che un virus potesse fermare l’incessante procedere della società. La pandemia si è imposta nelle vite di tutti, giungendo persino ad incidere sul linguaggio comunemente utilizzato: lockdown, congiunti, dpcm, sono solo alcuni esempi dei numerosi vocaboli che hanno preso a riempire i mezzi di informazione, il dibattito politico e culturale. Tra tutte le parole che sempre più spesso affollano il panorama informativo, ce n’è almeno una che sembra essere come scomparsa: futuro.

Questa notevole assenza non risulta casuale. In un contesto emergenziale e pandemico non sembra esserci spazio per immaginare il futuro. L’esigenza di contenere la diffusione del virus e la necessità di tutelare la salute (individuale e collettiva) hanno inciso anche sul fluire del tempo: si deve far fronte alle esigenze del momento, alle contingenze che il dilagare del virus determina di volta in volta. Come immaginare un domani, se si vive un costante presente? È diventato molto comune scandire la vita in “fasi”, avendo a riferimento i provvedimenti assunti dalle autorità per fronteggiare l’emergenza, ma si tratta pur sempre di un’unica dimensione temporale, quella pandemica appunto. Il tempo è ridotto ad una sorta di bolla unidimensionale.

La scomparsa della progettualità futura risulta evidente se si osservano gli interventi economici di sostegno alle attività – commerciali e professionali – colpite dalla pandemia (o, per meglio dire, dalle limitazioni che sono scaturite dalla necessità di arginare la diffusione del virus). Si tratta di misure immaginate per far fronte alle esigenze del momento. Si pensi alla proroga della cassa integrazione o al blocco dei licenziamenti: provvedimenti che, di fatto, rinviano ad un imprecisato domani l’adozione (eventuale) di azioni per un “dopo” pandemia.

Guardando al mondo del lavoro, d’altronde, ci si accorge di quanto la pandemia da Covid 19 abbia congelato il tempo e azzerato il futuro.

L’ultimo Rapporto annuale sulle Comunicazioni obbligatorie – pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro l’1 giugno 2020 – alla Tabella 2.6, conferma il contratto di lavoro a tempo determinato quale tipologia privilegiata dai datori di lavoro per l’attivazione di un rapporto: la percentuale registrata, per l’anno 2019, si attesta intorno al 66% del totale, distribuita in maniera abbastanza omogenea in tutte le fasce d’età. Una tipologia contrattuale che rende il lavoratore debole, esposto a maggiori rischi soprattutto in un contesto emergenziale. Sebbene sia stato consentito il rinnovo/proroga di questi contratti, derogando momentaneamente ad alcuni limiti legislativamente posti, considerata l’incertezza della situazione, appare invero difficile che un tale intervento sia sufficiente a garantire la conservazione dei rapporti in essere.

Se si accendono i riflettori sul mondo del lavoro giovanile, poi, si scorge un deterioramento delle problematiche che più in generale hanno investito l’intero settore. L’emergenza ha inciso profondamente su inserimento e crescita professionale: molti concorsi pubblici sono stati sospesi o rinviati, senza una prospettiva temporale certa di ripresa; molti tirocini sono stati sospesi, altri annullati o riconvertiti in percorsi formativi a distanza; molti datori di lavoro hanno fermato le ricerche di nuovo personale, mentre alcune esperienze lavorative sono state avviate in modalità “smart-working”. In particolare, quest’ultima forma di lavoro, quando riguarda un neo-assunto, annulla un aspetto fondamentale dell’inserimento, quale lo stringere un rapporto anche personale con colleghi e responsabili. Si tenga presente, infine, che, dal rapporto “Il mercato del lavoro 2019” – realizzato nell’ambito dell’accordo quadro tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal – i giovani (15-29 anni) alla prima esperienza lavorativa sono tendenzialmente destinatari di contratti a tempo determinato (nel ciclo 2014-2018 il 41% dei contratti è a tempo determinato, mentre il 17,5% sono tirocini).

I lavoratori dello spettacolo in piazza del Duomo a Milano il 10 ottobre per chiedere il sostegno del Governo

 

Un contesto pandemico, dunque, rende difficoltoso – perdurante l’emergenza – adottare misure che riescano a guardare al futuro, il quale viene sospeso, così come la progettualità, che viene inibita dall’incertezza del futuro. C’è, però, nel nostro ordinamento giuridico un testo normativo che guarda sempre al futuro, anche nell’incertezza: la Costituzione.

Come molte delle Carte costituzionali scritte intorno alla metà del secolo scorso, la Costituzione italiana nasce anzitutto con lo sguardo rivolto al passato, argine per impedire il riproporsi di quelle condizioni che avevano determinato l’avvento del fascismo. A ben vedere, però, la nostra Costituzione, con grande lungimiranza, volge lo sguardo anche e altrettanto efficacemente al futuro. Essa è in moto continuo verso il futuro, per il tramite del progetto di rinnovamento sociale che la connota, e persegue non solo l’obiettivo di dettare le regole per il comune vivere sociale, ma anche di disegnare un modello per gli sviluppi futuri dell’ordinamento, che fonda e in cui trova applicazione.

Si instaura, così, un rapporto del tutto particolare tra Costituzione e tempo, poiché questa riesce a guardare, contestualmente, tanto al passato quanto al futuro. La disposizione che prima e più di tutte veicola questo progetto di moto continuo verso il futuro è l’art. 3, secondo comma, Cost., che attribuisce allo Stato il fondamentale compito di rimuovere gli ostacoli di vario ordine che impediscono il pieno sviluppo delle persone. A questa previsione, poi, se ne ricollegano molte altre tra cui, ad esempio, l’art. 41 Cost., che prevede la possibilità di limitare l’attività economica solo in presenza di alcune condizioni, tra cui la tutela dell’utilità “sociale”.

Il futuro, dunque, è al centro di tutto il progetto di rinnovamento sociale di cui la Costituzione è portatrice, un futuro che nel disegno costituzionale dovrebbe tendere sempre a migliorarsi e a garantire la piena affermazione di tutti gli individui. Quando l’urgenza finirà, quando tornerà la tri-dimensione temporale – passato, presente e futuro – che caratterizza le nostre vite, questo aspetto dovrà essere valorizzato. Bisognerà ricominciare a progettare il futuro, soprattutto il mondo del lavoro, cercando di non incorrere negli errori che sono stati fatti prima della pandemia e che, in una situazione così imprevedibile e drammatica, hanno avuto un impatto devastante su numerose esistenze, facendo sì che il futuro sparisse non solo dall’orizzonte politico, ma anche dall’orizzonte personale di molti.

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