Lamento d’Italia

LAMENTI D’ITALIA
I
Italia muove querele contro di due suoi figli sui dei quali
posavano le sue speranze*
Pria che ad altri, a te Mitrato Signor mi volgo.
Che festi ? Tu che il santo germe d’ amor entro il mio
seno, pietoso un di ponevi, ora che radice l’amorosa pianta
v’ ha posto , sbarbar la tenti ?
Invan lo speri» Come più inseguirallo il martirio con sue
scuri taglienti, viemmeglio le radici 1’Àrbore benedetto
distenderà, germogli era fiorente.
E sarà il Cedro del Libano che nullo vento teme.
La rugiada di Cannan rinfrescherà la terra che la cara pianta nutrisce , ed ella vi rimarrà perenne, inesauribile. Pari all’astro del di che P orbe scalda ed avviva, ella
d* Europa i Popoli conforterà,
Di Libertade l’impetuoso torrente, tutto abbatte che al
suo cammin s’ oppone, e Voi primi scettrala polve abbatterà , se di tirannia armati, argine abbonito al corso suo
vi farete,
0 Sabaudo Sire, che nelle tenebre della luttuosa tua Reggia il volto ascondi , ove sei? a me ti volgi e tosto.i
Parla : di Milano mia che facevi tu ? gli eserciti tuoi a
quali improvvidi e mercenari Duci affidasti ? diserto te , cui
di mano veloce fuggia la gloria, simile al baleno che l’aere
striscia e scompare ratto.
1 tuoi Armati ch’essere dovevano i fieri Leoni del mez-
zodì distruggitori de’famelici Lupi del settentrione, furono per lo contrario imbelli Cavrivole che s’involano allo
stormir d’ una fronda.
Me lassa , quale m’ invade orrore !
Eppure, parricida, per anco tenerti non oso e mio
figliuolo chiamare ti vuò : che io, al tuo pentir credendo,
quale ogni madre esser suole facilmente generosa colla prole sua , volontieri ti perdonai e t’abbracciai mio sangue.
Deh ! s’ egli è vero eh’ innocente tu sii, lascia di corte
Parti subdole, infami ; pensa su quale trono augusto Te di
sieder destina il cielo, senella via del Signor dell’Universo
muovi sincero.
Tu e la stirpe tua quale Davidde in Sionnc su di me poserete e fiavi propizio il soglio.
Ogni altro non mio figlio che mie città governa, ornai
d’ebbe svanire quale schiuma in mezzo ad onde irate.
II
Italia parla sdegnosa a que’che governarono tirannamente
le sue terre*
Taccio di Te abbominato Regnato? dell’Etna, cui la folgore di Dio già sul capo piomba ed un nulla rende.
L’anima tua inzuppata nel sangue degli innocenti che
trucidasti, loco non ha che la ricovri; ed errante per entro le profonde caverne dell’ abisso, ululando sen va , quasi a suo ristoro chiedendo P empie voragini che la con*
stimino*
Le ceneri delle tue negre ossa ricuserà la terra , e dalle
visceri sue tremebonda vomiterai le al gelido Aquilone , che
all’ orrendo Satana appresteralle a cibo, pasto ben degno
del gran Nemico dell’ amanita.
Voi di Parma e di Panaro luridi Pigmei, del par disprezzo ed abbonisco $ conciossiacchè voi schifosi Augelli per
natura rapaci, temendo non le vostre unghia bastate fossero
ad isquojare i miei figliuoli, del maledetto Grifagno gli acuti
artigli in aita chiedesti, si ch’egli, crude] isprigionandoìi,
lieti vi facesse del mio strazio.
L’Augello infernale veloce correva ad obbedirvi , ed
ora tutte le visceri nuovamente mi lacera.
Isdraello, lsdraello! Quando il tuo Saul serbar voleva in
vita V Agaghita Prence, de’ comandi del Profeta ad onta , tu
Bologna il 23 Seti, 1848. Tip* Tiocchi
pria che Samuello, l’Oppressore straniero trucidar dovevi e
placare cosi P oracolo del Signore.
Dei coronati Mostri mondar la terra, belP opra elP è.
E Tu di Lamagna odiata progenie, che mite nel bel pae-
se dell’ Arno imperi , e sembri da tua malvagia schiatta
tralignar , or dimmi , quale di te pensare io deggio ?
Possibil fìa che, de’ crudi Lupi il figlio natura cangi, e
gl’innocenti Agnelli rispettando, placido voglia dormir con
essi ?
Se ciò fosse , d’Isaia i detti avverrerebbonsi a questi di.
Signor del Cielo ! Nulla alla tua gran possa impossibil
fora, pure questo nuovo portento del tuo volere adorerei
stupita.
Eterno Iddio ! Se questi Re della terra fosserti avversi,
ed abusando il poter loro, del Popolo che figlio è a te diletto , calpestassero i dritti facendone sgabello onde salir sublimi , a che in vita tenere li vorresti ?
La maestà tua adori il Popolo $ ei sia servo del Cielo e
sovrano in terra.
III
Italia ascolta le voci d* un Angelo eh e le ragiona de’suoi
Popoli*
Odo voce dall’Oriente che a me si dice.
Piglia; non solo della terra i Prenci sono a Dio ed a te
nemici, ma pur anco i popoli, figli tuoi perversi, Dio
e te del paro offendono colle nequizie loro.
QuelP Angelo stesso io sono che de’ credenti alla sposa
del Primo Padre apparve, ed in Rcima altre fiate sotto svariate spoglie le vie percorse onde giovar gli umani,
Se d’ Europa le contrade or passeggi scherno alle genti
colpa , più che àeJ togati tiranni, eli’ è de’ figli tuoi.
Ecco ; io ti squarcio la nube che ti ascondeva il vero:
tu questo véro, misera rimira, inoridisci e trema; non
disperare perciò devi della misericordia divina; che Essa, allorquando i tuoi figli vestiransi a sacco e deporranno P en>
pietà, veracemente contriti, novella Ninive sarai o Italia, e
P Astro benigno rifulgerà su di te e scorrerai giuliva fino
all’ estremo di in che P orbe intiero al gran Caos rieda.
Ora , riguarda quanto a te si para.
Ahimè ! che veggio ! oh strana insopportabil vista F Voi
tutti figli miei la scure alzate sul capo mio ì Dunque Voi
di mia morte siete la cagion nefanda ?
Le furie d’Averno vi stanno a lato e ad una ad una dinanzi a me trascorrono.
Prima discuopro la scarna Avarizia cui interminata turba
furibonda accalcasi d’intorno : poi scerno la Superbia iniqua, che ogni delitto abbraccia e niente teme nello saziar
sue voglie; lungo stuolo dietro a so tragge la perfida, e
mille linguaggi parla e sotto mille forme appare: quinci
il Tradimento e la Discordia io scorgo , straordinari mostri che con briarce braccia il maggior stuol conducono e
cui seguito fa istupidito e folle il volgo de’ codardi e degli
ignari.
Madre infelice ! Ora sì ben vedi chi sia che t’odii e più
eh’ altri mai tenti dannarti all’ obbrobrio.
Ahi, che il mio popolo stesso, ni’ è carnefice crudo?
Dunque fia vero che lo stesso mio sangue a fiue mi prepari ontosa e presta ?
Ah , sacerdoti d’iniquità che con le vostre mal’ arti, un
rio veleno negli animi infondete degli stessi vostri fratelli,
Gaina morte attende ravvi , né speme vi resterà di scampo.
Vi > Gran Nume! di tua clemenza a me fa scudo, nel sentiero della Giustizia lo traviato ritorna , ed il pertinace pec-
catore , che Te sprezzando volesse Balìalle adorare , vegga
rinnuovare su d’ esso il tremendo esempio di Korah e di
sua sacrilega congrega.
E sia sgombra di malvagi mia terra.
Soltanto allora potrà pace sperare questa tua derelitta
Italia.
Di B. DEL-VECCHIO
Bologna il 23 sett. 1848. Tip tiocchi

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Estremi cronologici: 1848 settembre 23
Segnatura definitiva: MRI0021
Descrizione fisica: c. 1
Dimensioni: 45X29,5 cm
Colore: bianco e nero
Autore: Del Vecchio B.
Tipografo (ente): Tiocchi, tipografia. Bologna
Lingua della documentazione: italiano
Descrizione del contenuto: Incipit: Italia muove querele contro di due sui figli...
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