Giovanni Vicini presidente del Governo provvisorio della città e provincia di Bologna ai suoi concittadini

GIOVANNI VICINI
PRESIDENTE DEL GOVERNO PROVVISORIO
della Città e Provincia di Bologna
A SUOI CONCITTADINI.
Non appena veniva assunto al sommo Sacerdozio il novello Pontefice Gregorio XVI che muoveva alla Divina Provvidenza amare querele perchè i Popoli in prima a Lui
sudditi si fossero sottratti al Dominio temporale de’Papi. Ne pose mente, come il di»,
vino Fondatore del Cristianesimo non assicurasse loro siffatto potere; che anzi lo ave-
va ad Essi con chiare parole negato. E rivolgendosi poscia ai detti Popoli con senti-
menti in apparenza più che di evangelica umiltà, prometteva loro, per viemmeglio a
se ricondurli, ampio perdono, quasi che di perdono abbisognassero quelli, che riven-
dicano diritti, di cui furono iniquissimamente spogliati. Poco appresso il Primario Mi-
nistro di questo Principe che di tanta evangelica pietà s’era vestito , Ministro feroce
non men d’ un SEJÀNO, ignorante e di se gonfio quanto un AUGUSTOLO, e prodigo
della loro spedizione. In prima istanza parimenti un Giudice deputato dal Vescovo,
conosceva in ogni Diocesi non solo delle controversie che persone del clero o materie
ecclesiastiche riguardassero , ma egli traeva ben anche a se i Laici in tutte quelle cau-
se che dietro principii di un’arbitraria giurisprudenza erano chiamate di MISTO FORO.
Giudici delegati pure dai Vescovi rivedevano le dette cause in grado d’appellazione. I
privilegii poi senza numero rendevano malcerta Ja competenza de’Tribunali. La Rota
con astrane formule decideva nella Capitale dello Stato per sino le cinquanta volte
una Causa qualunque, ed era fortuna se l’ultima acquistava la santità di cosa giudi-
cata. La segnatura infine, sedente essa pure nella sola Roma, Tribunale che avrebbe
dovuto corrispondere a una ben ordinata Corte di Cassazione, non ad altro era insti-
solo del pubblico danaro come noi fu LLìOG-aIjAjlG , Cutttessaildo con ischiettezza la
mancanza d’ogni forza legittima per contenere i movimenti generosi de’Popoli, e con-
fondendo la Santità della Religione,che veneriamo,colla ragione assoluta de’Troni,che
si abhorre, ha osato promulgare infami Editti, con cui chiamando ad armarsi Cittadi-
ni contro Cittadini, dichiara che nella sola guerra Civile tutta sta la fiducia della Tia-
ra e dello Scettro: a tal che il suono delle Campane, ora di letizia e di pace, dive-
nulo a un tratto lugubre, fosse il miserando segnale del fraterno attacco, e dello spar-
gimento del sangue Cittadino. Ma perciocché noi primi fummo a scuotere il non com-
portabile giogo, e a toglierci alla lunga vergogna,della tenebrosa disciplina’de’Preti,
senliam debito verso de’Popoli co’quali avemmo comune il dominio, ed abbiamo ugua-
le la causa, il manifestare le cagioni che ci mossero a redimere la Patria nostra dal-
l’ immeritato servaggio.
Quando la potenza de’ Cesari ebbe sulla mina della Romana Repubblica fondato
il dispotismo, e che il sangue de’liberi Cittadini diede cemento a quel mostruoso edi-
ficio, la Chiesa allora»nascentc lacera, meschina, bagnata del sangue de’Martiri, in-
tendendo solo a diffondere le massime del Vangelo, andò venerata presso que’Popoli
a cui venne dato conoscerlo : ma allorché fatta ricca dalle donazioni soverchie di Car-
lo Magno, e della imbecille Matilde, concepì l’ardimentoso progetto d’insignorirsi di
tutta Italia, la Religione cominciò di tanto a scapitare di quanto n.ella Chiesa cresce-
va la cupidigia del dominare. Quindi suscitaronsi gli atroci dissidii fra il Sacerdozio
e l’Imperio, e le due fazioni ch’ebber nome di Guelfe e Ghibelline, alla prima delle
quali iacean lesta i Pontefici, straziarono per lungo tratto di Secoli 1′ Allcmagna non
che l’Italia tutta, e armarono Provincie e terre a mutuo loro sterminio. Ma ad onta
di quel suo procedere, non avendo Essa avuto tanta potenza che bastasse a conqui-
stare questo bel Paese, né tanta virtù per rinunciare al dominio delle cose temporali
vietato dal Cielo ed abbominalo dagli Uomini, s’attenne a quella massima di scaltri-
ta politica, che tutta si stringe in quelle parole ~* DIVIDE ET IMPERA SS, Questo
adunque abbiamo di debito alla Corte di Roma, dello avere cioè veduto scemala ne*
pelli de’Eedeli la Religione, e del non aver potuto Italia unirsi sotto un solo Vessil-
lo. Bologna poi antica Sede degli Etruschi, ascritta dopo alla Romana cittadinanza,
indi mantenuta dagli stessi Imperadori in una parte di sua libertà con amplissimi pri-
vilegii, e fatta in fine capace cfal Magno Ottone, poiché ebbe cacciati i barbari d’Ita-
lia, a reggersi sotto forma di libera e possente Repubblica, fu per l’animo avverso
de’Pontefici tratta col mezzo della fazione sopra indicata in discordie civili sanguino-
sissime. Così questa Città, che valse a trionfare di Federico il Barbarossa , e a tener
prigione il figlio di Federico IL, che seppe abbassare l’orgoglio de’Veneziani i quali,
a Lei contendevano il diritto della navigazione, non potè mettersi in salvo dall’astuta
preponderanza de’Papi, e si diede nel 1276 pel perfido consiglio del Prendiparte alla
protezione di Nicolò III. Papa fuggiasco, scampato allora allora al pericolo in che l’a-
veva messo la rivolta di Roma. Ma questo proteggere di Nicolò III. che aveva per
patto lasciato il libero reggimento della Repubblica, non tardò a mutarsi in aperta op-
pressione, e poterono 11 Bolognesi avverare col fatto eh’è. sempre grave e temibil co-
sa la grazia de’Potenti. Imperciocché tanto Nicolò III. come i Successori di lui non
intesero ad altro mai che a convertire la protezione da esso loro promessa in assolu-
to dominio. Laonde Bologna che s’era le molte volte procacciato il proprio riscatto,
condusse le negoziazioni a tali termini, che Pontefici più umani, ed in ispecie Euge-
nio IV. dovettero malgrado loro conoscere e giusta e legittima la sua emancipazione.
Godè pertanto Bologna di tutti que’beni, che vengono dietro a un viver libero; ma
ei fu per poco : giacché spenle le atroci gare de’Guelfi e Ghibellini, e sorte nuove di-
scordie tra i Palrizii, ed i Plebei, domandando questi a buon diritto, come primi so-
stenitori della libertà, l’esercizio delle civiche prerogative negato loro da quelli, i Pa-
pi seppero sì furbescamente trar profitto da queste Civili contese, che Bologna cadde
novellamente per quelle male arti nella prolezion della Chiesa.
Correva l’anno i4Ì7>e sedeva al Trono Pontificale Nicolò V., quando ciò avven-
ne. I patii della dedizione furono i seguenti: Che in perpetuo durar dovesse il libero
Governo della Città sotto quelle forme stabilite ne’suoi Statuti: Che il Cardinal Le-
gato da spedirsi dalla Santa Sede nulla potesse deliberare in qualsivoglia materia sen-
za il consentimenlo de’ patrii Magistrati: Che la Camera Bolognese fosse tenuta di-
sgiunta affatto da quella della Reverenda Camera Apostolica, e che tutti gl’introiti
dovessero versarsi nelle Casse Camerali del Comune. In fine, che la Cillà e Provin-
cia avesse il diritto di difendersi in perpetuo con armi sue proprie.
Queste condizioni, avvegnaché confermate da ventisette Pontefici che venner do-
po Nicolò V. furono tuttavia coli’andare de’tempi, per fatto solo e violenza ingiustis-
sima, rotte e tolte di mezzo. Perciocché, sovvertilo l’antico ordine di cose, e mutato
il nostro libero Reggimento in dispotico dominio, i novelli Papi c’imposero gravissimi
incomportabili tributi non per dispensarli, come in passato, a vantaggio del Comune,
ma sibbene a profitto solo della Camera Apostolica, né dando verun conto della loro
erogazione. Invasero poi la Provincia d’armi papali non a difesa certo della Patria,
ma a sola causa d’oppressione: e perché in fine non potessimo utilmente reclamare
quell’indipendenza, il primo e più santo de’dritti nostri, dismembrarono una parie
integrante della Provincia, Castel Bolognese, che a noi perteneva di legittimo acqui-
sto, e con ciò misero il colmo al detestabile loro dispotismo.
sto, e con ciò misero il colmo al detestabile loro dispotismo.
Se però la violazione de’ patti e delle condizioni con cui una Città, 0 Provincia
siasi data ad un altro Stato rompe radicalmente il trattato in favore di quello, che patì
la violazione, e lo abilita pei principii del pubblico Diritto delle Genti ammessi da
tulle le Nazioni incivilite a ritornare di piena ragione a’suoi primi diritti, e al pre-
cedente stalo di libertà, e indipendenza, come se niun trattalo fosse avvenuto; chi
non conoscerà quanto giusta e legittima fosse la dichiarazione promulgata fin da pri-
ma da questo Governo di una perpetua emancipazione di fatto, e per sempre di diritto
dal cimino temporale de’Papi? E dopo le inutili querele fatte le mille volte e rice-
tte anche in questi ultimi tempi per la fede empiamente violata, chi avrebbe potu-
to con quieto animo comportare che si discendesse ora a nuove trattative con una
Colie fondala sui tradimenti, e con un Principe che ora minacciava di ceppi i nostri
Ambasciatori inviali dal Senato, ed ora invocava dal cielo i fulmini spirituali contro
noi, che appellavamo alla santità de’palli solennemente stipulali?
Ma noi coli’avere esposle sin qui le cause che per se sole, basterebbero a giustifi-
care la nostra emancipazione, non abbiati} tocco ancora que’motivi che son comuni
a tutte le Provincie ond’era composto lo Stalo Ponlifìcio, molivi che desunti dal mal
operalo de’Governami contro i fini della instituzione d’ogni buon Governo, legittima-
no sempre al cospetto della giustizia la sollevazione de’ Popoli. Qui (come ben si
può credere che fosse in un Governo di Papi ) non solo ninna legge fondamentale
né alcuna nazionale rappresentanza ma niun consiglio nelle Provincie, niuna autorità
ne’ Municipii , niuna tutela delle Persone , e delle sostanze, qui infine orrenda confu-
sione nell’esercizio de’poteri, per cui tutto era sovverlilo l’ordine di ogni politico go-
vernamento. Un Principe Sovrano circondalo da settantadue Princìpi, ad ognuno de’
quali era dato il parlare in nome di quello e il promulgar leggi ed ordinamenti quali
che si fossero in ogni ramo di pubblica amministrazione. Quante volte le leggi, o i
Rescritti del Sovrano ( se pur qualche buon fruito usciva da quella pianta ) furono
irriti e nulli per arbitrio di coloro, cui era commesso l’eseguimento? E quando mai
venne una qualsiasi ordinazione da un Cardinale della Chiesa, o da un Ministro che
non fosse contrariata da un’altra? I Presidi (spenta la Consulta, da cui erano soste-
nuti dapprima) mandati a governare le Provincie a fuoco e fiamma quai Mandarini
della China ; e quel che é peggio senza la provvida istituzione di queir Impero per
cui, ove il Popolo si muova a rivolta, viene per la legge e senz’altro esame fatta sa-
cra alla pubblica vendetta la testa del Mandarino.
La Legislazione civile era traila molta parte dal dritto Giustinianeo cui andavano
derogando i Motu-Proprj diversi a seconda che diversificava la persona de’ Pontefici
me si succedevano : aggiungasi la congerie de’ Canoni, delle Costituzioni papali, delle
)ecisioni infinite de’ Tribunali aventi forza di Legge, e che per maggiore imbarazzo
opponevano tra loro. Erano poi Leggi criminali i Bandi, varii nelle diverse Provin-
ce quali classificando i delitti e misurandone la gravezza a seconda delle Decisioni
3′ Teologi Casisti, e non de’Politici, che mirano a reprimere solo le azioni che con-
ungono alla imputabilità di chi le commette il danno del corpo sociale o de* suoi
^mbri, non proporzionavano perciò le pene d’un modo conforme ai fini della giu-
ria punitiva, il cui istituto è quello d’opporre ostacoli sufficienti alla rinnovazione
dmedesimi trascorsi. L’amministrazione della giustizia non poteva non essere che
n< conseguenza mostruosa di quelle menti ch'erano le fautrici o inventrici di sì vi- zi® Legislazione. Un Pretore, Giudice in prima istanza delle Cause di un' intera' Pr^incia, doveva far fronte alla moltiplicità loro , e assumere sopra di se il carico tvta clic a perpetuare le Liti riconducendo tante volte a nuovo principio giudizi! con- sumati: di guisa tale che l'amministrazione della giustizia diveniva uno de'rami non ultimi della finanza ad utilità della Capitale, e della immensa turba de'Legulei, che a guisa di locuste rodevano le sostanze de'miseri contendenti delle Provincie. Ma che diremo del modo ond'era dispensata la giustizia punitiva, se un Preside Legato della Provincia il quale già era Giudioe privativo inappellabile in quante civili contese ei si volesse, aveva amplissima facoltà di chiamare a se la decisione di tutte le Cau- se che importassero una pena sino a dieci anni di Galera , decisione condotta in via economica , non soggetta ad appello, e (cosa orrenda a pensare) tolto il regolare Pro- cesso, e rimossa la contestazione del reato, e qualsivoglia mezzo di difesa? E qui cadrebbe in acconcio, se pur l'animo reggesse, parlare di quelle sanguinose Commissioni instituite nelle Marche, e nella animosa fervida Romagna all'unico inten- dimento di punire le nude opinioni degli uomini, dacché essendo dato a Dio solo lo scrutare 1 cuori, e le coscienze, vietarono le umane leggi che si facesse delitto del pensiero. Quindi le torture proscritte in tutta la colta Europa, e i ceppi, e le catene, e i premii allo spionaggio, e le impunità furono i mezzi di sì atroce instituzione , co- me le ferali sentenze che vennero proferite diedero lungo argomento di pianto e d'inu- tili querele alle madri., e alle spose che videro la condannagione, e la perdita d'og- getti sì necessarii alle famiglie, e tanto cari alla patria. L* Istruzion pubblica .era ordinata e procedeva d'un modo acconcio a confondere piuttosto chea chiarire gl'intelletti de'Giovani, non ostante la capacità di parecchi valentuomini addetti a sì importante ministero. Onde veniva che la Società riceveva nel suo grembo Giovani patentati non sempre atli alla professione che legalmente van- tavano. La distribuzione dei rami scientifici di ciascuna facoltà era mal fondata: si di- videvano de'rami che avrebbero dovuto essere una materia sola per una Cattedra. Ma peggio si era l'ordine non naturale dell'insegnamento: imperciocché 0 si faceva studia- re ad un tempo due materie che avrebbero dovuto apprendersi successivamente, o s'anteponeva lo studio d'una materia che, avrebbe richiesto la cognizione d'un'altra che si studiava dopo. Mancavano Cattedre corrispondenti ad alcuni rami necessarii d'una Scienza, e questo si verificava nella facoltà matematica, dove se lo studio del Cai' colo sublime eia preceduto da quello separato della sua introduzione, la matematica applicata non lo era poi dallo studio della fìsica gejierale^ per la quale niuna Cat- tedra era institmta. Così dicasi a più forte ragione della facoltà Legale dov'era ommes- so il Gius pubblico, l'Economia Politica, la Civile Pi'ocedura. Altre erano bensì tollerate, ma non vi si obbligavano gli studenti ; ed era assurdo che i Giovani indirizzati al Foro non avessero obbligo di studiare l'Eloquenza, altri destinati alla Agrimensura aves- sero arbitrio di tralasciare l'Agraria, altri in fine dati alla Medicina umana o com- parata potessero ommettere lo studio fondamentale della Storia Naturale. Oggetto del pubblico biasimo era la instituzione de' così detti Professori, supplenti che dovevano ' conoscere le rispettive materie di quattro Cattedre, ed essere pronti a salir quella che 'vacava per infermità o morte del Professore. Instituzione che dava libero l'arringo non ai veri addottrinati, ma sibbene agli audaci soltanto. Ultima cagione sia quella della mala versazione- delle pubbliche e delle private sostanze, che portando noi ad estrema mina destava la compassione dello straniero. I pubblici fondi, venuti alla Santa Sede dai Governi precedenti, assegnati a turbe di oziosi raccolti ne' Chiostri. Questa Provincia (mentre le altre erano in eguale o peg- gior condizione) ridotta soltanto a 3oo/m. abitanti, tributava alle pubbliche casse più che seimilioni di franchi. Una terza parte neppure era erogata nelle cause della pub- blica utilità delle Provincie e delle Comuni, compreso il pagamento de' frutti ai Cre- ditori del Consolidato. Una grossa somma dèi rimanente era consumata nella calliva orrenda amministrazione delle finanze dirette ed indirette dello Stalo, amministrazio- ne che conosciuta perniciosa dai Governanti, veniva non pertanto tenuta in osservanza per favorire l'innumerevole turba degli Amministratori Camerali, dei Tesorieri, e de' Pubblicani, a capo de'quali era tal Personaggio col nome di TESOR1ER GENERALE, il quale non obbligato a rendere nessun conto, e che mai noi diede, lasciava immenso patrimonio ai Nipoti, e fatto anche reo troppo palese di enormi ruberie, e queste costanti, non poteva esser rimosso dalla carica, che col premio della Porpora v per dar luogo al successore che ne imitasse sicuramente l'esempio. L'altra parte che pure av- vanzava a tanta dilapidazione era ingojata dal pubblico Tesoro della Reverenda Ca- mera per fomentare le passioni e vizii di quella Corte rea, per mantenere con lusso orientale settantadue Satrapi successori de' poveri e scalzi discepoli di Cristo, e per alimentare le infernali Giunte Apostoliche stanziate nelle Spagne e nel Portogallo al- l'effetto di raffermare l'ignoranza , e di sbarbicare dalle radici ogni germoglio di poli- tica libertà. Cittadini! dopo le tre memorande giornate di Parigi, li cui portenti leggeranno i posteri con ammirazione associando quelle con riconoscenza alle sei prime della erea- zione dell'Universo, lo spirito di libertà che bolliva negli animi di tutù prese maggior lena e si mostrò via via allo scoperto in grandissima parte d'Europa, e in questa bel- la regione dell'Italia ahi troppo lungamente oppressa dall'antico Prete. Noi i primi fummo ad alzare il saero vessillo. Le altre Provincie con cui avemmo comune il servaggio, comune il bisogno, comune il desiderio di riscattarci, imitarono ben tosto il generoso esempio. Noi non abbiamo altro primato che del tempo ; del rimanente siamo fratelli, e come tali vogliamo una perfetta comunanza siccome l'avemmo nel sorgere a nuova vita, e siccome uno solo è l'interesse che ci lega. Si domandava dap- prima, se la semplice confederazione avesse potuto soddisfare alla pubblica salute; ma s'è tosto conosciuto quali e quanti si elio i disordini del federalismo. Ne' secoli di mez- zo i Municipj d'Italia liberati dalla incursione de' Barbari si eressero in altrettante Repubbliche distinte, indipendenti, legale solo dal vincolo di confederazione. Ma fu loro trista forza il cader preda di quanti Imperadori si mossero a conquistare e a de- vastare l'Italia. Proclamisi adunque perfettissima unione, costiluiscansi le. unite Pro- vincie in un solo Stalo, in un solo Governo, in una sola famiglia. Le Potenze a noi vicino loderanno 'nostri sforzi magnanimi, e rispettando esse il principio sacrosanto della non intervenzione, riconosceranno la giustizia delle cause che ci mossero alla nostra rigenerazione. Ma se le cose sopra discorse è le molte che potrebbero dirsi non bastassero al- l' uopo, forse che la condotta tenuta dalla Santa Sede dopo il nostro riscatto non var- rebbe per tutte a far conoscere in faccia ad Europa lo spirilo di quella Corte, e le ragioni de'Popoli dello emanciparsi in perpetuo da quell indegnissimo dominio? Cri- sto consegnò a Pietro e a' suoi Successori le chiavi per sciogliere e legare le coscien- ze ne soli rispetti spirituali. Dichiarando che il suo Regno non era di questa Terra negò all'uno e agli altri il dominio delle cose temporali. Questo dominio fu usurpato dai Pontefici per la loro ambizione, e con ingiuria gravissima al divino Insti tu toro. Ove pur quello fosse legìttimo, come potrebbe il Papa confondendo la ragion del Cie- lo con quella della TerraL far uso delle chiavi per obbligare i Popoli alla terrena sog- gezione? A che dunque le minaccie delle censure, delle scomuniche, degli anatemi per difendere il dominio delle cose temporali? Qual già Sovrano di queste Provincie venga colle armi sue. Alla forza sapremo opporre la forza. Ma non pretenda Egli, strappando a Pietro le chiavi, volgere contro a noi i fulmini spirituali, che un sì ne- fando attentato sarebbe egualmente abborrito e da Dio e dagli Uomini. Usi, ripeto, la forza legittima, nò alcuno ministro di sua cieca vendetta s'argomenti portare la fiac- cola della discordia, in queste contrade, e di muovere a crudele eccidio i Cittadini tra loro. Ma già V Idra Romana si sente moribonda e nella sua stessa agonìa fa gli ultimi sforzi. Nuli'altro però le resta che volgere i velenosi morsi contro le proprie viscere, e perire rabbiosamente da se. Ov' ella tentasse spargere ancora qualche avvanzo di pestifera bava, noi sapremo schiacciarla. La nostra unione colle Provincie basterà a compiere il suo spavento, e a spegnerla del tutto. A questa unione aspirando sino dai primi momenti della mia Presidenza al Governo, m'adoperai indefesso in pro- muoverla e oso dire, non senza gloria, a vederla ora felicemente consumata ebbi non poca parte. Io depongo ben di buon animo la breve Presidenza che tenni del Gover- no di questa Città e Provincia, per mescolarmi fra li Deputati delle Privincie Unite, affine di dar mano, per quanto sarà in me, all'innalzamento del nuovo Edificio Socia- le. Nato per così dire e nudrito fra le generose rivoluzioni de'popoli, Preside ( non ancor tocco il quinto lustro di mia età) di una Repubblica, Voi mi vedrete ora ben- ché grave di anni dare i primi e più spediti passi nella carriera della nostra rigene- razione . Io vi riferisco intanto quelle grazie che so maggiori delle continue prove da Voi datemi della vostra tenerezza per me, e certamente, finche mi basti il respiro, ne avrò viva e dolcissima la ricordanza nel più profondo del cuore. Dato dal puhblico Palazzo di Bologna il 25 Eebbrajo i83i. oqoUxlho, dalia Oivaatana. vi c/uiiweito H?°t>iti e (Eomp,

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Estremi cronologici: 1831 febbraio 25
Segnatura definitiva: MRI0430
Descrizione fisica: c. 1
Dimensioni: 81X42 cm
Colore: bianco e nero
Autore: Vicini Giovanni
Tipografo (ente): Nobili Annesio e Compagnia, tipografia. Bologna
Lingua della documentazione: italiano
Note: Data di emanazione.
Descrizione del contenuto: Incipit: Non appena veniva assunto al sommo Sacerdozio il novello Pontefice Gregorio XVI...
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