Nonostante la contenuta e lenta ripresa degli ultimi anni, l’economia italiana rimane caratterizzata da difficolta’ strutturali. Il prodotto interno lordo non e’ ancora tornato ai livelli pre-crisi, e nonostante il rallentamento della crescita nell’ultimo anno sia stato un fenomeno globale, nel nostro Paese la flessione e’ stata persino piu’ accentuata. Tra le poche note positive, spicca il continuo sostegno che le esportazioni continuano a fornire alla crescita della domanda interna. Il Rapporto sulla Competitivita’ dei Settori Produttivi 2019 elaborato dall’Istat evidenzia come nel periodo 2010-2017 le vendite all’estero dell’Italia sono nel complesso cresciute a ritmi simili a quelli dell’area euro, evidenziando una convergenza nei confronti della performance tedesca.[1] Questi dati indicano una notevole resilienza del tessuto imprenditoriale italiano, che continua a competere a livello internazionale nonostante la stagnazione della domanda interna. Non c’e’ quindi da stupirsi se un filone della letteratura accademica continua a ritenere che il modello di capitalismo italiano possa ancora garantire una crescita economica sostenuta per il Paese, sostenendo che la bassa crescita italiana non sia da attribuire alla scarsa competitivita’ delle nostre imprese.[2]
Tuttavia, nell’analizzare il contesto produttivo italiano, non si puo’ prescindere dalla sua principale caratteristica strutturale: la prevalenza di piccole e medie imprese (PMI). Recenti stime indicano che le PMI con un giro d’affari inferiore a 50 milioni di euro impiegano l’82% dei lavoratori in Italia, un dato ben al di sopra della media europea.[3] Infatti, il 92% delle imprese attive sono piccole o medie, cosa che fa delle PMI un tratto saliente dell’economia italiana. A seguito del Miracolo Economico, economisti e policy makers hanno decantato a lungo gli aspetti positivi del capitalismo italiano, enfatizzando la flessibilita’ e le economie di scopo della produzione dei distretti industriali. Non c’e’ quindi da stupirsi che il dibattito pubblico in tema di politiche industriali e per l’innovazione degli ultimi decenni si sia cristallizzato e sia riassumibile in una semplice frase: “piccolo e’ bello”. Ma e’ ancora opportuno affidarsi a questo luogo comune come guida per le politiche industriali italiane?
Recenti studi empirici hanno iniziato ad investigare le caratteristiche del tessuto produttivo dell’Italia, per cercare di capire se davvero un capitalismo caratterizzato dalla piccola dimensione possa garantire prosperita’ a lungo termine. In particolare, le imprese italiane sono caratterizzate da una grande eterogeneita’, che da’ luogo ad un sistema produttivo estremamente polarizzato[4]: da un lato, un nucleo ristretto di imprese medio-grandi e’ caratterizzato da grande efficienza e livelli di produttivita’, oltre a mostrare alti livelli di innovativita’ e propensione all’export; dall’altro lato, gran parte delle piccole imprese non innova, e’ caratterizzato da produttivita’ stagnante e dimostra scarsa qualita’ del management. Questa dicotomia mostra come sia necessario andare oltre semplici generalizzazioni che oscurano il fatto che solamente un gruppo ristretto di PMI sia caratterizzato da una adeguata performance innovativa. Inoltre, nuovi studi mostrano che la scarsa crescita italiana sia in parte spiegata dall’incapacita’ delle nostre imprese di adottare le tecnologie dell’informazione (ICT) che si sono diffuse dagli anni ’90 in poi; incapacita’ a sua volta dovuta all’assenza di una classe manageriale adeguata.[5] La gestione familiare delle piccole imprese italiane ha spesso impedito il passaggio delle consegne dal fondatore a figure di manager professionista, contribuendo al basso tasso di crescita della produttivita’.
Alla luce i queste riflessioni, il ruolo dell’attore pubblico nel disegnare le opportune politiche pubbliche assume una rilevanza fondamentale. Per troppo tempo l’Italia non ha investito nello sviluppo sistemico della ricerca scientifica e tecnologica, forse anche perche’ la retorica del “piccolo è bello” ha contribuito a creare una falsa percezione della realtà secondo cui i processi di specializzazione e divisione del lavoro che si sviluppavano nei distretti industriali fossero sufficienti a garantire il dinamismo innovativo del nostro Paese.[6] Questi temi assumono una rilevanza ancora maggiore alla luce delle recenti novita’ tecnologiche spesso collettivamente indicate con il termine “Industria 4.0”, che richiedono oggi piu’ che mai alle PMI italiane di investire in tecnologia e capitale umano. Ad esempio, la recente diffusione di cloud computing e di tecnologie come l’internet of things hanno il potenziale di alterare radicalmente il tessuto produttivo, mettendo a dura prova la competitivita’ delle imprese manifatturiere italiane. Per tenere il passo con la nuova sfida dell’innovazione, le PMI italiane dovranno investire in nuove tecnologie e nelle necessarie competenze tecniche e manageriali ad esse complementari. Per il momento, la politica si e’ occupata poco di questi temi cruciali, e il rischio e’ quello di agire quando sara’ troppo tardi. Tra le poche eccezioni figura il Piano nazionale Impresa 4.0, lanciato nel 2016, probabilmente il piu’ ambizioso disegno di politica industriale degli ultimi anni. Per quanto in parte ancora prematuro, iniziare ad analizzare gli effetti che questa policy ha avuto sul sistema produttivo italiano costituisce un naturale punto di partenza per l’elaborazione di adeguate politiche per l’innovazione.
L’obiettivo del workshop è di portare al centro delle riflessioni la sfida che Industria 4.0 e le recenti novita’ tecnologiche pongono al tessuto produttivo italiano, raccogliendo stimoli e idee da parte di chi si è occupato di questi temi, ma anche confrontandosi con imprenditori e uomini di azienda che questi temi li vivono in prima persona. Questo primo appuntamento vuole essere l’inizio di un dialogo che discuta le possibili strategie per fronteggiare le debolezze delle PMI italiane e mettere in campo le adeguate politiche pubbliche per rilanciare la crescita della produttivita’ e dell’impiego nel nostro Paese.
[1] Istat (2019), Rapporto sulla Competitivita’ dei Settori Produttivi 2019
[2] Fortis M. (a cura di) (2016), The Pillars of Italian Economy. Manufacturing, Food & Wine, Tourism, Cham, Springer.
[3] https://www.infodata.ilsole24ore.com/2019/07/10/40229/
[4] Bugamelli, Lotti et al. (2019): “Productivity growth in Italy: a tale of a slow-motion change”, Questioni di Economia e Finanza 422
[5] Pellegrino e Zingales (2019): “Diagnosing the Italian Disease”, NBER Working Paper No. 23964
[6] Felice et al. (2019), “Alla ricerca delle origini del declino economico Italiano”, L’industria, vol. Aprile-Giugno.