Il mercato del lavoro è oggi interessato da crescenti polarità e disuguaglianze: la rivoluzione tecnologica in corso sta trasformando le carriere lavorative e la tipologia di mestieri e profili professionali che conosciamo.
Stando ai dati di una ricerca condotta da Accenture “New skills now”, il 65% dei giovani che oggi iniziano la scuola svolgeranno lavori che non esistono ancora e 1 lavoro su 10 è a rischio di automazione nei Paesi dell’OECD. Che il digitale e l’automazione stiano sostituendo molte delle mansioni lavorative prima di competenza dell’uomo, è oramai un dato su cui la comunità scientifica e internazionale sembrano concordare. Quanto sfugge all’opinione pubblica è che il progresso tecnologico e i suoi impatti sull’occupazione del mercato del lavoro non sono al centro di un processo ingovernabile – che inevitabilmente porterebbe a uno scenario di “disoccupazione tecnologica” di massa – quanto semmai di una fase storica che richiede una governance equa e sostenibile per promuovere inclusione e condizioni lavorative dignitose.
Il rischio che il progresso tecnologico si porta con sé è infatti duplice: da un lato l’aumento del tasso di disoccupati soprattutto in riferimento a coloro che vengono esclusi dal mercato del lavoro a causa dell’automazione; dall’altro un incremento del fenomeno dello skills mismatch in relazione a chi fatica ad adeguarsi alle richieste della domanda di lavoro perché non in possesso o disallineato rispetto alle competenze e alle capacità che il settore privato richiede al mercato.
Secondo il rapporto “Strategia per le Competenze dell’OCSE Italia 2017” lo skills mismatch è molto diffuso in Italia. Circa il 6% dei lavoratori possiede competenze basse rispetto alle mansioni svolte, mentre il 21% è sotto qualificato. Ciò nonostante si osservano tuttavia anche casi di overqualification: casi in cui lavoratori hanno competenze superiori rispetto a quelle richieste dalla loro mansione. I lavoratori con competenze in eccesso (11,7%) e sovra-qualificati (18%) rappresentano una parte sostanziale della forza lavoro italiana.
Rispetto a tale scenario risulta dunque prioritario agire attraverso un’azione di corresponsabilità congiunta da parte degli attori economici, sociali e politici lungo due direttrici di intervento: in primo luogo è necessario interrogarsi su quali siano le competenze e le capacità, e come esse debbano essere sviluppate, per salvaguardare e promuovere occupazione nell’era della Quarta rivoluzione industriale. Dobbiamo promuovere un’educazione basata sulle competenze digitali oppure sui valori di una formazione umanistica? Quali sono gli attori oggi deputati alla formazione delle competenze anche in un’ottica di formazione continua per far sì che i lavoratori possano aggiornare nel tempo le loro skills?
In secondo luogo abbiamo bisogno di imprese che sappiano innovarsi ed evolversi rispetto ai cambiamenti in atto e dunque comprendere le azioni e le pratiche attraverso cui il tessuto produttivo e imprenditoriale può cogliere le opportunità di crescita e di innovazione offerte dal progresso tecnologico per promuovere relazioni virtuose tra l’intelligenza umana e l’automazione. A quali responsabilità sono chiamate le imprese nell’era della rivoluzione tecnologica in atto?
Competenze e percorsi formativi nell’era digitale dunque; ma anche investimenti e innovazione del settore privato assieme alle politiche attive del lavoro per promuovere occupabilità e una crescita equa e inclusiva.
Di questo e molto altro discuteremo martedì 15 maggio in compagnia di Stefano Trombetta (Accenture), Germano Paini (Università di Torino), Giancarlo Testaverde (Medtronic), Pasquale Cuzzola (ENI Gas e Luce Spa), Maurizio del Conte (Anpal).
Modera l’incontro Sergio Nava, Radio24.