La foto in piazza di una giovane donna che agita una bandiera rossa seduta sulle spalle di un manifestante è forse una delle immagini più diffuse del ’68. Periodicamente è tornata a ripopolare le prime pagine dei periodici. Ogni volta si trattava di dire una cosa sola: in quella piazza si stava esprimendo la gioia della rivolta, la rottura delle regole, in ogni caso il messaggio era “La festa è qui”.
E’ una delle immagini dei documenti di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (venti numeri periodici degli anni ’70 tra cui alcuni numeri speciali di “Lotta continua” quotidiano, e soprattutto alcuni numeri della rivista irregolare “A/traverso”, una pubblicazione presente in poche biblioteche in Italia) richieste da Museo Reina Sofia per la realizzazione della mostra Aún no.Sobre la reinvención del documental y lacrítica del modernismo, 1968-1989, che si tiene presso il Museo Reina Sofia di Madrid (la nostra rimarrà aperta fino al 13 luglio 2015).
Insieme ad altre istituzioni internazionali, e unica istituzione italiana, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli è tra gli enti che hanno reso possibile la realizzazione di questa iniziativa.
Alla fine degli anni ’60, quando le strade d’Europa iniziano a riempirsi di giovani che danno forma nuova alla protesta, molti pensano che quello sia un fuoco di paglia, che si spegnerà finita la stagione della primavera. La realtà sarà molto diversa.
Non solo perché quel fuoco durerà a lungo e occuperà una lunga stagione dell’Europa tra anni ’60 e anni ’80, ma anche perché quella stagione determina molti cambiamenti. Cambia il modo in cui si sta in strada a manifestare e a protestare, cambiano le parole e simboli della protesta e insieme cambia anche il modo in cui si comunica quello che si fa.
Tutte le rivolte hanno alla loro origine un documento, un testo che passa di mano in mano e che lentamente forma un linguaggio generazionale, un codice attraverso il quale una generazione segna il proprio tempo.
Negli anni che dei movimenti prima ancora di un documento ciò che cambia è il modo di comunicare le sensazioni, i pensieri, le riflessioni.
La parola è un veicolo, ma altrettanto lo è la fotografia, la grafica, l’uso del colore.
Cambiano gli strumenti attraverso i quali si conosce la realtà, ma cambiano anche i mezzi con cui si descrive la realtà. Quella trasformazione investe il modo di informare, ciò che è considerato documento, i linguaggi, le tecniche di comunicazione, i simboli.
Improvvisamente in un’Europa ancora segnata da profonde sacche di analfabetismo, dove ancora sono forti le distanze centro-periferia, dove spesso la lettura è un’attività di élite, la trasformazione della comunicazione da scritta a visuale è uno dei modi in cui si definisce un nuovo linguaggio collettivo.
Una storia in cui essenziali, tra gli altri, sono quei testi “poveri” e immediati rappresentati dai giornali, da una reflex o dal ciclostile. Dove conta la fantasia, la prontezza della mano e la capacità di fissare un’istantanea. Strumenti e tecniche che significano che tutti hanno il diritto di dire la loro.