15-09-2022 16:00

Uno dei più recenti Rapporti dell’Ocse conferma che i salari reali di oggi nel nostro paese valgono meno del 1990. Mentre i salari tedeschi negli ultimi 30 anni crescono di 15 mila euro (+33,7%) e quelli francesi di 10 mila (+ 31,1%) quelli italiani perdono un 2,9%.

Tra le cause si identificano una politica fiscale che penalizza il lavoro dipendente e la bassa produttività italiana rispetto a Francia e Germania. Inoltre, la deflazione salariale, l’incertezza contrattuale e la precarietà hanno scandito le tappe di una economica della de-crescita e della stagnazione trentennale.

Quest’ultima può essere letta anche attraverso la differente composizione della forza lavoro occupata che, a differenza degli altri Paesi dell’Eurozona, soffre di una minore partecipazione dei segmenti più qualificati mentre ha una maggiore presenza dei segmenti meno qualificati. All’interno dello scenario descritto, le nuove evidenze ISTAT sulle prospettive per l’economia italiana nel 2022 e 2023 confermano l’inflazione come la variabile economica più allarmante, seguita da una revisione al ribasso delle stime di crescita per il 2022 in termini di PIL.

In gran parte dei paesi dell’Unione Europea è stato già introdotto il salario minimo, ma non in Italia.

Qual è la migliore via da seguire per bilanciare il peso della contrattazione collettiva con l’esigenza di garantire un salario minimo a tutti i lavoratori?

Introduce e modera
Vito Di Santo, Ricercatore
Relazione di
Agostino Megale, Responsabile Nazionale CGIL Fondazioni e Istituto Studi e Ricerche
Interventi di
Michele Forlivesi, Consigliere del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Manos Matsaganis, Politecnico di Milano

Conclusioni di

Cesare Damiano, Presidente dell’Associazione Lavoro & Welfare, già ministro del lavoro e delle politiche sociali


In collaborazione con The Adecco Group

Condividi
pagina 133620\