L’Europa ha un ruolo da giocare nella costruzione condivisa di futuro? O, invece, è fuori gioco? In questo inizio di 2017 forse è questa la domanda che corre con maggiore insistenza. Dalla consapevolezza che abbiamo delle nostre difficoltà discende anche se e come metteremo in campo delle risposte.
C’è un dipinto di Thomas Eakins conservato nella Galleria d’arte della Yale University che si chiama La Conta. Mostra una scena di un incontro di box, Eakins è molto famoso per i ritratti, gli studi di anatomia e le scene sportive raccontate cogliendo in un fermo immagine un insieme di dettagli che immettono lo spettatore non tanto nella dinamica agonistica quanto negli umori della scena vissuta dagli sportivi.
La Conta è un dipinto classico, con una prospettiva in tre dimensioni, lo sfondo, la scena e il primo piano, un elemento centrale attorno al quale ruota l’intera narrazione, l’arbitro, e i protagonisti del plot che in questo caso sono i due boxer. Uno è accovacciato a terra, sofferente e sul punto di cedere l’incontro, l’altro lo guarda compiaciuto, dall’alto del suo fisico scultoreo e prepotente, sembra godersi le grida del pubblico allungando il braccio sinistro verso il malcapitato come a sfidarlo ad alzarsi: accetta la sconfitta, sembra dire, non alzarti e attendi che l’arbitro arrivi a dieci, cosi hai smesso di soffrire e ce ne andiamo tutti a casa.
L’Europa, i cittadini europei sembrano oggi il pugile suonato del quadro di fine 800. Sembra abbiano perso tutti i punti di riferimento consolidati, che siano svanite le vecchie ambizioni e rinuncino ad alzarsi, si affidino a leader sbruffoni e prestanti senza indagare davvero la loro consistenza ma ancora di più sembrano stretti nella morsa di ciò che sta loro attorno.
Un contorno e un panorama che appare come un contesto violento e dominante: sul terreno geopolitico, economico, semantico, tecnologico. Tanto violento da generare una sequenza di fattori di disorientamento.
Anche solo rimanendo sulle rive di quel grande lago salato che è il Mediterraneo lo scenario ci dice che la carta geografica è in movimento: dalla Libia alla Turchia all’Ucraina, lo scenario che ci ritroviamo a tutte le porte di casa è una sequenza di fronti instabili, frammentati, problematici. In ciascuna di quelle piazze domina o si riafferma l’elemento antidemocratico, come cifra per il controllo di situazioni sociali esplosive. Allo stesso tempo la privazione dei diritti elementari della persona è utilizzata come strumento di pressione politica, alle spalle dei cittadini e nell’ignavia della comunità internazionale.
E se la rivoluzione 4.0 sta trasformando alla velocità della luce le forme di comunicazione, di socialità ma soprattutto di produzione, relegando ad una dimensione museale il concetto di fabbrica e di ufficio, il sistema sociale e dei diritti legati al mondo del lavoro fanno fatica a tenere il passo e con essi le competenze di chi dovrebbe attualizzare le regole e i sistemi di convivenza per garantire le migliori condizioni possibili alla comunità.
A guardare nei dettagli il dipinto di Eakins l’esito dell’incontro è tutt’altro che scontato: l’arbitro non indica con precisione a che punto della conta è arrivato, anzi guarda a terra e inarca leggermente l’indice, suscitando nell’occhio dello spettatore ottimista anche un minimo segno d’incitamento. I secondi che stanno sullo sfondo sembrano dare ragione al boxer arrogante in primo piano ma la classica spugna non è ancora gettata. Sono poi i muscoli del boxer in difficoltà a lasciare la porta aperta: pur essendo evidentemente più esile dell’avversario la gamba è tesa e lascia intendere che si sta per rialzare. Gli spettatori possono sperare di avere ancora qualche round per divertirsi.
Secondo noi siamo ancora in tempo per rialzarci e per riappropriarci, come europei, di un ruolo, di un progetto, di un futuro che non sia di rincalzo ma che guardi con fierezza alla nostra capacità di reinventarci, di credere nelle nostre competenze, di costruire un modello di sistema comune aperto alle novità, alle frontiere, all’ignoto. Un modello che si fondi sugli insegnamenti della nostra storia recente, sul protagonismo di intellettuali, tra loro anche diversi, come Zygmunt Bauman, Amartya Sen, Norberto Bobbio, Isaiah Berlin, Eric J. Hobsbawm, che hanno lottato e dedicato la vita al progetto comune e che non hanno mai smesso di sollecitare la necessità di un futuro non solo migliore ma inclusivo, il cui principio è non abbandonare nessuno.
Dobbiamo mettere al centro i bisogni e le aspirazioni dei cittadini, di tutti quei cittadini che, a fronte di una sconfitta imminente e di una rinuncia al combattimento per le proprie libertà individuali e collettive, non si piegano alle prime fatiche ma si rialzano e lottano, accettano la potenziale sconfitta ma sanno di dover contare, prima che su ogni altra cosa, su se stessi.
A tutti questi cittadini, a tutti questi europei, la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, che riapre oggi, augura un 2017 coraggioso. Noi faremo la nostra parte: costruiamo una storia diversa assieme.
Massimiliano Tarantino
Direttore Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Taking the count, Thomas Eakins – Yale University Art Gallery