L’Eurogruppo del 23 aprile in piena pandemia da Coronavirus doveva essere quello della svolta per l’Italia e invece rimane lo stallo. Al termine della riunione online i 27 paesi dell’Unione Europea sono arrivati alla conclusione di dover creare un nuovo fondo, chiamato “Recovery fund” – fondo d’emergenza – per affrontare lo shock economico in corso. Un fondo da incardinare al nuovo bilancio Ue 2021-2027, la cui natura però deve essere ancora decisa. I capi di stato e di governo non sono riusciti a trovare un accordo su quanto sarà l’ammontare del fondo e come funzionerà in caso di richiesta d’accesso: chi vi accede dovrà farlo senza dover restituire il denaro richiesto o ci saranno interessi da pagare? Inoltre, sarà finanziato interamente dagli stati con la propria quota al bilancio Ue o con i famosi eurobond? E infine, tale fondo entrerà in vigore con le risorse del 2020 o con quelle previste dal 2021 con il nuovo bilancio Ue?
Al termine del vertice la sensazione è che molti Paesi europei non abbiano compreso la portata della sfida. L’Italia, la Spagna e la Francia sostengono che il fondo debba avere una potenza di fuoco tra i 1.000 e 1.500 miliardi, che debba entrare in vigore nei prossimi due-tre mesi al massimo (soluzione ponte) e che la natura dell’aiuto debba essere una forma di sussidio a fondo perduto. Per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte l’ammontare del Recovery Fund “dovrebbe essere pari a 1.500 miliardi e dovrebbe garantire trasferimenti a fondo perduto ai Paesi membri”. Il premier nel suo intervento ha usato l’espressione “il più presto possibile” che dà l’idea dell’emergenza che il nostro Paese vivrà nei prossimi mesi.
Il pressing del presidente del Consiglio è stato forte ma non ha portato a uno sblocco. Paesi come l’Austria, l’Olanda o la Svezia rimangono dell’opinione opposta: ossia creare un fondo più snello, con l’entrata in vigore dal prossimo anno e con l’accesso sotto forma di prestito. Tutt’altro che presto.
Angela Merkel è stata tra quelle che più hanno dimostrato di comprendere l’urgenza delle misure e si è detta pronta ad aumentare la quota tedesca per il nuovo bilancio Ue in “uno spirito di solidarietà”, consapevole dei rischi economici e sociali che una crisi può provocare in Europa e di conseguenza anche alla Germania. La cancelliera è d’accordo sulla creazione immediata del Recovery fund ma è ancora distante dalla linea italo-francese sulla natura del fondo come sussidio a fondo perduto.
Chi ha compreso i rischi del non decidere in tempo è la presidentessa della Banca centrale europea Christine Lagarde secondo cui “i leader europei hanno fatto troppo poco e agito troppo in ritardo”, aggiungendo che “le misure per la ripresa devono essere rapide, risolute e flessibili”.
Non è un caso che l’intervento più duro sia venuto dalla Lagarde. Un vero e proprio grido d’allarme quello della massima autorità monetaria in Europa, cosciente che in caso di caduta del Pil europeo così in basso per calmare i mercati non basterebbe il famoso “Bazooka” finanziario adottato da Mario Draghi e neppure l’ultimo Qe da 750 miliardi varato dalla Lagarde in persona poche settimane fa. In caso di un’esplosione del debito e di uno scenario come quello affrontato dall’Italia nel 2011, solo una risposta politica comune come il “Recovery fund” sotto forma di sussidio potrebbe aiutare i paesi in difficoltà. Non è un caso che Giuseppe Conte sia tra i più accaniti sostenitori del nuovo strumento.
Lo scenario peggiore sul tavolo del premier è quello di un debito pubblico italiano oltre il 160 per cento (prima della crisi eravamo al 135%) e con una caduta del Pil oltre il 10 per cento a fine 2020. In termini pratici un debito pubblico al limite del sostenibile, con tassi troppo elevati nel lungo periodo. Con tale proiezione tutte le agenzie di rating nei prossimi mesi potrebbero classificare il nostro debito come “junk”, ovvero spazzatura. Non è un caso che due giorni fa il board della Bce ha deciso che fino a settembre 2021 accetterà titoli di stato con rating oltre il giudizio BBB (l’ultimo gradino prima del livello spazzatura, ndr) come garanzia ai prestiti che eroga al sistema finanziario. In poche parole la Bce ha messo in conto di dover comprare anche titoli spazzatura e ha salvato i titoli di stato italiani da una possibile e imminente speculazione.
La Banca centrale guidata dalla Lagarde lo ha fatto perché nel giro di pochi mesi, a cominciare da venerdì 24 aprile con il giudizio di Standard&Poor’s, ci sarà un aggiornamento del giudizio dei nostri titoli di stato. E l’Italia è la principale indiziata a entrare nel club dei peggiori. Ecco perché il fattore “tempo” è tanto caro al nostro presidente del Consiglio. Speriamo che in Europa non se ne accorgano troppo tardi, perché la svolta a metà per l’Italia non è sufficiente e posticiparla al 2021 potrebbe fuori tempo massimo per vincere sfida più difficile degli ultimi 70 anni.