Ci sono parole che entrano nel nostro linguaggio comune e alimentano retoriche. Tra queste, negli ultimi tempi, si fanno avanti due concetti: sharing economy e coworking.
Le due nozioni – e le pratiche che esse descrivono – sono correlate: entrambe fanno leva sul “con” della “con-divisione”, sul desiderio e sulla necessità di mettere in comune percorsi e risorse. Se si vuole entrare nelle pieghe di paradigmi economici e organizzativi che secondo molti sono destinati a riformulare i modelli di scambio e redistribuzione tradizionali, dovremmo chiederci anche cosa questi fenomeni ci dicono dell’attitudine umana a vivere in società, gli uni con gli altri.
La preposizione “con” è stata a lungo una preposizione minore: prima venivano il soggetto, il verbo e il complemento oggetto. Poi, in second’ordine, tutti gli altri complementi: come se il soggetto accadesse da solo, armato soltanto della propria sostanza individuale. L’impressione è che questa storia non regga più: ci vuole un “con” perché la narrazione abbia inizio. Per raccontare il modo in cui veniamo al mondo, in cui com-pariamo, non possiamo fare a meno del “con”. L’esistenza di ciascuno sembra accadere nel segno della pluralità, immersa in un ordito di relazioni cui difficilmente può sottrarsi. E’ per questo che il filosofo Jean-Luc Nancy suggerisce di trasformare il motto cartesiano ego sum nella plurivocità dell’ego cum. Queste riflessioni appaiono forse fuori posto se calate nel contesto da cui siamo partiti. Tuttavia, le nuove parole d’ordine che ridisegnano l’organizzazione del lavoro e i modelli economici nel segno della condivisione ci sollecitano a una riflessione sulla nostra interdipendenza e sull’attitudine a stringere alleanze.
Se la crisi economica degli ultimi anni sollecita a un ripensamento della nostra organizzazione sociale ed economica, non è irragionevole pensare che tale evento, esattamente come il lutto a livello di biografia individuale, abbia prodotto – a livello collettivo – un turbamento che ci costringe a fare i conti con i limiti di un modello fondato sulla priorità dell’uno – dell’atomo – rispetto al clinamen, ossia alla deviazione che rende possibile l’interazione tra atomi.
L’urto con le difficoltà generate dalla crisi ha sconfessato il mito dell’autosufficienza – dei singoli, degli Stati, dell’economia reale rispetto alla finanza – e scardinato la grammatica centrata su un soggetto che vende, compra, consuma, commercia un oggetto. La sintassi si è fatta più complessa: si è reso necessario costituire reti, scambi, relazioni di mutuo-aiuto e prossimità. Pratiche di collaborazione e forme di condivisione.
I detrattori della sharing economy sostegno che questo nuovo modo di intendere le relazioni economiche non sia un modello alternativo, ma solo una reazione alla crisi. Tuttavia, al pari di quelle teorie che nel campo dell’agire morale hanno scorto nella ferita e nel limite le occasioni per fondare una nuova condotta etica basata proprio sul riconoscimento della nostra comune vulnerabilità, anche i fenomeni nati nel solco della sharing sembrano promuovere un’etica economica che incorpora il senso del limite e a partire da lì ricontratta e riscrive le proprie regole di azione.
Resta da capire cosa ci sta dentro al fenomeno sharing e dentro alle pratiche di scambio favorite dai coworkingspace. Senza abbassare l’attenzione critica, come propone Adam Arvidsson, il quale ci invita a diffidare delle retoriche che riconducono le pratiche di sharing e i legami tra i coworker esclusivamente a una tensione disinteressata alla condivisione. Le strategie collaborative appaiono spesso iscritte in una logica strumentale e di mercato finalizzata all’ampliamento della propria rete di contatti e al consolidamento della proprio reputazione professionale, al pari di un brand da affermare e promuovere.
Ancora una volta, ad essere messo in scacco è il complemento di compagnia e di unione con la preminenza del “working” sul “co-” e dell’identity– fosse anche quella del brand – sulla relazione.
Caterina Croce
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Approfondimenti
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Si fa presto dire sharing. L’economia collaborativa e i suoi paradossi:
La sharing economy si presenta come un’alternativa complementare all’economia di tipo capitalista, ma al contempo è una forma di redistribuzione e di scambio con paradigmi diversi dalle forme tradizionali. Essendo un modello piuttosto recente, è importante capire il ruolo rivestito dalla sharing economy…
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