Giornalista

Per il ciclo Di-Segno Nero


Viaggio nel percorso di “normalizzazione” dell’estrema destra in Europa. Un processo avviato da anni che dopo l’affermazione in Polonia e Ungheria inizia a dare risultati sempre più concreti anche in altri Paesi europei. Prossimo appuntamento: le imminenti elezioni politiche in Italia e le Europee del 2024

 

Il 25 settembre si voterà per le elezioni politiche in Italia e l’anno successivo sarà il turno delle Europee. Il Paese tende a destra, sostengono sondaggi e analisti come il professor Roberto D’Alimonte. Per quanto poco indicativo del voto nazionale, l’esito delle ultime amministrative evidenzia che destra e centrodestra hanno ottenuto l’elezione di 53 Comuni (16 capoluoghi di regioni e province) su 142 con una popolazione superiore ai 15mila abitanti.

 

I ballottaggi hanno fatto emergere in modo evidente i conflitti interni, tra le concause della sconfitta di sette candidati su tredici arrivati al secondo turno. Uno su tutti, il caso di Verona, città storicamente roccaforte delle destre che è finita in mano al centrosinistra. Fratelli d’Italia in sette capoluoghi di provincia è stato il partito più votato ed è stato in generale il secondo simbolo più scelto dietro al Pd. Giorgia Meloni, alla luce del risultato, rivendica il primato nella coalizione. In Parlamento, dopo la scissione del Movimento Cinque Stelle rimasto orfano dei dieci senatori e circa sessanta deputati che hanno seguito Luigi Di Maio, la Lega è il primo partito.

 

L’evoluzione dello scenario italiano, con l’affermazione sempre più convinta di coalizioni di centrodestra guidate dalla destra radicale, fa eco alle mutazioni che sono in corso in Europa.

 

Diverse formazioni di destra estrema e post fasciste cercano di diventare credibili nella loro aspirazione a governare, facendo leva sulle paure e sulle pulsioni contraddittorie di un elettorato davanti al quale si annunciano ancora anni di crisi.

 

Le proposte delle destre fanno spesso riferimento a modelli di democrazie illiberali come l’Ungheria di Viktor Orban, a teorie complottiste come l’idea di un piano di qualche forza oscura per attuare una sostituzione etnica in Europa, a valori tradizionali messi in pericolo dalle lotte per l’affermazione dei diritti civili. Di-segno Nero è stato un ciclo di incontri e inchieste, queste ultime coordinate da IrpiMedia, organizzato a maggio da Fondazione Feltrinelli. A ogni conferenza gli ospiti nazionali e internazionali hanno analizzato le destre di Italia, Francia, Germania e Polonia: strategie di consenso, linguaggi, similitudini, rapporti con l’universo dei valori cristiani e differenze nell’approccio al tema della vicinanza con la Russia.

 

Normalizzazione in corso

Secondo il francese Marc Lazar, storico e sociologo della politica intervenuto alla Fondazione il 17 maggio, Marine Le Pen è «una (esponente) dell’estrema destra dal volto umano». Alle elezioni legislative dello scorso 12 e 19 giugno il suo partito, il Rassemblement National (RN), ha conquistato il 53,69% dei voti, che si traducono in 89 deputati all’Assemblea Nazionale, un record. Due mesi prima, in aprile, Le Pen aveva perso il ballottaggio per le presidenziali – le ultime della sua carriera, stando alle sue dichiarazioni di maggio – fermandosi al 41,5% delle preferenze.

 

Sembra ormai inesorabile il percorso di de-demonizzazione, come dicono in Francia, del suo personaggio, del suo programma politico e del suo partito. Il «cordone sanitario» per contenere la popolarità dei messaggi del RN ormai non è più in grado di reggere l’urto. Lo ha scritto il collega Vincent Bresson nella sua inchiesta: Le Pen durante le presidenziali, tra luci e ombre, è emersa come «forza tranquilla» contrapposta al volto nuovo dell’estrema destra francese, Éric Zemmour. Quest’ultimo è stata una grande sorpresa alle presidenziali, ma alle legislativa non è riuscito a piazzare nemmeno un candidato del suo partito Reconquete all’Assemblea Nazionale.

 

Il dualismo tra Zemmour e Le Pen sembra comunque aver favorito il mondo della destra francese, anche se Zemmour vorrebbe arrivare a un’unica coalizione più riconoscibile.

 

Il linguaggio che conquista nuovi elettorati

Giorgia Meloni durante la convention programmatica del suo partito Italia, energie da liberare (di cui abbiamo scritto in questa inchiesta), si è candidata alla guida dell’Italia. Se per il RN di Le Pen il percorso di normalizzazione è avvenuto attraverso la conquista dei voti popolari, Meloni invece cerca di proporsi soprattutto come il partito dei piccoli imprenditori che si riconoscono nel conservatorismo. La scelta si ripercuote anche nelle scelte nei gruppi di riferimento al Parlamento europeo: Le Pen è in Identity and Democracy (ID) con la Lega di Matteo Salvini e Alternative für Deutschland (AfD), Meloni guida i conservatori dell’ECR (European Conservatives and Reformists) con gli spagnoli di Vox e soprattutto i polacchi di governo di Diritto e Giustizia (PiS).

 

Data la storia di Fratelli d’Italia, il posizionamento con i conservatori è un’operazione di rebranding tesa ad allontanare gli accostamenti al fascismo e al razzismo e a trovare un elettorato orfano di vecchi riferimenti (come Silvio Berlusconi) che possa essere sensibile alle sue proposte. Raffaele Fitto, ex Forza Italia, è stato in Europa uno degli artefici del passaggio del partito di Meloni al gruppo ECR. L’approdo nella casa dei conservatori è stato un passaggio decisivo per rendere Fratelli d’Italia all’apparenza un partito “moderato”.

 

A spingere verso questa mutazione sono state alcune scelte di linguaggio, di Fratelli d’Italia, come di tanti altri partiti di destra estrema. Lorenzo Monfregola, da Berlino, ha raccontato in questa inchiesta il modo attraverso cui la destra che si riconosce in AfD ha cambiato il suo modo di comunicare.  Le parole d’ordine sono quelle che un tempo erano associate a posizioni liberali, come l’etno-pluralismo, secondo il quale ogni cultura ha lo stesso valore e la diversità delle culture deve essere preservata.  «Allo stesso tempo, però – spiega Simon Meier-Vieracker, professore di Linguistica applicata all’Università di Dresda – si comunica che ogni cultura abbia il suo luogo ancestrale e che ci debba essere la minor mescolanza possibile. Si tratta così essenzialmente di una posizione razzista, ma che contemporaneamente prende esplicitamente le distanze dal razzismo».

 

Valori cristiani alla prova

Per quanto si possa evolvere, il linguaggio della destra non può prescindere da alcune parole d’ordine. Secondo Giorgia Serughetti, ricercatrice in Filosofia politica all’Università di Milano Bicocca, sono patria, famiglia e libertà. Sono parole che rimandano ai valori della tradizione cristiana, punto di riferimento di una parte consistente delle nuove destre.

 

Il Paese dove probabilmente c’è un legame più forte tra la chiesa e una parte della destra è la Polonia. Qui ogni 11 novembre si celebra la festa dell’Indipendenza nazionale, che dal 2009 è diventata un’occasione di richiamo per le destre di tutto il continente. Fabio Turco, giornalista freelance di Centrum Report che vive a Varsavia, ha indagato proprio le fratture delle varie anime della destra polacca. La destra di governo – quella di Diritto e Giustizia (PiS), il partito del Primo ministro Mateusz Morawiecki, alleato di Giorgia Meloni – ha avuto una grande cassa di risonanza nella chiesa polacca.

 

Scrive Turco che «sono stati molti i casi in cui i preti hanno fatto campagna elettorale dall’altare. Il bacino di voti proveniente della campagna è stato fondamentale per le affermazioni alle elezioni del 2015 e del 2019. La moneta di scambio è stata l’approvazione di alcune leggi che la Chiesa polacca chiedeva da tempo, come la chiusura domenicale dei negozi. Anche la sentenza del Tribunale Costituzionale sulla legge sull’aborto è andata incontro a questo tipo di richieste».

 

L’intreccio tra valori della chiesa e posizioni politiche sull’aborto è tornato nell’agenda politica internazionale dopo la clamorosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 22 giugno 2022 (Dobbs v Jackson Women’s Health Organization) con la quale si consegna ai singoli Stati il potere di decidere o meno se concedere il diritto all’aborto. Il quadro che si presenterà in alcuni Stati degli Stati Uniti potrebbe da ora in avanti assomigliare a quello della Polonia, dove c’è un divieto pressoché assoluto sull’aborto. La decisione della Corte Suprema si allinea alle richieste della destra ultra religiosa americana, rappresentata da alcune organizzazioni transnazionali come l’Organizzazione mondiale per la famiglia, guidata dall’americano Brian S. Brown. Sia Fratelli d’Italia, sia la Lega hanno presenziato gli eventi dell’organizzazione. In un recente comizio in Spagna Giorgia Meloni ha dichiarato «sì alla cultura della vita, no all’abisso della morte» mentre Matteo Salvini ha dichiarato di essere «personalmente per la difesa della vita dall’inizio alla fine», «ma – ha aggiunto – quando si parla di aborto l’ultima parola spetta alla donna, non ad altri». Entrambi i partiti assicurano che la 194 in Italia non verrà mai messa in discussione. Sarà davvero così?

 

Fotografia: ev
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