In risposta alle fragilità territoriali e alle povertà educative occorre sperimentare nuovi processi, nuove alleanze e nuovi modelli di sviluppo territoriale che siano capaci di tornare a garantire mobilità sociale e promuovere pari opportunità. È un processo che richiede tempo, coraggio, forza di pensiero, immaginazione, strutturazione e de-strutturazione di scenari alternativi, che impone la necessità di non dare nulla per scontato e di non rifugiarsi in un consolatorio “finora ha sempre funzionato così”. Leggere oggi Danilo Dolci ci aiuta ad avere coraggio e fiducia in quello che possiamo costruire per un futuro migliore, partendo da sé stessi, dalla capacità di mettersi in discussione, vedere lontano e trovare alleanze. L’estratto che pubblichiamo è un invito alla responsabilità, per ciascuno di noi.
Estratto di Danilo Dolci, Esperienze e riflessioni, Universale Laterza, 1974 pp. 252 – 254
Se rifletto all’attuale programma del Centro studi e iniziative, talvolta penso come è ancora solo un inizio, ma anche come ero preso dalla febbre quando ho deciso, avendo ben guardato nel fondo dell’Università e della “vita di società” che mi attendeva, di non partecipare all’andazzo del mondo come mi si presentava, per fare invece fondamentalmente quello che mi persuadeva. Era uno strappo. Ero solo. Non sapevo come andava a finire.
Se ora mi guardo indietro e mi rivedo iniziare i primi passi, ignorante di lavoro sociale, ignorando tutto della zona dove mi sembrava necessario cominciare a lavorare, penso come è stato bene obbedire al bisogno che avevo dentro vincendo i complessi che l’ambiente e i vecchi sogni mi suscitavano. Impegnandomi giorno per giorno ho potuto comunicare a capire quello che non sapevo, farmi le ossa nel cercare di superare le difficoltà, prima solo con la mia coscienza in un piano più istintivo a dimensioni ridotte, poi con alcuni amici in modo più organico a dimensioni maggiori, poi coi gruppi al lavoro.
Quanti errori sono occorsi per apprendere qualcosa – nei rapporti con le persone, coi gruppi, con moltitudini – quante lacune si sono superate lavorando; quanti rimorsi occorrono per sbagliare di meno. A poco si è riusciti? Avrei potuto fare di più, avremmo potuto fare meglio? […] Sono lieto di aver collaborato con centinaia e centinaia di persone attivamente coraggiose… […] Soprattutto sono felice di aver visto crescere dei giovani seri, in tanto più acuti e sensibili di me. […]
La maggior difficoltà? L’enormità del lavoro che ci aspetta. È dannoso, criminale, diffondere ottimismo e faciloneria. Ma non vendersi, non accettare il prostituirsi come il modo di risolvere i propri problemi, opponendosi a quanto si disistima: lo si decide.
Buttarsi per realizzare una vita nuova, lo si decide. Non sedersi ai primi insuccessi o successi, lo si decide. Chiamare mancanza di concentrazione l’esaurimento nervoso, non confondendo causa con effetto, lo si decide (e pure lo si impara).
Formarsi una sistematica capacità di conoscere, concentrarsi, non lasciarsi risucchiare dalle mode improvvisate o commercialmente pianificate: si decide e si impara. Collegarsi a quanto ha valore: se si vuole, si impara. Se la nostra scoperta è profonda, in qualsiasi punto avvenga, tutto si illumina: si impara.
A non aspettarsi di trovare già pronti e a punto gli strumenti che ci sono necessari, a costruirli appositamente giorno per giorno; e nel contempo a non rifiutare di assimilare quanto può venire da altrove, da altri tempi: si impara.
A controllare continuamente se le tendenze si modificano, per effetto di quali cause, con quali possibili conseguenze e nuove necessità di intervento: si impara.
Ad avere giusta fiducia, a trovare le giuste collaborazioni, a vincere: si impara.
Sapere inventare con gli altri, in modo organico, il proprio futuro, è una delle maggiori riserve di energia rivoluzionaria di cui il mondo possa disporre, uno dei modi essenziali per liberare nuove possibilità di cambiamento.