Leopardi a Cancellieri
Dal patrimonio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Io aveva spedito costà il mio opuscolo sperando che la spesa per la stampa non avesse a montare a più di una dozzina circa di scudi. Ma quello che si chiede da codesti stampatori, forma una somma di cui non conviene che io disponga, e però devo consentire che il mio libretto rientri nell’oblio, e vi resti, se sarà necessario, in eterno.
…
Volgersi ad altra parte sarebbe inutilissimo. Ci vuol la presenza, caro sig. Cancellieri, e senza la presenza non si fa nulla. A Milano si stampa quel che si vuole da chi ha la fortuna di trovarvisi, e tutto a conto degli Stampatori o con sicurezza dell’esito.
…
Tutti stampano e solamente a noi miserabili non è concesso di stampare nulla. Quando abbiamo scritto e copiata un’opera, non abbiam fatto niente. Conviene languire anni interi, e poi gettarla sul fuoco.
Sono otto mesi che ho spedito a Milano due lunghe opere a chi mi aveva promesso di stamparle a suo conto. So che le ha ricevute e che le tiene sul suo tavolino, ma non altro, e son per iscrivergli che il freddo mi obbliga a ridomandargliele per servigio del focolare domestico.
Il testo è tratto dalla lettera di Giacomo Leopardi all’abate Francesco Cancellieri in data 20 dicembre 1816, contenuto nel testo “Epistolario di Giacomo Leopardi”.
Vol. I
Firenze : Le Monnier, 1934
La lettera figura a pp. 40-42