Quello dell’energia è uno dei temi più sentiti di questa campagna elettorale. La guerra in Ucraina ha innescato una severa crisi energetica, innescata dalle speculazioni sul prezzo di scambio al kilowatt sul mercato di Amsterdam. Il metano ha raggiunto prezzi mai visti, sfondando in alcune occasioni la quota di 300 euro per MWh: considerando che tra il 2017 e 2019 il prezzo gravitava intorno ai 20 euro per MWh, si può intendere la natura straordinaria di queste oscillazioni. All’impennata del prezzo della materia prima, si aggiunge la questione dell’elettricità, il cui prezzo è ancorato a quello del gas.
L’aumento nel prezzo del gas, materia prima fondamentale per la struttura produttiva e i consumi civili, fa presagire un diverso impatto su diversi gruppi sociali e settori economici. A livello di cittadinanza, gli ambiti sono tipicamente due: il costo delle bollette elettriche e, in prospettiva, il costo del riscaldamento.
Qui ci si aspetta che i rincari maggiori si concentrino sui redditi più bassi, esponendo queste fasce sociali a una maggiore energy poverty, nome cool per dire che uno non ha i soldi per pagare le bollette.
Dall’altro lato, in Europa si registra un’inflazione senza precedenti, con tassi che oscillano tra il 7 e il 9% su base annua. Ancora, ci si aspetta che a pagare di più siano i meno abbienti anche perché l’inflazione sta interessando tutti i generi di consumo, compresi quelli alimentari di prima necessità. Sarebbe interessante spendere due parole sul comportamento della BCE, che ha preventivato un rapido rallentamento della spinta inflattiva. La Presidente Christine Lagarde ha chiesto scusa pubblicamente per aver sbagliato le stime. Scuse simili a quelle arrivate dopo la gestione della crisi greca da parte del Fondo monetario internazionale che allora lei presiedeva.
L’impatto dell’aumento del prezzo del gas si vedrà però soprattutto sull’economia reale. In particolare, sulle industrie energivore di cui abbiamo parlato nei due articoli precedenti su giustizia climatica e transizione ecologica e tutela del territorio e concezioni ambientali. Le prime procedure di cassa integrazione stanno venendo approvate. Nel settore siderurgico, è notizia della settimana scorsa la chiusura temporanea dell’area a caldo di Arvedi a Cremona, delle casse integrazioni a Terni e dei blocchi temporali del gruppo Marcegaglia e dell’Alfa Acciai di Brescia. Altri comparti, come ceramica e vetro, si preparano ad affrontare un inverno difficile. Confcommercio stima che siano a rischio chiusura circa 120mila imprese e più di 350mila posti di lavoro nei primi sei mesi del 2023.
Lo scenario che va prospettandosi è quindi quello di una crisi che da energetica diventa economica, con il 2023 nuovamente segnato da una recessione.
A ciò si associa poi l’inflazione, che erode il potere d’acquisto della popolazione e aumenta il rischio di povertà, dato che l’adeguamento dei salari all’inflazione sembra responsabilità solo dei dirigenti di Stato.
Prima di andare a discutere i contenziosi politici, due parole sull’azione del governo. Nell’ottica della transizione ecologica, sono ripartite le principali centrali elettriche alimentate a carbone (Brindisi-Cerano, Civitavecchia, Marghera, La Spezia, Sulcis). Dall’altro lato le sanzioni alla Russia per l’aggressione all’Ucraina non sembrano essere oggetto di contesa, in linea con gli spazi di autonomia che l’Italia ha disponibili in politica estera.
Si mira inoltre a limitare la domanda di energia, soprattutto per uso domestico, come dimostrato dalle linee guida del “Piano Cingolani”. La questione energetica è strettamente legata a quella ambientale. Le centrali elettriche fossili sono infatti, insieme all’industria e ai trasporti, una delle principali voci in termini di emissioni di gas climalteranti. La prospettiva è quella di virare sempre di più verso le rinnovabili, con tuttavia qualche problema di scala: si pensi che per sostituire una centrale termoelettrica di dimensioni medio-piccole come quella di Voghera (potenza installata 400 MW) con l’eolico, occorrono circa 150 pale (potenza installata 2,5/3 MW). E non è inoltre scontato che l’energia “pulita” non abbia comunque un impatto sul territorio, in termini sia paesaggistico che di smaltimento dei rifiuti a fine vita degli impianti.
Approfondendo il livello elettorale, le linee di demarcazione sembrano riguardare la questione del nucleare e la disponibilità circa nuove trivellazioni nella costa adriatica; sul resto – rinnovabili, comunità energetiche, posizione sul price-cap europeo – i partiti sembrano essere sostanzialmente in accordo tra loro.
Movimento 5 Stelle
Il Movimento guidato da Giuseppe Conte propone l’implementazione di un nuovo “superbonus energia imprese”, che ricalca la stessa logica del bonus edilizio, dato che è “basato sulla circolazione dei crediti fiscali, per permettere alle imprese di investire a costo zero nel risparmio energetico e nelle fonti rinnovabili”. Inoltre, vi è la proposta di attuare una “sburocratizzazione per favorire la creazione di impianti di energia rinnovabile” e misure di contrasto al caro bollette. Rilevante, infine, la posizione sulle nuove trivellazioni, a cui il movimento si dice contrario, sulla scorta della posizione che si concretizzò nei referendum del 2017.
Centrodestra
In linea con gli altri partiti, il centrodestra si dice favorevole all’aumento della produzione di energia rinnovabile e si pone a “sostegno alle politiche di price-cap a livello europeo”. Sul tema “energy mix” e nucleare, si parla di “ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro”. Fratelli d’Italia e Lega si dicono poi favorevoli alla messa in funzione dei rigassificatori, a nuove trivellazioni e alla “promozione delle comunità energetiche”.
Partito Democratico
Il PD aggiunge alla rosa delle proposte – rigassificatori, rinnovabili, price-cap europeo – due politiche di compensazione: il fondo ani-nimby, per compensare i territori soggetti alla costruzione di infrastrutture impattanti sul territorio, e la “luce sociale”. Quest’ultima è una politica di contrasto all’energy poverty: si concretizza in un contratto ad hoc per redditi medio bassi: 1350 KWh/anno gratis, il resto a prezzo calmierato
Azione/Italia Viva
Il terzo polo articola la proposta su tre direttrici: Breve periodo, Medio periodo, Lungo periodo. Nel breve, si parla di mettere in funzione i rigassificatori, promuovere nuove trivellazioni e riattivare gli impianti già esistenti. Si parla di rinnovabili e di implementare un price-cap a livello europeo. Nel medio, la prospettiva è quella di ridurre le emissioni di CO2 del 55% al 2030: data le difficoltà che si prevedono per il raggiungimento di tale obiettivo, la proposta riguarda l’adozione di Carbon Storage System. Nel lungo periodo, invece, la coalizione di Calenda propone la costruzione di centrali nucleari per arrivare a “emissioni zero” nel 2050.
Conclusioni
La questione energetica si pone in modo preponderante nello scenario politico italiano. I partiti, forse sull’onda dell’ultimo governo di unità nazionale, propongono, per il breve periodo, posizioni compatibili. L’agenda è anche stavolta quella della commissione: rinnovabili, rigassificatori per il GNL di importazione, comunità energetiche. Motivo di scontro è l’adozione o meno del nucleare in Italia. Non pago del referendum abrogativo del 2011 (e di quello del 1987), a neanche una generazione di distanza il centrodestra ripropone la riattivazione del dibattito sull’energia a fissione, imitato da Calenda e Renzi.
Il contesto internazionale è profondamente cambiato, e non è escluso quindi che il tema del nucleare assumerà una certa rilevanza nel dibattito pubblico.
Infatti, per quanto riguarda gli approvvigionamenti di gas dalla Russia, le sanzioni, il relativo stop alle importazioni, nonché le sue conseguenze economiche non sono sostanzialmente oggetto di discussione: anche la Lega, più critica per un certo periodo, si è riportata sulla linea delle posizioni di Stati Uniti, NATO e Unione europea, nonché degli altri partiti.