Università degli Studi di Pavia

Quanto siamo davvero eguali di fronte ad una pandemia?

La nostra Costituzione, che in tema di eguaglianza si distingue nel panorama delle moderne leggi fondamentali per ricchezza di contenuti e per ampiezza di prospettive, presidia questa condizione universale di pacifica convivenza sia vietando disparità legali di trattamento (basate sul sesso, la lingua, la “razza”, la religione, le opinioni politiche, le condizioni personali e sociali), sia imponendo alle istituzioni repubblicane di attivarsi per garantire il pieno sviluppo della personalità e l’effettiva partecipazione di tutti alla vita sociale. La dimensione formale, ereditata dalla tradizione liberale, si salda all’inedita proiezione sostanziale, ispirata dalle dottrine socialdemocratiche, per dare vita ad un disegno costituzionale che aspiri ad andare oltre l’astratta titolarità dei diritti fondamentali promuovendo l’effettivo godimento degli stessi, nonostante i tanti ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongono lungo il cammino esistenziale di molti.

Non vi è alcuna contraddizione tra le due versioni di eguaglianza, anche se la proiezione sostanziale può giustificare, come nel caso delle azioni positive, deroghe alla dimensione formale. Le nostre Madri e i nostri Padri costituenti hanno promesso una rivoluzione legale, parafrasando Calamandrei, grazie alla quale, per porre rimedio ai fallimenti del mercato che avevano deluso la fiducia riposta nella smithiana mano invisibile, anche i soggetti deboli avrebbero potuto accedere ai beni indispensabili per poter esercitare concretamente i diritti fondamentali: perché senza una casa non ha senso riconoscere la libertà di domicilio; perché senza istruzione la libertà di manifestazione del pensiero non sarebbe efficace; perché senza mezzi di trasporto la libertà di circolazione resterebbe sulla carta; e così via. Nessuna contraddizione, quindi, ma due facce della stessa medaglia: una conquista del costituzionalismo socialdemocratico messa a disposizione della giustizia e dell’equità sociale.

Un disegno così ambizioso, proprio perché diretto a sovvertire antichi costumi e radicate convinzioni, è esposto a innumerevoli rischi, che si annidano dietro variabili non sempre immaginabili e governabili: dagli indirizzi politici assecondati dalle diverse forze politiche che si avvicendano alla guida del Paese allo stato dell’economia, dalla capacità di reazione dell’opinione pubblica alla diffusione di modelli culturali. E, poi, arriva l’impensabile, che ci ha messi di fronte alle nostre responsabilità in termini di mancata capacità di immaginare e tentare anche l’impossibile.

Chi avrebbe immaginato una diffusione così rapida, estesa, aggressiva, di un virus generato dalla combinazione di fattori naturali, umani, tecnologici, e che avrebbe stravolto le nostre abitudini di vita, i nostri legami, l’idea stessa di convivenza, la fiducia verso le istituzioni, il senso stesso della libertà e delle regole che di essa sono garanti e, nel contempo, limite?

La pandemia ha posto le condizioni per una insidiosa e concreta riemersione dei fattori di discriminazione stigmatizzati dall’art. 3 della Costituzione.

Il difficile e tormentato cammino della parità di genere, già segnato da contraddizioni ed esitazioni, ha subito un duro contraccolpo per effetto di una pandemia che ha ulteriormente appesantito i tanti fardelli che rendono più complesso il cammino esistenziale della donna, in termini di pieno sviluppo della personalità e di effettiva partecipazione alla vita comunitaria. Madri lavoratrici, già impegnate spesso in una impari lotta per non trascurare la famiglia nonostante gli impegni professionali, hanno assunto il peso di compiti inediti, quale quello di assistere i propri figli nella didattica a distanza, con ripercussioni non marginali sul versante lavorativo.

La complicata gestione dei flussi migratori con la pandemia ha assunto toni ancor più accesi essendo diffuso l’abbinamento tra lo straniero e l’untore, colui che attracca clandestinamente nel nostro Paese portandoci il male. Chi, in nome di un esasperato e miope sovranismo, ha evocato con drammatica forza la chiusura delle frontiere ha trovato (o ha creduto di trovare) in questa emergenza ulteriori semi di intolleranza da spargere in un campo sociale già segnato da profonde lacerazioni e contraddizioni. E tutto ciò sottovalutando la circostanza che nei Paesi più deboli il virus è stato importato attraverso ospiti occidentali.

La gestione sanitaria ha imposto scelte drammatiche, specie ai suoi esordi, viste le carenze logistiche e di fornitura dei presidi medici. Soggetti già ampiamente vulnerabili hanno visto negarsi le cure necessarie, così andando incontro ad un destino atroce. Senza dimenticare la distrazione di risorse dal trattamento di patologie anche molto gravi per concentrare le forze sulla lotta al coronavirus. Le diseguaglianze basate sulle condizioni personali sono andate così ampliandosi e amplificandosi, con effetti spesso irreversibili.

Lo stesso vale per i tanti studenti disabili, la cui lontananza dalle strutture scolastiche ha bruscamente interrotto il vitale rapporto innanzitutto con l’insegnante di sostegno che caratterizza il loro percorso formativo individualizzato. La didattica a distanza, non sorretta da un supporto fisico qualificato, ha ulteriormente accentuato il gap rispetto agli altri compagni di classe e la possibilità, garantita dalla normativa a tal fine introdotta, di ripetere l’anno rappresenta una sconfitta più che un rimedio ragionevole.

Da ultimo, la mobilità sociale che il coronavirus ha reso ancora più complicata, se mai ce ne fosse stato bisogno visti i dati sconfortanti che, sul punto, da decenni caratterizzano negativamente il nostro Paese. L’impegno delle istituzioni repubblicane, in base al secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, va anche nella direzione di garantire davvero pari opportunità di promozione sociale a favore di chi nasce e vive in contesti familiari e sociali difficili.

Il già impervio cammino verso un pieno svolgimento della personalità coerente rispetto ai talenti e ai meriti dimostrati, diventa ancor più proibitivo a causa dei tanti ostacoli frapposti da una pandemia che chiude l’accesso al lavoro e alle professioni, che frustra l’impegno scolastico, che impone di concentrare le risorse personali già scarse nella adozione delle misure di prevenzione e di cura imposte dal Covid-19. L’ascensore sociale, già rallentato se non bloccato dalla combinazione nefasta di elementi eterogenei tutti protesi a scoraggiare il merito, diviene una chimera o un concetto astratto sotto il peso di eventi sociali che vedono tutti noi indifesi di fronte ad un male insidioso e misterioso.

La ricerca costante della coesione, l’assunzione individuale e collettiva delle responsabilità che gravano su tutti noi consociati, la fedeltà ai nostri princìpi costituzionali sono gli ingredienti necessari per invertire la rotta e riaccendere la speranza dell’eguaglianza.

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