New York University
Politecnico di Milano

Molte città del Golfo Persico sono in rapida espansione. Alcune di queste città hanno tratti indiscutibilmente sensazionali. L’edificio più alto del mondo – il Burj Khalifa – è a Dubai, città in cui si terrà l’Expo 2020. La Coppa del Mondo del 2022 sarà disputata nelle fantastiche strutture che il Qatar sta realizzando a Doha. Nel quartiere di Masdar, ad Abu Dhabi, si sperimentano tecnologie avanzatissime per l’architettura sostenibile e l’urbanistica ecologica. L’Arabia Saudita sta costruendo cinque new town nel deserto. Il Louvre, la Sorbona, la New York University, così come molte altre università americane ed europee, hanno nuovi campus e sedi satellite in questa regione. Queste iniziative fanno parte di strategie per diversificare le economie urbane e per rispondere alle grandi ambizioni delle città e dei paesi del Golfo, che si stanno inserendo rapidamente nello scacchiere politico globale. Il fatto che città come Dubai stiano diventando dei modelli di riferimento per altre metropoli asiatiche e occidentali conferma l’urgenza di approfondire la comprensione delle città del Golfo, evitando di far affidamento su semplici stereotipi, di essere ingannati da sensazionalismi o, al contrario, da facili pregiudizi.

 

DUBAI 2017, Sheik Zayed Road, Looking West. Fotografia di Michele Nastasi

 

DUBAI, 2010, Downtown Dubai and Burj Khalifa. Fotografia di Michele Nastasi

 

In particolare, Dubai, Abu Dhabi e Doha, mostrano dinamiche estreme dell’urbanizzazione contemporanea, che tuttavia non sono sempre semplici da comprendere. Molti dei concetti e dei paradigmi urbanistici – nati e utilizzati per analizzare il mondo urbano occidentale – sono messi in crisi dalla dinamicità e perfino dall’esistenza stessa delle città del Golfo. Cosa succede alle città quando gli investimenti immobiliari abbondano, la regolazione è debole e la trasformazione urbanistica diventa iper-accelerata? Come fanno le élite di queste città ad allineare una sensibilità cosmopolita con regimi autoritari e tradizionalisti, a conciliare gli obiettivi di apertura internazionale con la contestazione delle condizioni dei lavoratori immigrati, della segregazione e delle profonde disuguaglianze sociali? Che senso possono avere i giganteschi investimenti o l’innovazione ambientale di città come Masdar, mentre alcune economie petrolifere alimentano un disastro ecologico di scala mondiale? Per rispondere a queste e ad altre domande, gli autori di questo breve articolo hanno recentemente coordinato una ricerca internazionale che ha coinvolto studiosi con varie specializzazioni (architettura, urbanistica, sociologia e studi urbani, geografia, …) e provenienti da diversi paesi, dall’America, all’Europa, al Medio Oriente.

 

DOHA, 2017, Skyline View Point. Fotografia di Michele Nastasi

 

Dalla ricerca sono derivati un libro – intitolato The New Arab Urban: Gulf Cities of Wealth, Ambition and Distress – e una mostra – Learning from Gulf Cities – che collocano le città del Golfo in un più ampio panorama economico, tecnologico e della progettazione urbanistica e architettonica. È sempre più evidente che città come Dubai, Doha e Abu Dhabi importino progetti, piani e soluzioni urbane dall’estero, le sperimentino alla massima velocità localmente e poi le esportino a livello globale. Al di là dei singoli esperimenti e dei record, molte dinamiche e player delle città del Golfo Persico sono simili a quelli di altre grandi metropoli occidentali, che tuttavia si sviluppano più lentamente. Non si tratta solo della presenza degli investimenti dei fondi sovrani degli Emirati Arabi Uniti o del Qatar a Londra (con il grattacielo Shard, che non a caso è il più alto d’Europa), o a Porta Nuova a Milano (con il grattacielo più alto d’Italia), oppure dell’uso degli stessi progettisti in Medio Oriente e in Europa. Più generalmente la partecipazione di operatori e istituzioni culturali occidentali legittima i progetti del Golfo, al tempo stesso li espone a critiche internazionali e progressivi miglioramenti locali che non intaccano lo status quo e le gravi disuguaglianze strutturali. La frammentazione dello spazio nelle città del Golfo permette di amministrare progetti e sviluppi in modo diversificato, senza garantire le stesse condizioni minime a tutti i luoghi e le popolazioni residenti.

 

KUWAIT CITY, 2017, Al Shaheed Park (detail). Fotografia di Michele Nastasi

 

Nella ricerca si mostra come – proprio in virtù dei loro caratteri estremi – osservare Dubai, Abu Dhabi o Doha aiuti a comprendere meglio quanto sta accadendo in altre città del mondo. Osservare queste nuove dinamiche attraverso le città del Golfo e quelle occidentali mette in evidenza gli effetti urbani di società divise tra ricchezza estrema e povertà, della gestione di immigrazione massiva e globale, del turismo istantaneo e dei mega-eventi, di economie accelerate che hanno ripercussioni ambientali devastanti. Per quanto le modalità di sviluppo delle città del Golfo non siano state previste dai modelli e dai paradigmi urbanistici occidentali, la loro attualità, le loro connessioni e il loro impatto in molte altre città del mondo (incluse Londra o Milano) sono innegabili.

I temi della accumulazione e distribuzione della ricchezza nelle città contemporanee saranno al centro dell’evento “LONDRA e DUBAI – Povertà/Ricchezza: come si riequilibrano economie urbane accelerate?” del 5 Marzo (ore 18:30) presso la sede della Fondazione Feltrinelli, in cui interverranno il fotografo Michele Nastasi, gli studiosi Yasser Elsheshtawy (Columbia University) e Paul Watt (Birkbeck University of London) in dialogo con Paola Briata (Politecnico di Milano) e Davide Ponzini (Politecnico di Miano).

I risultati della ricerca e il libro da essa derivato – The New Arab Urban: Gulf Cities of Wealth, Ambition and Distresssaranno discussi da un gruppo di studiosi nel seminario di Mercoledì 6 Marzo (ore 17:00) presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano (Via Ampere 2, Aula Gamma) con i curatori Harvey Molotch (New York University) e Davide Ponzini (Politecnico di Miano).

 

RIYADH, 2017, King Abdullah Financial District. Fotografia di Michele Nastasi

 

DUBAI, 2010, Business Bay. Fotografia di Michele Nastasi

 

LONDRA, 2014, The City seen from City Hall. Fotografia di Michele Nastasi


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