Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Per ritrovare la bussola, come consociati e come istituzioni, durante l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, ma anche pensando alla ripartenza da questa situazione di eccezionale crisi, può tornare utile richiamare l’attenzione sull’art. 2 della Costituzione, posto nel titolo «Principi fondamentali» dove sono racchiusi i primi dodici articoli della Carta del 1948, che, nel loro insieme, delineano «il volto della Repubblica», come fu ripetutamente affermato in Assemblea costituente. Si ricorda che la titolazione «Principi fondamentali», ad apertura del testo costituzionale, fu preferita dai Padri costituenti all’idea di isolare quei principi in un preambolo, con numerazione distinta, nell’intento di eliminare ogni dubbio sull’efficacia e vincolatività di tali principi, ritenuti “parte integrante” della Costituzione.
L’art. 2 della Costituzione parla di diritti e doveri insieme. Si tratta di un passaggio importante, spesso dimenticato o messo in ombra. È singolare che le trattazioni scientifiche in materia di diritti risultino assai più numerose ed estese di quelle in tema di doveri. Anche nelle espressioni comuni più frequenti sono i richiami ai diritti contenuti nella Costituzione.
Leggendo testualmente, nell’art. 2 è enunciato il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, insieme alla richiesta di adempiere ai «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» verso gli altri. Ne deriva che i diritti e i doveri – pur essendo situazioni giuridiche strutturalmente diverse (perché i primi comportano un “vantaggio” per il loro titolare, i doveri invece una posizione “passiva” e di soggezione ad un obbligo di comportamento) – trovano uguale fondamento nel testo costituzionale. Ciò ha un significato molto profondo: non esprime solo un “rapporto” tra diritti «inviolabili» e doveri «inderogabili», perché i diritti di libertà non si possono separare dai doveri di solidarietà di cui sono l’altro ed inscindibile aspetto, ma delinea anche un principio fondativo dell‘intero ordinamento repubblicano. Questo principio si sostanzia nella ricerca di un bilanciamento – ragionevole e proporzionale – tra diritti e doveri in via generale (e dunque sia nell’ordinario che nell’emergenza).
Le attuazioni delle regole di bilanciamento sono venute attuali nell’odierna crisi conseguita alla diffusione dell’epidemia Covid-19. In particolare, è risultato difficile costruire il bilanciamento circa il diritto alla salute. La salute è definita all’art. 32 della Carta costituzionale quale «fondamentale diritto dell’individuo» (l’unico così espressamente denominato in Costituzione) e «interesse della collettività», in continuità ideale con lo stesso art. 2, nell’esigenza di contemperare la dimensione individuale e quella sociale di questo diritto. Proprio la dimensione sociale, come tale, giustifica vincoli, obblighi e limitazioni alle scelte e alle libertà individuali, che siano percepite come pregiudiziali e rischiosi per la salute intesa come bene comune. In tal senso è la stessa Carta a prevedere che la libertà di circolazione e di riunione possano essere limitate per motivi di salute, sicurezza, incolumità pubblica (artt. 16 e 17 Cost.). All’art. 32 sono ispirati alcuni interventi del Governo, che hanno evitato possibili soluzioni drastiche di deliberato scarso controllo sulla diffusione del Coronavirus, come quelle che si sono profilate in alcuni altri Stati, anche membri dell’Unione europea.
Per ulteriore considerazione è da notare che, come i diritti, anche i doveri di solidarietà sono imposti dall’ordinamento – in linea di principio – a tutti, senza eccezioni (ed infatti l’art. 2 si riferisce all’«uomo» in generale). I Costituenti, nel mettere al centro la persona, avevano avuto in animo di richiamare come essenziale il principio di responsabilità, individuale e collettiva. Rievocare in questa emergenza la volontà originaria, determinante in sede Costituente, può tornare appropriato a comprendere l’esigenza di rendere più matura e attiva la posizione del cittadino. In particolare, l’incontro umano da necessità assoluta si è dimostrato come possibile fonte dei più gravi pericoli.
Dunque, se certamente compete allo Stato dare regole di condotta quotidiana, certamente è dovuto ai consociati, boni cives, tenere comportamenti “autoresponsabili”, mediante l’osservanza di regole rivolte a impedire la diffusione del virus, adottando condotte corrette e coerenti con il precetto costituzionale (e pure con quello codicistico del neminem ledere e quindi dell’art. 2043 c.c.). E invece sono noti i comportamenti impudenti e negligenti di tante persone che, specie all’inizio della pandemia, non si sono curate di tutelare la propria salute e quella degli altri, contravvenendo alle prescrizioni governative: chi è andato in montagna o al mare, pur abitando nelle zone del focolaio; chi, preso dal panico, ha affollato i supermercati e i treni a lunga percorrenza verso il Sud; chi ha continuato a fare vita sociale, soprattutto i giovani che si ritengono quasi immuni perché il virus pare colpire soprattutto la popolazione anziana; chi ha mantenuto lo stesso stile di vita, incurante dei limiti imposti, violando la quarantena e l’isolamento.
Infine, si può solo accennare che la generica espressione dell’art. 2 – «doveri di solidarietà politica, economica e sociale» – si presenta come “aperta” e dunque idonea a ricomprendere molteplici situazioni di dovere, non necessariamente definite dal testo costituzionale. E dunque tale espressione potrebbe anche venir intesa come giustificazione di ulteriori indicazioni per altri comportamenti doverosi nella fase di ripresa, quando convivere con il Coronavirus potrebbe essere più complicato che lottare contro il Coronavirus.