È piuttosto ironico che una Commissione Europea guidata da un ex ministro agli Affari Sociali (Ursula von der Leyen) sia quasi stata inaugurata senza che la parola “sociale” apparisse nel titolo di alcun commissario. Sarebbe stata una vergogna, soprattutto in un’epoca in cui la famiglia progressista è rappresentata nella Commissione con la percentuale più alta in circa due decadi. Inoltre, diverse organizzazioni della società civile e altri stakeholders stanno cercando proprio adesso dei modi per trasformare il cosiddetto Pilastro europeo dei diritti sociali (PEDS), un insieme di 20 princìpi non vincolanti, in una realtà sostenibile.
In effetti, una questione critica oggi è se l’UE sia capace di fornire supporto materiale ai suoi Stati Membri e regioni in modo sistematico per soddisfare degli standard sociali comuni e raggiungere degli obiettivi concordati insieme. Gli sforzi per rispondere a questa domanda hanno prodotto il concetto di Unione Sociale, che è stato coniato e promosso da scienziati sociali quali Frank Vandenbroucke, Maurizio Ferrera e Anton Hemerijck. Secondo la loro visione, l’Unione Sociale Europea non è un Welfare State Europeo, ma un’unione di welfare states nazionali, con eredità storiche e dispositivi istituzionali differenti. Ma quali passi concreti ci potrebbero aiutare a muoverci in questa direzione adesso?
Forse l’idea di riforma più spesso menzionata che abbia rilevanza sia economica sia per gli affari sociali è l’assicurazione contro la disoccupazione. Uno schema europeo basico di assicurazione contro la disoccupazione, e una sua versione di riassicurazione, con lo scopo di mettere parzialmente in comune fra gli Stati Membri i costi fiscali della disoccupazione ciclica, è stato promosso per anni come possibile stabilizzatore automatico per l’Unione Monetaria Europea (UME). Un tale strumento farebbe un collegamento diretto fra ridurre gli squilibri nella crescita del PIL e aiutare le vittime innocenti delle recessioni e delle crisi finanziarie. Aiuterebbe a sostenere la domanda aggregata durante cicli asimmetrici di recessione e fornirebbe una rete di sicurezza ai sistemi nazionali di welfare.
Stabilire almeno una certa capacità contributiva per l’area euro è stato molto discusso negli anni recenti e il nuovo budget a lungo termine della UE (MFF) è probabile introduca questo tipo di strumenti. Tutte le unioni monetarie esistenti funzionano con esempi di stabilizzatori automatici. Se ben progettato, uno schema di riassicurazione può funzionare bene, e potrebbe anche essere politicamente più fattibile. Un equo, basato su regole e prevedibile meccanismo di trasferimento a livello UME dovrà essere accettabile anche per i “Paesi surplus”, in modo da stabilizzare la moneta unica economicamente, socialmente e politicamente.
Un’altra area su cui l’interesse della coordinazione UE è aumentato sono i salari e le contrattazioni salariali. Sebbene l’UE non abbia competenze dirette in questo campo, la questione è progressivamente finita sotto l’influenza dell’UE. Per contrastare i trend negativi, i sindacati lanciarono una campagna per un’Alleanza Europea dei Salari alcuni anni fa. Come facilitare una convergenza verso l’alto sui salari è la questione centrale, e alcune proposte concrete sono già state avanzate.
Per esempio, si potrebbe cercare un accordo per soglie retributive garantite on ogni Paese, sulla base di un approccio coordinato verso salari minimi a livello europeo e assicurandosi che i livelli siano posti sopra la soglia della povertà e rappresentino una paga decente per il lavoro svolto. Salari minimi garantiti a livello nazionale permetterebbero di sostenere la domanda interna, migliorerebbero anche la situazione dei lavoratori distaccati e aiuterebbero a combattere il dumping sociale.
In secondo luogo, un guadagno minimo garantito (a livelli diversi per Paese) potrebbe essere un modo efficace per assicurare un adeguato sostegno di reddito e combattere la povertà fornendo incentivi per l’attivazione dove rilevanti. Questo “piano sociale nazionale” definirebbe indirettamente la performance minima attesa dagli stabilizzatori nazionali fiscali automatici in tempi di crisi economica.
Una terza direzione che deve essere sottolineata è quella che chiamiamo una economia sociale. Dato che la crisi economica e finanziaria post-2008 era principalmente il prodotto di un certo modello di business, un processo di riforma con l’obiettivo di un più resiliente potenziale di crescita è iniziato. Gli sforzi per riformare il modello di business, tuttavia, devono anche prendere in considerazione la responsabilità sociale, il benessere dei lavoratori e la partecipazione. Costruendo con la nuova attenzione sui diritti sociali (grazie al PEDS), si può fare di più per aiutare le aziende europee ad adattare il loro modello di business verso un migliore impatto sociale e ambientale.
- Possesso di titoli azionari per i dipendenti e altre forme di partecipazione finanziaria dei lavoratori nelle loro aziende potrebbero essere promossi per allargare il possesso di capitali. La legislazione europea e strumenti pratici connessi potrebbero essere particolarmente utili nell’incoraggiare la co-proprietà dei dipendenti nelle imprese operando in più di una giurisdizione nazionale;
- L’UE potrebbe promuovere ulteriormente l’applicazione di parametri che valutano l’impatto sociale e ambientale delle aziende;
- La cooperazione e l’apprendimento di conoscenze fra imprese sociali attraverso diverse nazioni potrebbe essere rafforzato, anche tramite sostegno di fondi UE;
- Una “socializzazione” delle strategie di investimento dell’UE (“InvestUE”) è un’ulteriore opportunità che non dovrebbe essere trascurata.
Ricerche condotte da Maurizio Ferrera hanno trovato forte sostegno per un più ampio budget UE mirato a promuovere investimenti sociali ed economici praticamente ovunque in Europa. Ciò aiuterebbe non solo le persone in condizioni di grave povertà ma praticamente tutti gli Stati Membri quando vivono un aumento della disoccupazione. Un simile ausilio non è stato possibile nel passato. Una capacità contributiva per l’Unione Sociale può quindi contare sui cittadini europei, finché gli strumenti e i meccanismi stabiliti sono ritenuti trasparenti ed efficaci.
Poiché il funzionamento della UE, e in particolare della sua governance economica, ha conseguenze massicce sulle relazioni industriali nazionali e sistemi di welfare (soprattutto tramite la loro base fiscale), c’è bisogno di una rete europea di sicurezza per le reti di sicurezza degli Stati Membri. Questo approccio va oltre l’esercizio per stabilire il PEDS, incorporando con fermezza i compiti del welfare state nel concetto di Modello Sociale Europeo e il meccanismo fiscale dell’UE stessa.
Unione Sociale
Adesso, il bisogno di un simile passo potrebbe non essere ovvio per tutti. Comunque, in anni recenti, senza nessuno momentum federalista, l’UE si è mossa verso un’unione bancaria, un’unione dei mercati dei capitali, un’unione sull’energia e un’unione per la sicurezza. Una discussione sull’Unione Sociale potrebbe essere molto utile se vogliamo evitare un ulteriore allargarsi del gap fra i lati sociali ed economici dell’integrazione.
Un’agenda sociale dell’UE nel ventunesimo secolo deve confrontarsi con diverse nuove questioni come l’impatto della digitalizzazione e robotizzazione sul lavoro, soprattutto per quel che riguarda gli effetti del cambiamento tecnologico sulle condizioni lavorative e le disparità di reddito. Su lavori, capacità e sicurezza sociale, il nuovo “strategie di lavoro” dell’OCSE fornisce un’analisi fresca e anche una guida. Insieme ad aggiornare costantemente le politiche sociali, l’UE deve anche monitorare la dimensione sociale di ogni politica dell’area UE, dal commercio internazionale alla competitività.
Il supporto popolare per gli Stati Uniti d’Europa potrebbe mancare ma, con i giusti argomenti, può essere generato per una Unione Sociale. Una simile iniziativa potrebbe ripristinare la fiducia nelle capacità degli Stati europei di riconciliare performance economiche forti con un alto livello di coesione sociale, e questo modello potrebbe servire da ispirazione per altri nel mondo.
Fonte: Ilfattoquotidiano.it