Joan Robinson ripeteva che neppure secondo Keynes si devono scavare buche per riempirle. La grande economista inglese del secolo scorso ricordando il grandissimo Keynes avvertiva che gli investimenti pubblici non possono limitarsi ad accrescere la domanda aggregata (durante la loro realizzazione), ma devono anche migliorare stabilmente la produttività del sistema, in modo da rendere sostenibili i prestiti necessari al loro finanziamento. è il concetto sottolineato tempo fa da Mario Draghi con la metafora del “debito buono” e del “debito cattivo”.
Non c’è dubbio che per risollevarci dallo sprofondo causato dal Covid occorra anche molta spesa pubblica in conto capitale qualificata. Si deve aprire una stagione intensa di investimenti pubblici, che innesteranno anche quelli privati. Il Fondo monetario internazionale su questo tema, sviscerato a fondo negli ultimi anni, ci consegna la seguente chiave di lettura. “The results suggest that the demand react strongly to public investment shocks, possibly because they signal a government’s commitment to growth and stability” (Fiscal Monitor, ottobre 2020, p. 21); è il whaterver it takes dell’economia pubblica. Avverrà in un momento storico in cui le insidie del surriscaldamento climatico sono sempre più manifeste. La transizione all’idrogeno e alle energie verdi e al resto dell’economia circolare richiederanno molto impegno, così come il digitale, la ricerca e la formazione del capitale umano. In questo quadro, tuttavia, si riscopre la validità di investimenti in campi tradizionali, come strade, ponti, edilizia pubblica e scolastica. Se, per esempio, si costruisce una nuova scuola, ben coibentata e connessa, si fanno passi avanti in più direzioni.
La situazione degli investimenti pubblici che abbiamo alle spalle è riassumibile, nelle quantità, dalla Tab. 1, che misura una debolezza italiana, responsabile in qualche misura della scarsa crescita degli ultimi 20 anni.
Tab. 1. Investimenti pubblici, quota sul Pil di alcuni Paesi, anni vari.
1995 | 2007 | 2018 | |
Area Euro | 3.3 | 3.2 | 2.6 |
Francia | 4.2 | 3.9 | 3.4 |
Germania | 2.6 | 1.9 | 2.3 |
Spagna | 4.3 | 4.6 | 2.1 |
Regno Unito | 2.2 | 2.5 | 2.7 |
Stati Uniti | 3.8 | 3.9 | 3.3 |
Giappone | 6.3 | 3.6 | 3.6 |
Italia | 2.6 | 2.9 | 2.1 |
Fonte: Corte dei Conti, Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica, Roma, 2019, p. 306.
All’interno degli investimenti della Pubblica amministrazione, quelli degli enti territoriali (Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni) nel 2018 si aggiravano attorno ai 16 miliardi (un punto scarso di Pil) segnando una piccola ripresa rispetto agli anni immediatamente precedenti. Il dato del 2019 (oltre 9,5 miliardi per i Comuni e oltre 1 miliardo per Città metropolitane e Province) consolidava la tendenza.
Il rallentamento degli investimenti locali discende principalmente all’austerity finanziaria, di cui il Patto di stabilità interno vigente fino al 2016 è stato il più miope custode, e la farraginosità amministrativa, alla quale il codice dei contratti approvato nel 2016 non ha portato rimedio. Oggi però, sotto entrambi i profili, la situazione è migliorata.
Sul lato delle disponibilità finanziarie vale la pena di menzionare almeno una parte degli stanziamenti previsti per gli enti territoriali (sanità esclusa) nelle leggi di stabilità per il 2019 e per il 2020. Sono 11 miliardi (per il triennio dal 2019 al 2021) e 4 (per il triennio successivo). Buona parte di questi fondi sono indirizzati all’efficientamento energetico e alla messa in sicurezza degli edifici. Sono inoltre attivi programmi di sostegno alle spese di progettazione e per le aree terremotate. La legge di stabilità per il 2021 prevede altre erogazioni l’edilizia scolastica. A tutto ciò si aggiungeranno le opportunità connesse con il Next Generation Eu (di cui rimandiamo ad altra sede).
Gli investimenti si finanziano con il debito. I mutui concessi agli enti locali nel periodo 2000-2006 in media annua superavano i 6 miliardi; nel periodo 2013-2018 furono sotto il miliardo. Solo nel 2019 tornano appena sopra questa soglia. Lo stock di debito passa dai 39 miliardi del 2000 ai 33 del 2020.
L’abbondante liquidità esistente (tra l’altro, oltre 1.600 miliardi di depositi bancari) rende assai improbabile che gli enti incontrino seri ostacoli di approvvigionamento in conto debito (da fonte bancaria e/o con obbligazioni). Il limite contabile è estremamente lasco. Per i Comuni gli interessi sul debito possono spingersi fino al 10% della somma dei primi tre titoli delle entrate correnti.
Anche sul lato della burocrazia, le cose sono mutate. Indicare nella burocrazia la causa di ogni ostacolo è prassi tanto diffusa quanto inutile, se non si entra nello specifico. Le procedure sono state semplificate almeno in campi come l’edilizia scolastica e le infrastrutture stradali (Decreto legge 76/2020). Si potrà migliorare aumentando gli spazi di autonomia dei Comuni. è il caso del “Piano di riqualificazione … delle aree degradate” (legge 190/2014) e del “Programma … per la riqualificazione urbana” (legge 208/2015) che finora hanno ottenuto risultati molto parziali soprattutto per il sovrapporsi di competenze nazionali e locali.
Ideare e realizzare infrastrutture è operazione inevitabilmente complessa per motivi finanziari e giuridico/procedimentali. In più pesano aspetti politici. Si ha l’impressione che, soprattutto nei contesti comunali, fare o non fare investimenti non comporti un significativo incremento o decremento di voti. Per lo meno, se possono essere vibranti le proteste per varie disfunzionalità di edifici pubblici, strade, viadotti e simili, l’amministrazione che decida, finalmente, di avviare l’iter per i rifacimenti non raccoglierà, per questa specifica iniziativa, grande messe di nuovi consensi. Agli occhi delle burocrazie politiche locali, la spesa corrente, in stipendi, sussidi, sagre e simili, rende di più della parte di bilancio che copre rate dei muti e relativi interessi.
Questo problema di public choice si attenua se i tempi si riducono. Una ricerca della Banca d’Italia rileva una durata mediana dei processi di investimento locale, di 4 anni e 10 mesi, che non sembra eccessiva. Ma se si considerano le realizzazioni di maggior impegno i tempi si dilatano notevolmente. Non resta che contare su migliore informazione e maggiore lungimiranza di governanti e governati.