Terreno di scontro identitario e partitico, i diritti civili e la tutela di quelli della comunità della comunità LGBTQ+ sono uno dei maggiori punti di frattura nei programmi elettorali
Cosa sono i diritti civili? Il diritto in versione minimalista, su cui c’è intesa generale, è quello dell’autodeterminazione della propria esistenza: parafrasando Isaiah Berlin, vorremmo tutti avere il diritto di essere liberi di mettere in atto un progetto di vita, e liberi da tutte le costrizioni esterne che ce lo impediscono.
Normativamente il riconoscimento di questi diritti è una conquista tutto sommato recente: era solo il 1966 quando veniva sottoscritto l’ICCPR, cioè la Convenzione ONU sui diritti politici e civili. Più di mezzo secolo dopo, anche nelle democrazie occidentali è diventato chiaro che la lotta per il godimento eguale dei diritti civili è ancora in corso, e che per alcune categorie la disciplina giuridica non è abbastanza.
Esiste un’alternativa alla democrazia liberale?
A porsi la domanda è Adam Gopnik sul New Yorker: l’argomentazione dell’autore parte dalla constatazione che, se esiste un modello imperfetto, allora ci sono anche delle intercapedini in cui ripensarlo e, persino, sostituirlo.
La politica è anche utopia: un programma politico ha il compito di pensare il possibile in una visione di futuro che, per evoluzione naturale, è alternativa a quella presente. I programmi politici non sono, non ancora, policies, ma per il solo fatto di affrontare alcuni temi ne disegnano i contorni che potenzialmente assumeranno nella realtà. Eppure, anche se non se ne parla (o non a sufficienza), il bisogno di tutela da parte dei singoli individui resta invariato: il compito di un partito è tradurre in domanda politica questa esigenza di protezione, così che la dimensione pubblica non collida, ma integri in armonia, anche le sfere più intime della persona.
La battaglia per i diritti Lgbtqia+ viene condotta in nome dell’unica richiesta di poter agire in accordo con ciò che si è, o che ci si sente, o con ciò che si desidera essere. È una battaglia contro gerarchie di diritti distribuiti secondo requisiti per i quali i membri della comunità Lgbtqia+ vengono identificati come “carenti”. Gli appuntamenti di questa battaglia non vanno certamente ignorati: nonostante le vicissitudini del ddl Zan, si potrebbe pensare, “almeno esistono le unioni civili”.
Tuttavia, la legge Cirinnà, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, è selettiva rispetto ai diritti e ai doveri riconosciuti alle coppie omosessuali; inoltre, il ragionamento è fallace perché in una democrazia che riconosca il pluralismo delle istanze, sarebbe opportuno usare una “balistica” dei diritti solo quando questi entrano in evidente, reciproco conflitto. Viceversa, le tutele da parte del decisore pubblico da sentimenti come pena e vergogna – che, come scrive Paul B. Preciado su L’Espresso, alcune minoranze conoscono meglio di altre – e la conseguente condanna di espressioni violente del pensiero non dovrebbero mai escludersi a vicenda.
Centrosinistra
Il terzo pilastro del programma del PD ambisce al pieno riconoscimento dei diritti civili delle persone Lgbtqi+, affinché possano autodeterminare la propria esistenza senza subire ostruzionismi che ne causerebbero pena e solitudine. In effetti, per sbarcare su TikTok il PD ha scelto il volto di Alessandro Zan: ferma quindi la battaglia a favore della legge contro l’omolesbobitransfobia, a cui si aggiunge il proposito di introdurre il matrimonio egualitario.
Eguaglianza è quindi la parola chiave per la ricomposizione delle differenze anche nel programma della Rete Verdi-Sinistra, che si rivolge alle “famiglie arcobaleno” e alle persone Lgbt+ (la sigla non comprende in questo caso la q di queer e la i di intersexual). In aggiunta alla proposta del matrimonio egualitario, anche l’accesso alle adozioni per persone dello stesso sesso (keyword assente nel programma del PD) e per single, accesso ai percorsi di procreazione medicalmente assistita per donne e coppie di donne, e riconoscimento di pari diritti per i figli e le figlie con genitori dello stesso sesso.
Prevista anche una legge contro le terapie riparative o di “conversione”, che sottintendono il trattamento di qualsiasi identità di genere non eterosessuale alla stregua di una forma di patologia. Allo stesso modo si scoraggiano interventi non necessari su bambini e bambine intersex, in pieno accordo con una Risoluzione del Parlamento europeo sui diritti delle persone intersessuali. Richiesta infine una revisione della legge 164/1982, che disciplina le norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, cioè la possibilità di modificare il sesso anagrafico sulla base dell’identità di genere.
+Europa si colloca sulla stessa lunghezza d’onda, sia per la lotta alle terapie riparative che per il riconoscimento dei diritti delle persone intersex e la riforma della legge 164/1982. La comunità Lgbtqi+ è poi assunta a dimensione transnazionale, perché il riconoscimento dei diritti della persona non ha confini statuali; soprattutto, l’Unione europea dovrebbe farsi carico della tutela delle persone Lgbti+, si legge nel programma, in Paesi membri come l’Ungheria o la Polonia.
Richiesta una riforma complessiva del diritto di famiglia, sulla base delle proposte di Famiglie Arcobalento e Rete Lenford, prestando attenzione al matrimonio egualitario, all’estensione dell’adozione alle coppie anche se dello stesso sesso o single, e al riconoscimento alla nascita dei figli del partner per le coppie dello stesso sesso anche se non sposate.
Terzo Polo e Movimento 5 Stelle
Abbiamo poi provato a cercare Lgbtqi+ nel programma di Renew Europe, ma non abbiamo trovato niente. Abbiamo continuato a provare ancora con “adozione”, poi con “matrimonio”, persino con “sesso”. Niente. Lo stesso per Impegno Civico.
Sintetico ma efficace lo slogan del M5S: “matrimonio egualitario e legge contro l’omotransfobia”. Assenti le adozioni, ricompare la legge che, presumibilmente, i movimentisti desiderano in una forma più mitigata rispetto a quella proposta nella versione del ddl Zan.
Centrodestra
Per le destre, la questione di genere non è solo identitaria: il confine tra pubblico e privato, in questa visione, si assottiglia così tanto da rendere la vita del singolo individuo un’arma ideologica. Tuttavia, all’interno della coalizione le priorità sono ben diverse e, a volte, in contrasto con gli slogan esibiti sui social o nei salotti televisivi.
Per Fratelli d’Italia la cosiddetta “ideologia di genere” non merita il rango di tema programmatico. Meloni ha fatto propria la massima lakoffiana di “non pensare all’elefante” e di non nominare l’avversario diretto, per cui nel programma non compare mai il ddl Zan né, tanto meno, l’acronimo LGBTQ o le sue estensioni. Si legge tra le righe di un vago “contrasto a ogni discriminazione basata sulle scelte sessuali sentimentali delle persone” (perché “tanto le unioni civili ce le abbiamo già”); vietate in assoluto le adozioni omogenitoriali.
Nelle 202 pagine di programma della Lega, neanche una volta compare l’acronimo “Lgbtqia+” (del resto, nel codice penale mussoliniano non c’era il reato di omosessualità, piuttosto ci si inventavano storie di “plagio”, come a dire che se non ne parliamo ne rimuoviamo l’esistenza).
Nella visione leghista la cellula strutturale della società è costituita dalla famiglia naturale, cioè quella basata sull’alleanza tra uomo e donna, e soprattutto tra uomo e donna biologicamente definiti.
Nel programma di Matteo Salvini c’è una confusa ostilità nei confronti del ddl Zan, esplicitamente menzionato due volte: la prima, in riferimento all’introduzione del concetto di “identità di genere”, che per le destre sfuma dal posizionamento ideale a quello ideologico. Proposito del programma leghista è quindi combattere “l’ideologia gender” e la fluidità. Le vittime dell’ideologia, in ordine, si rintraccerebbero nelle scuole, negli sport, nelle carceri e nei documenti pubblici (a proposito di legge 164/1982), e soprattutto nelle donne, prevaricate nel loro ruolo di angeli del focolare.
Nella retorica salviniana, che è a sua volta ideologica, la seconda ragione di contrasto con il ddl Zan è costruita su un procedimento retorico di “tirannia della minoranza”, tale per cui la tutela della comunità Lgbtqia+, che è comunità minoritaria per numero, costituirebbe una lesione alla libertà di opinione e di espressione della maggioranza oppressa.
Esiste un’alternativa alla famiglia naturale? E sarebbe forse “meno naturale”? La diversità desta sempre sospetto, perché rappresenta l’ignoto: ci fa paura e ci induce a precludere spiragli di incontro. È una specie di panico morale ad attivarsi come meccanismo difensivo rispetto alle sfumature, a ciò che si colloca nel mezzo e che non abbiamo, ancora, degli strumenti per definire con chiarezza.
Ma se la politica è esercizio immaginifico di futuro, può anche pensare a un’alternativa in cui le collocazioni non servono, o almeno non in modo così nitido.
Le istituzioni, ci ricorda Roberto Esposito, sono nomos e bios: istituiscono la vita in comunità e, allo stesso tempo, sono istituite dalla vita, cioè dal tessuto di rapporti in cui accadono i fatti sociali. Questo tessuto si sta muovendo. E la democrazia, che della tutela delle minoranze fa uno dei propri pilastri, non può ignorarne il rumore.