Ricercatore

Qualche giorno fa i quotidiani di tutto il mondo esibivano l’immagine di una Peugeot 108 carbonizzata, sola in un campo, a pochi passi dalla carreggiata, a Bidnija, nell’isola di Malta. Daphne Caruana Galizia abitava poco distante da lì. L’auto era a noleggio e Daphne Caruana Galizia, si andava dicendo, faceva tremare l’Europa intera. Non con bombe e pistole. A Malta lei indagava su scandali di corruzione e malgoverno. Accusava il Presidente Muscat e sua moglie di corruzione. E lo faceva, a suo dire, riportando i fatti.

La brutta storia di Daphne Caruana Galizia ci ricorda che dire la verità può essere una questione di vita o di morte.

Quello della verità in politica è un problema sul quale è sembrato a molti che sia in gioco una grossa posta. Dal momento che decidiamo di ricondurre la politica a un discorso sulla verità, infatti, spuntano nuove grane. Ovviamente i discorsi contrapposti sono sempre esistiti, così come diverse interpretazioni degli stessi fatti. Per non parlare poi delle dispute su cosa sia la verità, un enunciato vero, i fatti rilevanti, la corretta interpretazione dei fatti, l’attribuzione del valore di verità a proposizioni morali, e chi più ne ha più ne metta.

La più cauta discussione interessa i principi logici che stabiliscono la verità di un enunciato. Il campo della verità risiederebbe in una serie di tecniche insegnabili che gli uomini della politica dovrebbero padroneggiare e applicare diligentemente. Rilevare trucchetti retorici, fallacie, numeri e parole incantatorie nel discorso politico sarebbe dunque un divertente esercizio di contropotere.

Daphne Caruana Galizia non rilevava storture linguistiche e i vizi di ragionamento altrui, ma raccontava la cronaca di fatti altrimenti nascosti. Come lei, noi ci irritiamo quando veniamo a conoscenza di documenti compromettenti, relazioni pericolose e dati nascosti. Non si esagererebbe, però, dicendo che nemmeno l’attinenza ai fatti propria della più virtuosa attività d’inchiesta esprime fino in fondo la forza di questa storia. In effetti non ammiriamo indistintamente chiunque ci dica come stanno le cose, sia questo il più brutale caso di cronaca nera, un cupo intreccio di tradimenti e passioni, o una storia di malaffare.

Cosa allora rende così importante per noi la morte di Daphne Caruana Galizia? Credo che un indizio per la corretta interpretazione lo si possa trovare altrove. A ben vedere la triste fine di Daphne Caruana Galizia conclude una storia di tenacia e fermezza. Il che ha una duplice interpretazione. Anzitutto chi dice la verità rompe con il senso comune e guadagna una nuova prospettiva. Ma questo non basta. Colui che dice il vero si mette alla prova e mostra coraggio.

Ecco allora ciò che più ci interessa in questo contesto: il dovere-diritto di dire la verità (la parresia). Nel primo dei sei seminari tenuti a Berkley nell’autunno del 1983, Michel Foucault ci racconta che, almeno da Euripide (ca. 484-407 a.C.) fino a Giovanni Crisostomo (345-407 d.C), la parola parresia compare nel mondo letterario antico, per poi finire più o meno dimenticata. Parresia è di solito tradotto in inglese con «free speech», in francese con «franc-parler», in tedesco con «Freimùtigkeit», in italiano con «parlar chiaro»E parresiastes è colui che usa la parresia, cioè che dice la verità. Ma le conseguenze di questo atteggiamento non sono trascurabili. Se uno rompe con il senso comune, dimostra una speciale qualità etico-morale, ma rischia anche la pelle. 

Discorso e verità, Michel Foucault

 

Così, non deve sorprendere se quella di Daphne Caruana Galizia sia una storia da ricordare. Al pari di altri veri parresiasti, da Martin Luther King a Jan Patočka e Liu Xiaobo, la fine di Daphne Caruana Galizia merita una considerazione speciale. Daphne Caruana Galizia era una cittadina che sceglieva di restare in disaccordo a dispetto del pericolo. E a silenzio e adulazione ha preferito un gioco di vita o di morte.

Da questa storia s’impara che il gioco parresiastico non è un gioco per tutti. Non basta stanare il falso e appellarsi al rigore della logica o all’obiettività dei fatti. Il parresiasta esibisce la verità e se ne fa carico. E, come ricorda Foucault a più riprese, il gioco parresiastico non è proprio cosa per re, tiranni o grandi capi. Essi, che dicano la verità o meno, infatti, non rischiano nulla.

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