Di chi è la città se non di chi la abita?
E come si può essere parte della cittadinanza attiva se non conoscendo i luoghi della città, le sue vie, le sue intestazioni e il loro perché?
È partendo da queste domande, passeggiando per le strade della mia Milano, che ho cominciato ad interrogarmi sulle storie dietro ogni intestazione a vie e piazze, soprattutto per quelle che rimandano alla mie origini eritree e ai paesi accomunati dall’essere stati colonizzati od occupati per mano italiana.
Passeggiando per la città ho potuto notare quanto il passato coloniale sia ancora vivo e presente nelle intestazioni a vie e piazze e a quanto poco le vicende a esso legate siano studiate e indagate nelle scuole dell’obbligo. Eppure, la storia del colonialismo italiano – a volte definito “straccione” da alcuni storici, nel tentativo, a mio avviso, di ridimensionare l’impatto e la portata in comparazione ad altri colonialismi europei –, non è mai stato discusso seriamente. Al contrario, è stato spesso associato al mito degli “italiani brava gente”, poi minuziosamente sfatato da Angelo Del Boca nel suo Italiani, brava gente? (Neri Pozza, 2005) dove fra gli altri vengono anche riportati i massacri compiuti nelle ex-colonie e rimasti taciuti all’opinione pubblica.
Un esempio fra questi è l’eccidio di Debra Libanòs in Etiopia, conosciuto anche come il più grande massacro di cristiani compiuto in Africa, avvenuto nel maggio del 1937 su ordine di Rodolfo Graziani per vendicare il fallito attentato alla sua persona nel febbraio dello stesso anno.
Ciò che mi colpisce di questo eccidio oltre alla sua efferatezza, è che si svolse in una città-convento per cui le vittime – di quello che oggi verrebbe chiamato attacco terroristico – furono migliaia di preti, monaci e diaconi puniti indiscriminatamente con la vaga accusa di aver nascosto gli artefici del tentativo criminoso a Graziani. Neanche il fatto che si trattasse di un ambiente religioso e per di più cristiano – per cui almeno in tal senso la giustificazione, bibbia alla mano, di una “missione civilizzatrice” non sarebbe valsa – rese meno efferati i crimini commessi.
Ora io mi chiedo: come ricordare quel che fu Debra Libanòs nonostante la sua memoria dolorosa e nonostante l’accadimento non renda onore al passato storico-politico italiano? Come interpretare le intestazioni a Graziani facendo sì che si conoscano anche le ingloriose azioni che lo hanno reso celebre? Come evitare che la memoria di questi fatti, la loro elaborazione e quindi l’insegnamento che se ne ricava vada perduto?
Certamente intestare vie a personaggi e avvenimenti del passato serve a far presente che questi hanno avuto un ruolo non indifferente nella storia, ma come capire a colpo d’occhio quale ruolo e il suo perché?
Ad Affile, per esempio, per ricordare la persona e l’operato di Graziani, suscitando reazioni controverse, ci ha pensato lo stesso sindaco che nel 2012, nella città natale del gerarca, ha fatto costruire un mausoleo celebrativo arrivando a spendere più di un centinaio di migliaia di euro di denaro pubblico per poi essere giudicato in Cassazione per apologia al fascismo.
In merito all’accaduto il “Sole 24 Ore” riportò che le maggiori testate internazionali come “El Pais”, il “Daily Telegraph” e la BBC scrissero con indignazione della vicenda sottolineando, fra le altre, l’assurdità dell’ammontare speso per la costruzione del mausoleo. ll “New York Times” si domandò il perché di un mausoleo celebrativo ad un gerarca conosciuto sul campo come “il macellaio” ed evidenziando la scelta irragionevole immaginando le reazioni se la Germania di oggi innalzasse un monumento a Goering o Goebbels.
Intanto in Italia il sindaco di Affile e gli assessori coinvolti nella costruzione del mausoleo in questione sono stati assolti dall’accusa di apologia al fascismo spiegando che, così come riportato sempre dal “Sole 24 Ore”, “il reato è configurabile solo in presenza di un’esaltazione suggestiva tale da poter condurre alla ricostituzione del partito fascista”.
Al contrario, a tutelare anche la memoria storica meno lodevole del gerarca documentando e riportando non solo i crimini che lo resero celebre, ma anche l’impatto sulla comunità che ne ha subito le conseguenze è stato Valerio Ciriaci con il documentario “If Only I Were That Warrior” (Italia, Usa, 2015) ottenendo nel 2016 il premio Globo D’Oro come miglior documentario.
Ma in che modo si può partecipare al mantenimento della memoria storica e collettiva della città se non si hanno poteri istituzionali che possano decidere sull’intestazione a vie o sull’innalzamento di mausolei con fondi pubblici?
“Attraverso la “Guerriglia odonomastica”! Risponderebbero dalla Wu Ming Foundation, realtà sviluppatasi dall’omonimo collettivo di scrittori che descrivono a loro parole la guerriglia odonomastica come una serie di “azioni e performances il cui scopo è re-intitolare dal basso vie e piazze delle nostre città o aggiungere informazioni ai loro nomi per cambiare senso all’intitolazione.” La necessità di questa guerriglia continuano i Wu Ming deriva dal fatto che “nelle nostre città abbondano gli odonimi che celebrano il fascismo e il colonialismo, che celebrano crimini politici, coloniali e di guerra. Odonimi razzisti, nomi che omaggiano gli oppressori e glorificano l’oppressione per cui cambiare i nomi che abitiamo è cambiare il modo in cui pensiamo alla città.”
Sull’esempio delle imprese lanciate dalla Wu Ming Foundation, diverse realtà cittadine hanno deciso d’intraprendere azioni di odonomastica cittadina per riappropriarsi della memoria degli spazi pubblici in maniera critica. Tra queste, a Milano dal 2020 c’è la campagna “Decolonize The City” portata avanti dal CS Cantiere che per contrastare la decontestualizzazione e l’assenza di note esplicative degli odonimi legati alla storia coloniale, hanno deciso di aggiungere a questi dei QR code che inquadrati da smartphone riportano alla pagina web della campagna dove è possibile reperire informazioni su personaggi, luoghi e fatti accaduti.
A Padova invece, sulla scia dei percorsi postcoloniali raccontati da Igiaba Scego e Rino Bianchi in Roma negata (Futura, 2014), Annalisa Frisina ed Elisabetta Campagni hanno realizzato il documentario “Decolonize Your Eyes” vincitore del premio MetiCittà per Milano Città Mondo #06 del 2021.
Il documentario racconta il progetto di odonomastica collettivo che ha coinvolto la cittadinanza padovana in un percorso di storicizzazione e riappropriazione degli spazi narrando e rinominandoli con sguardo decoloniale mettendo in discussione la visione del mondo del colonizzatore e affrontando il Potere con la creatività e narrando la storia attraverso nuove e diverse voci.
Quindi, chiedendomi ancora come poter tutelare la memoria storica della città coinvolgendo la sua cittadinanza, direi che la coscientizzazione odonomastica messa in atto con azioni di risignificazione, percorsi postcoloniali e passeggiate nella memoria così come proposte da Simona Berhe per il festival “Che Storia!” risultano essere uno strumento più che utile perché se senza memoria non c’è futuro, senza cittadinanza non c’è città.