Riflettere sul nesso diseguaglianze – diritti sociali significa approfondire un punto fondamentale: i diritti sociali entrano nelle Costituzioni democratiche del Novecento come diritti muniti di una propria e inconfondibile caratterizzazione emancipatoria e promozionale che vale a distanziarli dalle ipotesi di intervento nel sociale tipiche di altre e precedenti esperienze giuspolitiche. Sebbene gli ultimi a comparire sul terreno costituzionale, quelli sociali sono stati per questo considerati autentici diritti-presupposto, nel senso che la garanzia della loro effettività costituisce il presupposto per un esercizio libero, autonomo e responsabile delle stesse libertà civili e politiche. Ed è sempre per queste ragioni che la galassia dei diritti sociali ha un legame decisivo con l’art. 3, comma 2 della Costituzione, con il principio, cioè, di uguaglianza sostanziale: non perché a essere immaginata sia una società piattamente egualitaria, ma perché quel principio serve a caratterizzare la società democratica come una società dinamica, che si impegna, e impegna le istituzioni, a offrire opportunità per quanto possibile analoghe e, in ogni caso, a non oltrepassare mai il valore-limite del rispetto della dignità della persona.
Se questo è plausibile, la compressione dei diritti sociali, che sembra registrarsi nelle società odierne, rappresenta un vulnus non marginale per l’edificio democratico; col rischio, concreto, di svuotare dall’interno la costitutiva complessità delle democrazie sempre più spesso (e scorrettamente) identificate con la mera garanzia del suffragio universale (che è condizione necessaria, ma non sufficiente, a qualificare una democrazia).
La compressione dei diritti sociali viene di solito giustificata usando un argomento già molte volte speso: i diritti sociali – si dice – sono diritti costosi, condizionati all’esistenza di sufficienti risorse e proprio per questo esposti a subire le conseguenze delle crisi economiche. In realtà, questo approccio si presta a più di un’obiezione: da un lato, la realtà delle società occidentali non mostra una contrazione generalizzata della ricchezza, ma una forte sperequazione nella sua distribuzione; e i diritti sociali – così come l’edificio democratico, in genere – rappresentano dei dispositivi che presuppongono e al tempo stesso si incaricano di promuovere una più equa distribuzione della ricchezza.
Dall’altro lato, nell’attuale realtà, anche molte delle libertà c.d. di prima generazione (quelle che si chiamano le libertà civili, cioè le libertà da intrusioni, ritenute indebite, del potere pubblico o dei poteri privati) non possono più essere garantite attraverso un contegno meramente astensivo, ma richiedono discipline complesse e particolarmente onerose, dal punto di vista procedurale e talora anche economico. Si pensi alla tutela della privacy e dei dati sensibili e alla complessa regolamentazione che è stato necessario imbastire per tutelare la sfera personale degli individui.
Muovendo da queste rapide premesse, vi sono alcuni aspetti specifici legati al nesso diseguaglianze-diritti che richiedono di essere indagati ulteriormente. In primo luogo, si è fatto riferimento alla forza di alcune narrazioni, talora accolte acriticamente quale voce di un incontrovertibile senso comune, in base alle quali si danno per appurati dati che invece richiederebbero di essere analizzati con più consapevolezza; tra questi: eccesso di pressione fiscale; eccesso di dipendenti pubblici; bontà di ogni forma di concorrenza pubblico-privato sui temi del welfare. In secondo luogo, emerge come il discorso sulle diseguaglianze non possa essere legato solo a problemi di distribuzione della ricchezza, ma a più complessive politiche di governo (e di ascolto) delle differenze e delle marginalità (decisivo è, in tal senso, l’interesse verso concrete esperienze svoltesi con progetti di reinserimento nel mondo del lavoro, di gestione delle periferie e dell’homelessness ecc.).
Da questo punto di vista, si conferma il legame, che dovrebbe essere decisivo per le democrazie, tra uguaglianza e pluralismo. Per dir meglio: uguaglianza è anche e necessariamente pluralismo. Resta chiaramente da fare i conti con un campo di tensione particolarmente complesso che chiama in causa soprattutto le modalità dell’intervento normativo e amministrativo: per un verso infatti esso tende ad assumere caratteri di uniformità e astrattezza che appaiono sempre meno efficienti e indicati rispetto alla molteplicità di bisogni e situazioni con cui è necessario confrontarsi; per l’altro verso, è parimenti indispensabile che l’auspicata flessibilità e partecipazione degli strumenti di intervento non sia foriera di nuove asimmetrie e diseguaglianze (su base locale, in riferimento ai destinatari ecc.).