Università di Teramo

Considerato ora imperialista, ora teocratico, ora primo filosofo laico del Medio Evo, ora ortodosso; ritenuto da alcuni il più medievale dei suoi contemporanei, da altri il precursore dei tempi moderni, un sostenitore dell’idea dell’unità nazionale o, al contrario, un avversario del sentimento di nazionalità; giudicato talvolta tomista, talvolta agostiniano, aristotelico o averroista, Dante ha diviso e continua a dividere gli interpreti.

Un risultato tuttavia si può ritenere definitivamente acquisito: il riconoscimento della valenza politica dellʼopera dello scrittore fiorentino. Una valenza a lungo disconosciuta o sottovalutata per ragioni diverse, prima fra tutte la mancata fortuna della Monarchia a causa della condanna della Chiesa che nel 1559 la mise nell’Index librorum proibitorum, e all’Indice rimase fino al 1881, quando fu tolta per ordine di papa Leone XIII. Inoltre, l’aver quasi sempre identificato il Fiorentino con la sua opera letteraria, ha fatto sì che anche il Dante politico, il Dante autore della Monarchia, sia stato ricondotto più alla storia della letteratura che a quella del pensiero politico.

Non manca chi invece considera Dante, oltre che poeta insuperabile, anche politico profondo e originale, e giudichi la Monarchia, ritenuta troppo spesso in passato priva di un senso scientifico rigoroso, più un’opera di “utopia” che di dottrina politica, scritta per un fine pratico immediato e non per un intento meramente teorico, quasi che il suo autore non fosse nient’altro che un “politico d’occasione”, lʼespressione di una coscienza politica matura, un meditato trattato che racchiude la riflessione di tutta una complessa esperienza umana. Che il testo debba essere inteso in questo modo è lo stesso Dante a dircelo, che, sin dalle battute iniziali della Monarchia, dichiara di accingersi a compiere un’opera «ab omnibus intemptata»: far conoscere l’idea che la Monarchia temporale, fra le verità nascoste e utili, è di gran lunga la più utile e la più nascosta.

Dante Alighieri, affresco di Luca Signorelli, nella Cappella San Brizio del Duomo di Orvieto

La Monarchia non costituisce la sola opera dantesca in cui sono esposti concetti politici. Già nel Convivio sono presenti tematiche che saranno poi rielaborate e approfondite nel trattato. Molti di quei temi si ritrovano anche nelle Epistole cosiddette politiche e in alcuni canti della Commedia. La presenza di temi politici rende riduttiva qualsiasi ricostruzione che si limiti allo studio della sola Monarchia. Con ciò non si vuole mettere in discussione la centralità che il trattato riveste per la comprensione del pensiero politico del Fiorentino, ma soltanto riaffermare la necessità, oltre che l’utilità, di non trascurare o sottovalutare le altre opere ai fini di una sua piena e compiuta valutazione.

La categoria del politico costituisce una identità imprescindibile della riflessione dell’esilio. Si tratta di un pensiero politico che, diversamente da quello degli anni precedenti, non gravita più su Firenze, ma sull’Impero universale, della cui necessità Dante si persuade assai presto, come quello che, solo, poteva sovrapporsi agli antagonismi e agli interessi particolari che dilaniavano la società contemporanea.

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