Il 2 agosto sera del 1922 (“Il Popolo d’Italia” lo pubblicherà il 3 agosto), intervenendo alla sede del Fascio di combattimento a Roma, Mussolini rivendica il diritto di intervento in nome dell’ordine per contrastare e stroncare lo sciopero legalitario seguito alle violenze squadristiche del 26-29 luglio 1922 (in particolare le distruzioni in Romagna operate dalle squadre di Italo Balbo).
Oggi – dice Mussolini – si ha la sensazione precisa in Italia che il fascismo è una forza che non si tronca nemmeno con lo sciopero generale. Lo sciopero, se è del tutto fallito, lo è stato unicamente per opera del fascismo, di questo fascismo che sta per diventare fatalmente Stato e che deve cominciare ad avere nelle sue file le energie necessarie per amministrare la nazione.
Sempre il 2 agosto 1922, nel suo Diario Italo Balbo scrive: “Queste ore di sciopero generale sono propizie per gli esperimenti. I servizi pubblici funzionano oggi dovunque per virtù dei fascisti che si sono sostituiti ai ferrovieri, ai tramvieri, ecc. In ogni caso l’Alleanza del Lavoro riuscirà sconfitta. Ma non sarà merito della autorità statale. Le zone neutre della popolazione si abituano al governo fascista. Dobbiamo commettere delle illegalità, in forma quasi sistematica, per fare rispettare la legalità. Paradosso. [Italo Balbo, Diario 1922, Mondadori 1932, pp. 111-112 LINK 1 – LINK 2]
Il giorno dopo i fascisti assaltano Palazzo Marino, la sede del Comune di Milano, ed estromettono Angelo Filippetti, l’ultimo sindaco socialista di Milano.
Quella vittoria è riconosciuta il 12 agosto 1922 nell’editoriale che apre “La Giustizia”, quotidiano del partito socialista riformista (il partito di Filippo Turati e Giacomo Matteotti) in cui si legge:
“Bisogna avere il coraggio di confessarlo: lo sciopero generale proclamato e ordinato dall’Alleanza del lavoro è stata la nostra Caporetto. Usciamo da questa prova clamorosamente battuti. Abbiamo giocato l’ultima carta e nel giuoco abbiamo lasciato Milano e Genova, che sembravano i punti invulnerabili della nostra resistenza. (…) Bisogna avere il coraggio di riconoscerlo: i fascisti sono oggi i padroni del campo.”
Dunque, il primo passaggio irreversibile, prima ancora della Marcia e dell’incarico di governo che ufficialmente sarà conferito a Benito Mussolini il 29 ottobre, è quello che segna la trasformazione da proporsi come “antistato” a candidarsi a essere “Stato”. Più precisamente: divenire garante del funzionamento e dell’esistenza in vita dello Stato.
Questo è il fine politico dell’azione del Pnf e dello squadrismo: far sapere al Paese che lo Stato ci può essere. Quella possibilità ha un costo e un prezzo: riconoscere la legittimità e la vittoria politica del fascismo.
Mussolini nei due mesi successivi mantiene una certa distanza. Mentre la prima fila del Partito Nazionale fascista costituisce il comitato che deve guidare e coordinare l’azione pubblica della presa dello Stato – ovvero la marcia su Roma (la prima riunione del comitato si tiene intorno alla metà di agosto 1922) – la sua azione è volta a rappresentare “l’uomo della provvidenza” (con questo termine nel 1929 Papa Ratti (Pio XI) definì Mussolini due giorni dopo la firma dei patti lateranensi). Suo obiettivo è muoversi in autonomia dal gruppo dirigente del Pnf non perché in disaccordo, ma perché il tema è sia «farsi Stato», sia «farsi accettare dallo Stato».
Vuol dire: eliminare tutte le ambiguità precedenti che possono suscitare diffidenza, perplessità, opposizione da parte della monarchia, dell’esercito, della magistratura, dell’apparato burocratico (Mussolini ha chiaramente presente il rischio che si ripeta una nuova scena come accaduto a Bologna nel maggio 1922 quando le squadre guidate da Dino Grandi e Italo Balbo si muovono e occupano la città per chiedere la rimozione del prefetto Cesare Primo Mori che non tollera l’azione autonoma delle squadre). Una scena che nei giorni verso la conquista del potere capisce che non può ripetersi. E, infatti, l’estromissione di Filippetti da Palazzo Marino avviene grazie al consenso di Alfredo Lusignoli, prefetto di Milano che fa da prototipo a quel compromesso politico che consentirà l’avvio e la definizione del nuovo quadro politico.
Mussolini, anche per questo, costruisce appuntamenti pubblici il cui obiettivo è duplice: da una parte rassicurare e elogiare l’azione delle squadre (è per esempio il senso del discorso di Cremona il 24 settembre 1922, dove al centro basta l’orgoglio di appartenenza) e in parte nel discorso a Milano del 4 ottobre 1922, dove rivendica il senso patriottico dello squadrismo ricordando le scene della «domenica di sangue» di Bolzano (24 aprile 1921), l’occasione che fa emergere in pubblico Achille Storace, il segretario del Partito negli anni ‘30, esecutore delle direttive ginniche del sabato fascista negli anni del fascismo regime, in nome del «corpo sano contro le devianze»).
Dall’altra, soprattutto, rivendica l’affidabilità del partito, la lealtà dichiarata nei confronti della monarchia. Infatti, sia nel discorso a Udine il 20 settembre 1922, sia a Napoli il 24 ottobre 1922, parla con la folla secondo una retorica che poi sarà uno dei «marchi del regime». Ma soprattutto si rivolge ai «poteri reali del Paese».
Il suo obiettivo è duplice: da una parte tranquillizzarli dichiarando la lealtà del fascismo alle istituzioni, (è ciò che essenzialmente dice nel discorso di Udine il 20 settembre 1922); dall’altra, confermare che quel nuovo governo, proprio per rendere possibile la prosecuzione di quel sistema, non potrà non stravolgere radicalmente il sistema politico. Prima di tutto a partire da chi sarà guardato come parte dello Stato – e dunque tutelato – e chi verrà perseguito perché rappresentante dell’“antistato”.
“Dividiamo gli italiani in tre categorie: gli italiani indifferenti che rimarranno nelle loro case ad attendere i simpatizzanti che potranno circolare e finalmente gli italiani nemici e questi non circoleranno”.
E a dimostrazione che il passaggio non sarà solo formale, ma sostanziale, nel discorso di Napoli in cui annuncia che la democrazia non è il fine della politica fascista dice letteralmente:
Noi non crediamo che la storia si ripeta noi non crediamo che la storia sia un itinerario obbligato noi non crediamo che dopo la democrazia debba venire la super-democrazia! Se la democrazia è stata utile ed efficace per la Nazione nel secolo XIX può darsi che nel secolo XX sia qualche altra forma politica che potenzi di più la comunione della società nazionale.
Questo per dire che a voler leggere, ascoltare e scavare nelle parole, il dopo non risulterà così diverso da quel che si dice e si promette prima.
Fonti
- Italo Balbo, Diario 1922, Mondadori 1932.
- Dopo la prova, “La Giustizia”,12 agosto 1922.
Testi di Benito Mussolini (ripresi da Scritti e discorsi di Benito Mussolini, Vol. II. La rivoluzione fascista (23 marzo 1919 – 28 ottobre 1922), Hoepli, Milano 1923.
- Benito Mussolini, L’azione e la dottrina fascista dinnanzi alle necessità storiche della nazione, (discorso tenuto a Udine il 20 settembre 1922, in “Il Popolo d’Italia”, n. 226, 21 settembre 1922). [pp. 307-322]
- Benito Mussolini, Discorso di Cremona, 24 settembre 1922 (in “Il Popolo d’Italia”, n. 230, 26 settembre 1922). [pp. 323-326]
- Benito Mussolini, Dal malinconico tramonto liberale all’aurora fascista della nuova Italia, 4 ottobre 1922 (in “Il Popolo d’Italia”, nn. 238-239, 5-6 ottobre 1922). [pp. 327-338]
- Benito Mussolini, Discorso di Napoli, 24 ottobre 1922 (in “Il Popolo d’Italia”, 25 ottobre 1922). [pp. 339-348]