Una delle cose che si è sentita dire durante questi mesi di emergenza sanitaria a causa del Covid-19 è stata che sarebbe stato un “virus democratico”, perché avrebbe colpito le persone indipendentemente dalla loro posizione sociale. Ovviamente, non è ciò che sta accadendo, ed era anche piuttosto prevedibile visto che esiste una correlazione abbastanza stretta tra la normale influenza e le condizioni socio-economiche1.
Un’emergenza sanitaria pandemica come quella che stiamo vivendo ha un impatto sociale lungo due prospettive. In primo luogo, la malattia colpisce seguendo quello che in letteratura viene chiamato “gradiente sociale di salute”. In secondo luogo, la pandemia ha conseguenze sociali ed economiche che colpiscono con maggiore forza i soggetti già svantaggiati. In questo contributo ci soffermeremo sulla prima prospettiva, mentre in quello successivo approfondiremo le conseguenze sociali ed economiche.
Con il concetto di “gradiente sociale di salute” si esprime la stretta correlazione tra condizioni di salute e posizione sociale (normalmente approssimata col reddito o con il livello di istruzione): al crescere della posizione sociale la salute individuale migliora in modo sistematico, per qualunque indicatore di salute utilizzato (speranza di vita, morbilità, rischio di malattie croniche, rischio di malattie mentali, rischio di incidenti, …). Giusto per fare un esempio, in Italia l’incidenza dell’obesità – che è un forte fattore di rischio per malattie come il diabete, i tumori, le malattie cardiovascolari, etc. – varia dal 5% per chi ha un’istruzione universitaria al 15% per chi ha al massimo la scuola dell’obbligo (in UK la forbice è tra il 12% e il 25%). Non è possibile in questo breve contributo sviluppare a fondo la connessione tra svantaggio socio-economico e condizioni di salute[2], si consideri solamente che tutti i comportamenti dannosi per la salute – fumo di tabacco, alimentazione ricca di sale, zucchero e grassi, consumo di alcol, sedentarietà, … – mostrano un evidente gradiente sociale. Per esempio, fuma il 30,1% di chi ha la licenza media e il 18,9%% di chi è laureato; oppure è sedentario il 52% di chi ha al massimo la licenza elementare e il 27% di chi è laureato (dati PASSI 2016-2019).
Nel caso del Covid-19 questo si esprime sia in una maggior rischio di contrarre la malattia sia nella probabilità che questa possa avere esiti più gravi. Infatti, se nella prima fase dell’epidemia per ovvi motivi gli operatori sanitari sono stati maggiormente contagiati, nel momento in cui è stata chiara la gravità del virus e sono state adottate le misure necessarie a minimizzare il rischio di contrarre il virus, sono diventati più esposti i soggetti più svantaggiati (si veda anche il contributo di Costa e Schizzerotto su lavoce.info). Questo è dovuto ad un insieme di fattori. Innanzitutto, molte occupazioni che richiedono un contatto diretto con i consumatori sono svolte da queste persone (fattorini, addetti del commercio al dettaglio di beni essenziali, addetti alla logistica), e spesso sono costretti ad utilizzare i mezzi pubblici per raggiungere il luogo di lavoro. Inoltre, per molti seguire strettamente le regole imposte dal lockdown era impossibile sia perché non avevano risparmi da utilizzare sia perché non avevano accesso alle forme di aiuto messe in campo dal Governo. Infine, le condizioni abitative non consentivano una gestione adeguata dei famigliari con sintomi (case piccole, un solo bagno), favorendo così la trasmissione del virus all’interno del nucleo famigliare, magari allargato a soggetti anziani o a rischio.
Il secondo aspetto da tenere in considerazione riguardo gli effetti sulla popolazione della pandemia è il maggiore rischio di gravi complicanze e di morte per le persone portatrici di patologie preesistenti. Il 61% dei deceduti (al 9 luglio) presentava 3 o più patologie e solo il 4% non ne presentava nessuna (dati ISS). Le patologie più ricorrenti sono in ordine decrescente l’ipertensione arteriosa, le malattie cardiache e il diabete, tutte patologie che seguono il gradiente sociale di cui si è detto in precedenza.
Questo svantaggio “strutturale” deriva dall’accumularsi nel corso della vita delle conseguenze di condizioni di vita non ottimali a partire dall’infanzia (dall’alimentazione alle condizioni abitative) e dalle chance educative, per arrivare alle condizioni di lavoro (sia in termini di mansioni faticose e/o pericolose, sia in termini di ricompense simboliche e materiali) e alla qualità della vita durante la vecchiaia (relazioni affettive, risorse di supporto in caso di bisogno).
Un ulteriore elemento da tenere in considerazione è anche la minore capacità delle persone con basso capitale culturale di seguire le indicazioni per ridurre il rischio di contrarre il virus e di accedere ai servizi sanitari in caso di necessità. Si tratta di quella che viene chiamata health literacy, che secondo la definizione del WHO corrisponde al “grado di conoscenza, capacità personali e fiducia per migliorare la salute individuale e collettiva modificando lo stile di vita”3. Le persone che dispongono di una scarsa health literacy, che sono quelle che occupano le posizioni più svantaggiate nella stratificazione sociale, oltre ad aver accumulato nel corso della vita esperienze che hanno peggiorato il loro stato di salute come abbiamo visto in precedenza, sono oggi meno attrezzate per difendersi dal Covid-19.
Anche nel caso dell’epidemia che stiamo vivendo si ripropone quindi lo svantaggio strutturale di salute che colpisce abitualmente le persone con minori risorse sociali, culturali ed economiche. Si tratta di una questione fondamentale di giustizia sociale che purtroppo non ha mai suscitato interesse nel confronto politico. La pandemia potrebbe essere una buona occasione per portare all’attenzione dell’opinione pubblica questa forma particolarmente inaccettabile di disuguaglianza sociale, sollecitando i legislatori ad intervenire per una sua riduzione.
1 Mamelund, S., Shelley-Egan, C. & Rogeberg, O. The association between socioeconomic status and pandemic influenza: protocol for a systematic review and meta-analysis. Syst Rev 8, 5 (2019). https://doi.org/10.1186/s13643-018-0931-2
2 Un buon punto di partenza per chi volesse approfondire è il libro di M. Marmot, La salute disuguale, Il Pensiero Scientifico Editore, 2016. Per l’Italia suggerisco i lavori di Giuseppe Costa, in particolare i due rapporti sull’equità nella salute pubblicati da Franco Angeli nel 1994 e nel 2015.
3 “Health literacy implies the achievement of a level of knowledge, personal skills and confidence to take action to improve personal and community health by changing personal lifestyles and living conditions. Thus, health literacy means more than being able to read pamphlets and make appointments. By improving people’s access to health information, and their capacity to use it effectively, health literacy is critical to empowerment”
…Continua con COVID-19, povertà e conseguenze socio-economiche