Nel corso del Novecento, gli anni Sessanta e Settanta rappresentano una stagione di diritti e di riforme. In quegli anni, giungono a maturazione processi di lungo periodo che sanciscono la riorganizzazione da parte dello Stato di alcuni servizi pubblici fondamentali, come la scuola e la sanità; nello stesso periodo vengono anche disciplinate le relazioni industriali e i diritti del lavoro trovano la più alta espressione nell’approvazione dello “Statuto dei lavoratori” del 1970; gli anni Settanta sono anche caratterizzati dal grande fermento nell’ambito dei diritti della persona, si pensi alla legge sul divorzio o sull’interruzione di gravidanza. Quel ventennio concentra alcuni dei profili e delle questioni cruciali del secondo dopoguerra italiano, veri e propri dilemmi che hanno interrogato i migliori protagonisti della politica e della società nel passato e che ancora oggi tengono avvinto il presente.
In un’epoca, la nostra, in cui si fatica a costruire alternativa, è interessante riscoprire il paradigma politico e culturale che sta al centro dell’azione di riforma di quei decenni e al tempo stesso tornare sulle vicende politiche delle socialdemocrazie, che di quel percorso hanno rappresentato i luoghi di ricerca e sperimentazione.
L’eredità incompiuta e in parte in crisi di quella storia torna a interrogarci nella situazione drammatica che oggi ci troviamo ad affrontare e che chiede con urgenza la produzione di una nuova sintesi di progetto.
Paradigma culturale
Lo snodo rappresentato dagli anni Sessanta e Settanta è il risultato di due fattori culturali diversi che convergono: da una parte una tradizione che afferisce all’esperienza storica della socialdemocrazia, dall’altra le sollecitazioni in gran parte afferenti a una cultura di tipo radicale che ha dentro di sé il paradigma della riflessione politica del pensiero democratico di tipo anglo-sassone. Una spinta politica così forte e importante da trascendere, poi, il confine stretto di quel posizionamento politico, coinvolgendo forze politiche e movimenti con prassi e storie anche molto diverse fra loro. Il primo fattore si costruisce intorno al ruolo della sfera pubblica, dello Stato o delle politiche di tradizione socialdemocratica rivisitate e ripensate sull’onda sia dell’esperienza laburista tra 1945 e 1950, sia delle socialdemocrazie nord-europee. La seconda sull’onda dei movimenti, anche dal basso, attenti alla sfera delle libertà individuali e di affermazione dei diritti dei nuovi soggetti.
Laboratorio politico-programmatico
Nel corso della sua lunga storia, la socialdemocrazia si è configurata come un compromesso che ha previsto l’accettazione del capitalismo come il quadro entro cui curare gli interessi, negati fino alle soglie del Novecento, di larghe fette della popolazione. Pur in un distinguo di voci e prospettive, le forze progressiste sono riuscite a conseguire risultati estremamente positivi in termini di riduzione delle diseguaglianze e promozione di più ampi sistemi sociali. Riuscendo ad adattarsi alle trasformazioni economiche e sociali intercorse, i partiti di questa corrente politica hanno saputo cogliere le inquietudini di larghi strati della popolazione, ponendosi un obiettivo preciso: non il raggiungimento di formule utopiche, bensì la costruzione di società progressivamente più giuste. Tutto questo ha tenuto finché la fase è stata, in qualche modo, espansiva. Quando la crisi si è fatta violenta e duratura, la capacità di intercettare consenso e presa sui rapporti di forza si è progressivamente allentata.
Documento tratto dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
A che punto della storia ci troviamo oggi? Con questo testo inauguriamo un progetto dedicato all’esperienza socialdemocratica, che fu plurale in senso geografico e cronologico: un laboratorio di riflessione per mettere a fuoco il lascito ma anche l’immediato futuro di quelle proposte politiche che hanno caratterizzato il campo della sinistra.
Intendiamo esplorare l’approccio socialdemocratico perché – ed è la storia ad insegnarcelo – si è strutturato non su “pacchetti” preconfezionati, bensì su progetti ideati in coerenza con il contesto per cui venivano pensati. In sostanza, le storie della socialdemocrazia verranno intese come uno spazio per l’azione, perché sono ancora vive le passioni che le motivavano e ancora scottanti i problemi che intendevano affrontare.
In un quadro di crisi feroce come quella che stiamo attraversando (e di cui ancora non riusciamo a intravvedere l’esito) – con la paralisi da coronavirus che si è innestata su una crisi di più lungo periodo da cui si era ben lontani dall’essere usciti – la scarsità (se non l’assenza) di lavoro rischia di disarticolare sempre più le comunità. Un’insicurezza che genera nuovi conflitti e mina la credibilità della politica sgretolando quel poco che rimane del vecchio patto sociale su cui si basava il welfare state. Domani, è prevedibile che nuove tensioni attraverseranno i territori e che aumentino le polarizzazioni sociali, a meno che gli Stati non intervengano per impedire che le classi medie scompaiano per sempre e che ampi strati della popolazione rimangano al di fuori del mercato del lavoro, senza risorse e dunque nel pieno dell’esclusione e della povertà materiale.
Su quali pilastri sarà possibile innestare gli anticorpi necessari a fronteggiare la crisi e ricostruire il futuro? Come porre un argine agli effetti più distruttivi del capitalismo, trovando la formula di un nuovo antidoto che evidentemente non può più essere il welfare novecentesco, ma che comunque chiede al “pubblico” di ritagliarsi con urgenza un nuovo protagonismo? Servirà ricostruire dando luogo a un nuovo patto sociale: servirà creatività e capacità di innovazione, ma anche recuperare una storia di impegno e proposta già capace di incidere per trasformare il presente nel segno dell’equità e dell’inclusione.
Temi e questioni
Protezione del lavoro: come tutelare i lavoratori nei grandi processi di industrializzazione? E come farlo nei processi di ristrutturazione legati alla deindustrializzazione?
Proteggere i lavoratori non vuole soltanto dire tutelarne le attività. Vuol dire anche progettare modelli di società capaci di dare lavoro, appunto, ma anche di includere nei processi di cittadinanza il più ampio numero possibile di cittadini. Ciò significa costituire un patto fra inclusi e non inclusi, garantiti e non garantiti: un vero e proprio compromesso tra le molteplici pulsioni sociali, al fine di ridurre le sperequazioni economiche e sociali.
Link alla risorsa: Riflessioni sul Piano del lavoro
Rileggendo Giuseppe Di Vittorio
Articolo di Agostino Megale
Introduzione di Spartaco Puttini e Niccolò Donati
Scuola ed educazione: come si è dato risposta alla massificazione della società nel campo scolastico? Come legare modello di istruzione e sviluppo sociale? Nel quadro odierno, segnato dalle difficoltà nel predisporre un’alternativa concreta, occorre ragionare in termini di architettura dei sistemi di formazione e educazione, cioè che significa immaginare al contempo l’architettura di un’idea di società, dell’idea di sviluppo sociale che si intende perseguire.
Link alla risorsa: La scuola democratica. Un progetto incompiuto
Rileggendo Tristano Codignola
Articolo di Mauro Piras
Introduzione di Pietro Savastio e Niccolò Donati
Leggi l’articolo
Ambiente e sviluppo: quali sono i nessi tra le esigenze dello sviluppo e la necessità di salvaguardare l’ambiente anche nei momenti di svolta?
Anche in considerazione di alcuni contesti italiani (per esempio Taranto) la sfida per i partiti socialdemocratici è duplice: da un lato, tutelare l’ambiente; dall’altro, favorire la crescita, così da garantire ampie chance di lavoro alla popolazione nel suo complesso.
Link alla risorsa: Quale ambientalismo: a 25 anni dalla scomparsa di Alexander Langer
Articolo di Sabina Langer, Nazario Zambaldi
Con il contributo di Terre in movimento
Link alla risorsa: Pianificare lo sviluppo ambientale, economico e sociale
Rileggendo Silvio Leonardi
Articolo di Luca Michelini
Introduzione di Marina Trentin e Niccolò Donati
Diritti, partecipazione, cittadinanza allargata: come è stato costruito il welfare della cittadinanza allargata? Come non escludere nessuno? Come si crea, attraverso la partecipazione, il coinvolgimento e la motivazione? Come si dà voce ai “senza voce” e li si riconosce come detentori di diritti? Cosa significa produrre e sostenere sperimentazione sociale e politica?
Link alla risorsa: Aprire i manicomi. Appunti su un percorso di sanità inclusiva
Rileggendo Franco Basaglia
Articolo di John Foot
Introduzione di Niccolò Donati
Link alla risorsa: Chiudere le “Case”. Il dibattito sulla Legge Merlin e sulle libertà sessuali delle donne
Articolo di Arianna Pasqualini
Introduzione di Niccolò Donati
Link alla risorsa: Alla pari: Tina Anselmi e il lavoro delle donne
Articolo di Fiorella Imprenti
Centro-periferia-territorio: come si è costruito un modello di crescita complessiva (nazionale) capace di considerare le esigenze dei singoli territori locali?
Nei territori frammentati di oggi è necessario ritrovare una prospettiva progressista capace di tenere insieme centri e periferie, anche in vista di un’armonizzazione con le esigenze locali. Una partita che appare decisiva coincide con la ricomposizione delle fratture sociali che segnano le nostre città.
Link alla risorsa: Il Mezzogiorno dimenticato. Modelli di sviluppo nazionale a confronto
Rileggendo Federico Caffé
Articolo di Gianfranco Viesti
Introduzione di Niccolò Donati
Europa: l’Europa è la dimensione cui aspiriamo, ma come si può rendere il progetto europeo conforme alle aspettative dei suoi cittadini, alle necessità dei suoi attori sociali, alla grandezza del patrimonio di storie e di culture di cui è depositaria?
Il progetto europeo è destinato a fallire se non saremo in grado di sostituire le aspirazioni delle persone e i progetti di lungo periodo alla pura contabilità dei conti pubblici e agli interessi egoistici dei soggetti più forti. È necessario ancorare il futuro dell’Europa ai bisogni che i territori esprimono, con un’urgenza pari alla intensità della crisi che stiamo attraversando.
Link alla risorsa: Ritorno all’Europa. Il progetto di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, 80 anni dopo
Rileggendo Ernesto Rossi e Altiero Spinelli
Articolo di Matilde Ceron e Caterina Di Fazio
Introduzione di Niccolò Donati