Università dell’Insubria

La venticinquesima conferenza delle parti (COP25) si è svolta nelle scorse settimane a Madrid dopo che il Cile aveva rinunciato ad ospitarla a causa della situazione di tensione sociale nel paese.

Nonostante i due giorni aggiuntivi di lavori rispetto al programma iniziale, la sensazione condivisa è quella di una grossa delusione, di un’occasione persa. Il segretario generale dell’ONU aveva chiuso l’edizione precedente (COP24 Katowice 2018) dandosi cinque priorità: “Ambizione, ambizione, ambizione, ambizione, ambizione”. Per ora però l’ambizione è quantomeno rimandata al 2020.

L’ambizioso accordo di Parigi del 2015 si è dato come obiettivo quello di mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale “ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, proseguendo l’azione volta a limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali”. Ma tale obiettivo è perseguito attraverso degli obiettivi che ciascun paese definisce autonomamente, i Nationally determined contributions (NDCs). Purtroppo però gli attuali impegni nazionali sono in grado di limitare l’aumento della temperatura a 3,5°C uno scenario per molti versi catastrofico.

Questo è il motivo per cui serve un’accelerazione urgente di cui a Madrid non c’è stata traccia. Ma le grandi conferenze internazionali sono eventi complessi che possono produrre diversi esiti. Per orientarci meglio vi proponiamo quindi una breve rassegna di contributi scritti da chi ha partecipato direttamente ai lavori.

I risultati della COP25 sono utilmente sintetizzati da Emanuele Bompan su La Stampa. Andrea Barolini di Valori.it ha provato a riassumere anche i commenti degli osservatori.

Per un commento più tecnico ci si può riferire alle osservazioni di Jacopo Bencini di Italian Climate Network: “Nonostante i pochi passi in avanti, quella di Madrid non è stata sicuramente la COP “dell’azione” immaginata dall’indebolita presidenza cilena. Ma non è stata, per fortuna, neanche quella delle decisioni mal prese.”

In effetti il commento “No deal is better than a bad deal” è il commento più ripetuto anche nell’analisi di Jocelyn Timperley per Climate Change News in cui è utilmente riassunta anche l’evoluzione della trattativa durante i giorni della conferenza di Madrid.

Per chi volesse invece ripercorrere tutto il lavoro della COP25 Simon Evans e Josh Gabbatiss hanno preparato per Carbon Brief un lungo e dettagliato resoconto.

Nel 2020 si ripartirà dal lavoro della nuova Commissione Europea, tornata protagonista grazie all’ambizione di Ursula von der Leyen, e dai cosiddetti principi di San José, sottoscritti da 31 paesi tra cui l’Italia. Sul piano operativo gli incontri preparatori della ventiseiesima conferenza delle parti si svolgeranno in Italia, mentre la COP26 si terrà a Glasgow dal 9 al 19 novembre 2020.

Ma forse la data più importante sull’agenda climatica è il 3 novembre, quando verrà eletto il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. Un nuovo presidente, con la questione climatica in cima alla propria agenda politica, potrebbe ritrovare un terreno di trattativa comune con la Cina, come avvenne nei mesi immediatamente precedenti e successivi all’accordo di Parigi tra Barack Obama e Xi Jinping. Altrimenti le prospettive degli accordi internazionali sul clima saranno estremamente cupe.

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