Molte volte il capitalismo è stato dato per finito, e molte volte si è rigenerato cambiando il proprio modo di funzionamento. Non è mai mutata, però, la natura profonda dello “spirito del capitalismo”, cioè il desiderio di trarre un profitto dal proprio lavoro da reinvestire in un continuo processo di accumulazione. È stato proprio questo il motivo del successo del capitalismo come principio di funzionamento dell’economia, a cui si è dovuta adattare la società nel suo complesso dotandosi di istituzioni sociali coerenti con l’incessante processo di accumulazione: dalla famiglia nucleare all’individualismo liberale, dalla democrazia come forma di organizzazione politica al welfare state come difesa dagli effetti negativi della competizione di mercato.
Contrariamente a quanto sostenuto all’inizio degli anni ’90 da alcuni studiosi a proposito della “fine della storia” e dell’inevitabile successo del modello sociale, politico ed economico occidentale, da almeno una ventina d’anni il capitalismo occidentale sta vivendo una profonda trasformazione. I fenomeni che hanno innescato questo processo sono noti, e senza pretese di esaustività possiamo ricordare la globalizzazione economica e culturale e la crescente competizione che essa innesca, le trasformazioni tecnologiche e le conseguenze che queste hanno sull’organizzazione della produzione e del lavoro, l’accelerazione dei movimenti di persone su scala globale che sfidano la rigida concezione della cittadinanza basata sull’appartenenza alla comunità nazionale. La “superiorità” del modello occidentale e la supremazia politica, militare e culturale dei paesi ad esso appartenenti (gli USA in primis) sono drammaticamente messe in discussione dall’emergere di paesi (per prima la Cina) che sono in grado di generare crescita economica e benessere per i propri cittadini pur negando quel pacchetto di diritti individuali (civili, politici e sociali per dirla con Marshall) che sono sempre stati considerati parte integrante e indispensabile del modello occidentale.
E infatti vediamo aumentare le disuguaglianze e regredire i diritti sociali in tutti, o quasi, i paesi occidentali, in primo luogo quelli europei. A questo si accompagnano crescenti tensioni sociali che creano fratture e conflitti sociali che la politica non sembra in grado di ricomporre. Si pensi per esempio al successo che stanno avendo movimenti politici populisti spesso xenofobi e di estrema destra in tutti i paesi europei, e in generale all’estremizzazione del confronto politico che ha portato al successo di Brexit in Gran Bretagna e all’elezione di Donald Trump negli USA.
Manifesto tratto dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Tuttavia si segnalano anche fenomeni che potremmo chiamare di innovazione sociale ed economica, che lasciano immaginare una ridefinizione del modello sociale capitalistico. Innanzitutto, a fronte della crisi delle tradizionali appartenenze collettive (partiti e sindacati in primo luogo) si osservano nuove forme di aggregazione e identificazione da parte dei giovani. Per esempio, nelle città la mobilitazione su istanze locali, invece che sui grandi ideali novecenteschi, sembra in grado di aggregare i cittadini in modo trasversale. Si può forse intravvedere un nuovo tipo di partecipazione democratica non motivata dalle appartenenze contrapposte sull’asse del conflitto tra capitale e lavoro, ma dal riconoscersi cittadini che condividono interessi simili nella difesa del proprio contesto di vita. Quindi, meno ideologia e più pragmatismo. Il successo della sharing economy – al netto dell’uso strumentale che a volte ne viene fatto – è allo stesso tempo una soluzione innovativa che consente anche a chi possiede minori risorse economiche di accedere a consumi che altrimenti gli sarebbero preclusi, e l’espressione di un’attenzione ai beni collettivi che si era forse affievolita nei decenni passati. Il tutto grazie alla diffusione di quelle innovazioni tecnologiche che spesso vengono frettolosamente demonizzate come foriere di disoccupazione e declino economico.
In Western capitalism in transition. Global processes, local challenges (a cura di Andreotti, Benassi e Kazepov, Manchester University Press, in uscita a febbraio 2018), alcuni dei più noti scienziati sociali si interrogano su questi processi di mutamento del capitalismo contemporaneo e che investono diverse dimensioni sociali: il welfare state, la cittadinanza e le nuove forme di mobilitazione sociale, le migrazioni, le trasformazioni urbane, la povertà e i processi di segregazione spaziale.