Provate a digitare “periferie urbane” su Google Immagini. Il motore di ricerca restituirà un cliché che molto spesso è aderente alla realtà e che può riassumersi così: palazzi altissimi e fatiscenti. A Salerno, lo stereotipo e la realtà non necessariamente corrispondono. Il boom edilizio degli anni ’50 e ’60 ha soddisfatto le esigenze abitative nei quartieri del centro e in quelli limitrofi, mentre un paio di chilometri più in là, a Est o nei rioni collinari, ampi spazi e fabbricati bassi rendono le periferie salernitane più ariose e spaziose rispetto alle zone più centrali della città.
La periferia urbana non si esaurisce, tuttavia, in un’espressione geografica e in un decoro urbano tollerabile se paragonato alla situazione di alcuni sobborghi delle metropoli italiane. La periferia è il luogo per eccellenza in cui si concentra la marginalità socio-economica, e su quest’aspetto Salerno non costituisce un’eccezione.
I luoghi del disagio
Sant’Eustachio è un rione della zona orientale della città. I suoi 5636 residenti si distribuiscono su un’area di quasi 2 chilometri quadrati. La bassa densità abitativa e il suo aspetto urbanistico che restituiscono la dimensione di un paese, più che di una periferia urbana, si accompagnano a un contesto di crescente impoverimento socio-economico e culturale.
Franco Mari è un maestro della scuola elementare del quartiere. La lunga militanza politica e l’interesse per il tema della povertà gli consentono di osservare con occhio attento le dinamiche del disagio sociale. «Spesso ci si dimentica che la povertà non è una sola. Ci sono più povertà: economica, sociale, culturale, di esperienze. Quando iniziai la scuola dell’obbligo, ormai cinquant’anni fa, nel mio istituto c’erano una palestra e una biblioteca. A distanza di mezzo secolo c’è una scuola elementare, quella in cui insegno, che non ha una palestra. Sto avviando una raccolta di firme per costruirne una».
L’ultimo rapporto Svimez disegna un quadro preoccupante della situazione sociale nel Sud Italia: oltre un decimo dei cittadini meridionali vive in una condizione di povertà assoluta, il doppio rispetto a dieci anni prima. L’osservatorio privilegiato del maestro Mari dà colore ai freddi numeri: «Il contesto economico nel quale crescono i circa 80 bambini della scuola di Sant’Eustachio non è florido. I genitori che hanno un lavoro sono circa la metà. Quelli che hanno un lavoro a tempo indeterminato non superano il 30%. Un solo genitore è un dipendente pubblico e nessun bambino è figlio di liberi professionisti: i ragazzi s’interfacciano con coetanei di un’altra estrazione sociale soltanto alle scuole medie. I nonni e gli altri familiari, con i quali spesso si condividono gli appartamenti, sono determinanti nel consentire la sussistenza. La merenda di metà mattina è consumata poco dopo l’entrata in classe perché alcuni bambini non fanno colazione a casa, e quasi tutti loro pranzano dai nonni».
Più povertà, si è detto: economica, di esperienze, e anche culturale: «Vi è un forte analfabetismo di ritorno che si nota nell’impreparazione dei genitori, in difficoltà con i problemi di matematica delle scuole elementari, prim’ancora che in quella dei bambini. Il libro e il computer sono oggetti quasi sconosciuti nelle case di questi ragazzi, e molto rare sono le esperienze culturali come i viaggi o le visite ai musei. Il tasso d’iscrizione all’Università nel quartiere non supera il 6%».
La latitanza della politica
A Sant’Eustachio, e in qualsiasi altra periferia urbana del Meridione, la politica non c’è. È inadeguata a intercettare i bisogni e a farsene carico. È assente nei pensieri e nelle parole dei suoi cittadini, disinteressati al dibattito tra le forze di maggioranza e opposizione. Questo scollamento, da tempo inarrestabile, genera una prevedibile dinamica elettorale: chi riesce a proporsi come una novità e sa intercettare la protesta fa il pieno di voti.
A Salerno il Movimento Cinque Stelle ha raccolto il 39% dei voti alle ultime elezioni politiche, con punte del 44-46% nelle aree periferiche. In alcune sezioni elettorali di queste zone il consenso cresce fino al 50%. Le liste minori che godono di una buona penetrazione tra i ceti urbani e istruiti, qui, non esistono. Sono le stesse aree nelle quali si annidava la protesta espressa al voto al referendum costituzionale del 2016, con il “no” al 70% in alcune sezioni, e prim’ancora alle elezioni europee del 2014, dove la dimensione della protesta contro una classe politica imbolsita era incarnata dal Pd di Matteo Renzi, che in tali quartieri otteneva percentuali più elevate rispetto alla media cittadina.
La sostituzione della rappresentanza sociale e politica della sinistra, dal mondo del lavoro ai ceti medi riflessivi, è il principale lascito del voto di marzo. È un fenomeno politico che attraversa i paesi occidentali, dall’America profonda che consegna la Casa Bianca a Trump all’Italia che premia i populisti, e che sorprende ancora troppe persone di buone letture per lasciar intravedere una soluzione. Da qualche tempo i politologi s’interrogano sull’attualità della dicotomia destra/sinistra e sull’individuazione di una frattura tra popolo ed élite, rinverdita dalle conseguenze di una globalizzazione mal governata e di una recessione senza fine. Una questione complessa che tuttavia, agli occhi di chi vive il disagio, si sbroglia alle urne in favore di chi riproduce gli stilemi e le parole d’ordine della novità e della protesta contro la politica.
E mentre i partiti riflettono sull’interpretazione delle dinamiche del voto, la vita quotidiana scorre nelle mille Sant’Eustachio con le sue difficoltà che sfuggono alle telecamere dei media e alle risposte concrete delle istituzioni.
Tab. 1 Il voto nei quartieri di Salerno
NOTA. Elaborazione dell’autore su dati forniti dal Comune di Salerno. Possono individuarsi come quartieri geograficamente e socialmente periferici: Fratte, Mariconda, Ogliara, Sant’Eustachio-Giovi.