Siamo stati abituati a intendere le città come luoghi in grado di generare benessere. Secondo i principi dell’Economia Urbana, le città – per via dell’agglomerazione di attività e persone – sono in grado di generare valore economico, il che costituirebbe uno dei motivi fondanti del loro successo come modo di organizzazione sociale delle relazioni sociali ed economiche. Il punto fondamentale però è: come viene distribuito questo valore?
Nel secolo scorso, il semplice posizionarsi in un luogo “urbano” poteva bastare per molti a garantirsi – dopo un periodo di difficile assestamento – di accedere a opportunità di lavoro e di guadagno altrimenti irraggiungibili. Ciò, insieme alla maggior concentrazione di servizi e relazioni, ha creato le basi per un entusiastico urbanesimo e una migrazione che ha portato la maggior parte di noi a vivere in città.
Ancora oggi alcune città tendono ad attrarre – soprattutto per la carenza di opportunità nei luoghi meno urbani e connessi –, ma sono ancora in grado di realizzare la promessa dell’ascensore sociale?
Nell’Italia in stagnazione demografica, poche agglomerazioni urbane – soprattutto quella di Milano – si dimostrano ancora in grado di attrarre popolazioni, soprattutto giovani, in cerca di opportunità. Ma la sensazione è che ora quest’attrazione non si accompagni più a reali occasioni di ascensione sociale, e soprattutto economica. È vero che la pandemia ha colpito pesantemente sui redditi, e lo ha fatto con maggior veemenza nelle città italiane che vivono in gran parte di economie turistiche e city users (Venezia, Firenze, Torino, Milano)[1]. Tuttavia, come certificato dai dati sulle dichiarazioni dei redditi, già prima della pandemia da oltre dieci anni a Milano era in atto uno schiacciamento del ceto medio-basso (quello che dichiara tra 15 e 25 mila euro di Irpef), passato dal 27% dei contribuenti nel 2008 al 24,1% nel 2018 (e al 23,3% nel 2020)[2]. Ciò è avvenuto a fronte di una crescita percentuale delle fasce più alte di redditi, mentre la quota di chi dichiara tra 10 e 15mila euro (10,5% nel 2020) e meno di 10mila euro (25%) è rimasta sostanzialmente stabile.
Una città, quindi, che tende a polarizzare ricchi e poveri e a mettere in crisi quella componente di popolazione che tradizionalmente costituiva la componente inferiore del ceto medio, ossia quelle famiglie che hanno a disposizione uno o due redditi, anche se non molto alti.
Di recente “Repubblica” ha sollevato il problema delle spese che tali nuclei familiari devono affrontare a Milano. Secondo la ricostruzione dell’Unione nazionale dei consumatori, posto che un reddito da solo risulta di fatto insufficiente, un nucleo familiare che conta su due stipendi di circa 1.600 euro al mese (quindi un non trascurabile reddito familiare di 40 mila euro all’anno) riesce a malapena a far fronte alle spese di base[3]. Ciò significa che non c’è alcun margine di risparmio e che una qualsiasi spesa emergenziale metterebbe in crisi queste famiglie (durante la pandemia è stato stimato che 3 famiglie italiane su 10 avrebbero difficoltà ad affrontare una spesa imprevista di 2 mila euro[4]).
Il fatto che questi siano gli stipendi medi di ampie categorie di lavoratori fondamentali (come infermieri o conducenti del trasporto pubblico) sottolinea il paradosso di una economia urbana che mette in difficoltà la stessa base su cui la città si regge. L’articolo di “Repubblica” sottolinea in particolare come siano le spese abitative a mettere in crisi le economie domestiche dei ceti medio-bassi. Ciò è di interesse in quanto sembra testimoniare una crescente presa di coscienza rispetto alla responsabilità del mercato immobiliare nell’impoverire le famiglie, dopo che per lungo tempo l’informazione mainstream ha invece prestato il fianco alle sorti magnifiche e progressive della crescita immobiliare “modello Milano”.
C’è però una precisazione da fare su questo punto: la stima dell’unione consumatori tiene conto di un “affitto figurativo” – quello che si paga per la casa in affitto o mutuo, o si pagherebbe se non si possedesse la casa in cui si vive – medio di circa 870 euro mensili. Ciò significa che, di fatto, all’interno del ceto medio-basso dei lavoratori fondamentali milanesi, solo chi già possiede l’abitazione può permettersi di risparmiare e, in certi casi, di mettere a valore i propri beni immobili con considerevoli guadagni. Chi invece la casa deve pagarsela, nei fatti, difficilmente può realizzare un guadagno dalla propria condizione: secondo rilevazioni Tecnocasa, a Milano i costi per accedere a un’abitazione sono cresciuti del 39% in soli cinque anni[5]. Non è poi da dimenticare che la crescita dei valori immobiliari, che in alcuni quartieri milanesi anche durante la pandemia ha registrato aumenti del 10% in sei mesi[6], è solo uno degli aspetti della generale rincorsa nei prezzi di accesso ad altri beni e servizi “fondamentali”, quelli che costituiscono la base per una vita quotidiana dignitosa e soddisfacente (come acqua, cibo, energia) per cui secondo l’Unione nazionale dei consumatori nel 2022 le famiglie milanesi dovranno spendere mediamente 1.130 euro in più dell’anno precedente[7]. Il peso crescente dell’energia sta raggiungendo il parossismo, ma già prima dell’attuale crisi energetica i nuclei familiari italiani più poveri dovevano aggiungere ad affitti elevati spese energetiche che incidevano mediamente per l’8% del reddito[8]. Da non trascurare, poi, come l’infrastruttura della “socialità” (bar, cinema, ristoranti, piscine, spazi pubblici, ecc.), che costituisce una parte fondante del buon vivere urbano, a Milano si stia riorientando sempre di più verso offerte di lusso che programmaticamente escludono i modi di convivialità dei ceti popolari[9].
Come può reggersi una tale contraddizione? Probabilmente, almeno in parte, attraverso la progressiva e continua “esternalizzazione” delle funzioni meno pregiate, anche abitative (cioè l’espulsione di nuclei e individui più poveri).
Il sistema economico di Milano, com’è noto, continua ad appoggiarsi fortemente sull’hinterland per dare posto a funzioni ed attività.
Per esempio, di recente il settore globalizzato della logistica ha cominciato a guardare ai piccoli Comuni del pavese come luoghi dove atterrare facilmente operazioni speculative grazie al minor costo dei suoli[10]. In modo simile, i comuni della cintura metropolitana di Milano tendono a diventare il bacino abitativo per quel ceto di reddito basso e medio-basso che cerca faticosamente pagare un po’ meno per la casa: secondo Tecnocasa, dal 2019 al 2021 cresce dal 21,2% al 24,2% la quota di residenti milanesi che decide (o è obbligata) a trasferirsi nell’hinterland[11]. Per non parlare di coloro che versano in condizione di povertà, in molti casi indotta da spese abitative eccessive, che non hanno speranza nel competitivo mercato dell’affitto milanese (il caso dei riders che si affollano sui treni suburbani in direzione Milano è in questo senso evidente).
Mentre si fregia di attrarre capitali e funzioni internazionali, sempre più Milano sta diventando una città espulsiva e “senza guadagno” per i ceti popolari, così come quei modelli capestri di fabbrica in cui gli operai finiscono per spendere l’intero stipendio per dormire, mangiare e scaldarsi, e alla fine del mese non rimane loro null’altro che un mese in meno. Purtroppo, nonostante una crescente sensibilità sul tema delle spese abitative, siamo ancora lungi dal proporre una vera politica della casa. Nella classe dirigente prevale invece una finta soluzione, propria del paradigma liberista cui siamo tristemente abituati: spingere sui valori immobiliari puntando sull’attrazione di imprese ad alto valore aggiunto (con un portato di incentivi fiscali) che forniscano stipendi più alti.
Ma quanto dovrebbero aumentare gli stipendi se i prezzi delle case salgono del 39% in cinque anni? Qual è uno stipendio decente se i valori immobiliari si accompagnano, in una rincorsa cinica, all’aumento dei prezzi di tutto il resto? E, soprattutto, che fine farà chi non riesce ad accedere agli impieghi più remunerativi, o ad alcun impiego decente, vista la situazione del mercato del lavoro[12]?
Invece, è anche (e soprattutto) sul fronte delle spese che bisogna intervenire, e non solo sui redditi: sulla costruzione di infrastrutture di beni servizi fondamentali a basso costo per i ceti popolari, ciò che serve per una vita dignitosa ad un costo accessibile e facilmente raggiungibile. Su questo magazine è stata proposta recentemente la prospettiva di Milano come città internazionale ma popolare[13]. Sposare questa prospettiva, la prospettiva di una città “radicata” sulle infrastrutture fondamentali della vita quotidiana, significa prendere atto delle distorsioni in atto e intervenire in modo deciso sui costi a cui devono far fronte i ceti popolari. In primis, ovviamente, la casa, ma anche tutti quei beni e servizi fondamentali che compongono il buon vivere in una città, dalla salute e l’educazione fino allo svago e alla socialità. In altre parole, “prima i fondamentali” come suggerito dal titolo di un libro recentemente pubblicato dalla la Fondazione Feltrinelli[14], poi l‘attrazione di imprese ad alto valore aggiunto.
[1] https://www.mapparoma.info/mappe/mapparoma37-il-reddito-dei-romani-nel-2020-primo-anno-della-pandemia-da-covid-19/
[2] https://dati.comune.milano.it/it/dataset/ds531_distribuzione-del-reddito-complessivo-delle-persone-fisiche
[3]https://milano.repubblica.it/cronaca/2022/05/16/news/costo_della_vita_a_milano_inchiesta-349706877/
[4] https://www.ilsole24ore.com/art/dopo-l-emergenza-covid-19-quasi-60percento-famiglie-italiane-non-riesce-ad-arrivare-fine-mese-ADkpB7c
[5] https://www.monitorimmobiliare.it/milano-quotazioni-immobiliari-piu39-negli-ultimi-5-anni-report_20225231646
[6] https://www.corriere.it/economia/casa/cards/case-prezzi-salgono-dove-comprare-guarda-mappa-milano-capitale-rincari-roma-napoli-piu-stabili/segnali-preoccupazione_principale.shtml
[7] https://www.milanotoday.it/economia/milano-costo-vita-2022.html
[8] https://www.researchgate.net/publication/358643025_Dove_abita_la_poverta
[9] https://www.erisedizioni.org/prodotto/foodification-perucca-tex/
[10] https://www.ilpost.it/2022/05/12/espansione-logistica-pavia/
[11] https://www.monitorimmobiliare.it/milano-quotazioni-immobiliari-piu39-negli-ultimi-5-anni-report_20225231646
[12] https://milano.corriere.it/notizie/economia/22_aprile_23/lombardia-generazione-disillusi-giovane-5-15-34-anni-non-studia-non-lavora-0623be38-c27a-11ec-9ffc-d9c4202c6b45.shtml
[13] https://fondazionefeltrinelli.it/una-sfida-per-milano-internazionale-ma-popolare/
[14] https://fondazionefeltrinelli.it/schede/prima-i-fondamentali/