Direttore della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Photo Credits © John Stanmeyer \

Oggi tendiamo a catturare il mondo entro la superficie liscia di uno smartphone. Gli schermi e i dispositivi tecnologici mediano il nostro rapporto con il reale: lo traducono in mappe che ci indicano la via, indirizzano le nostre risposte emotive offrendoci faccine sorridenti o corrucciate per dire se siamo felici o infelici, filtrano le notizie che l’algoritmo ha deciso possano essere di nostro interesse. Ci offrono, in breve, una versione semplificata del mondo.

E gliene siamo grati perché l’incontro con la complessità provoca uno shock. L’epoca che stiamo vivendo è caratterizzata da cambiamenti repentini e apparentemente incontrollabili, evoluzioni esponenziali e non più lineari che sovrastano l’individuo, lo privano delle proprie coordinate e lo lasciano con la sensazione di non avere strumenti adeguati per tracciare una rotta affidabile.

Secondo il 53° Rapporto Censis il 69% dei cittadini italiani intervistati dichiara di provare incertezza sul futuro, il 17,2% pessimismo e solo il restante 13,8% è ottimista. Un dato che ci fa riflettere: l’idea di progresso, che ha alimentato il mito della Modernità, e di un futuro di liberazione, emancipazione, evoluzione, giustizia è stata sostituita dal timore di un futuro percepito come “minaccia”.

Se i contesti di vita e l’orizzonte del tempo a venire smettono di essere accoglienti, viene spontaneo attivare meccanismi di tutela: forme di protezione, rifugio e ritiro che ci mettano al riparo dall’esposizione all’imprevedibilità del reale.

Chiudersi in sé stessi, tuttavia, non è la risposta. La complessità, che vorremmo arginare, bussa alla porta e ci chiede di essere abitata, fronteggiata, addomesticata, se con questo termine vogliamo alludere all’esercizio di rendere famigliare ciò che – anche nostro malgrado – si aggira attorno a noi, influenzando il nostro paesaggio quotidiano.

Possiamo incidere sulla realtà che ci circonda senza esserne spaventati? Come possiamo riappropriarci di quelle risorse emotive che alimentano la curiosità, facendo dell’ignoto non un fattore perturbante ma il catalizzatore di un percorso di scoperta che, come per gli Antichi, riconosce nella meraviglia la condizione di possibilità di ogni conoscenza?

Il percorso Cinque lezioni di complessità nasce con questo spirito: riscoprire il potenziale della nostra singolarità, il fascino della diversità e la ricchezza dei rapporti con gli altri e con il mondo, per tornare a prendersi cura di sé e alimentare la voglia di futuro.

Un percorso di 5 incontri pubblici, a cura del filosofo e psicanalista Miguel Benasayag, per entrare in contatto con la complessità del tempo presente: l’epoca post- o iper-moderna ci costringe a fare i conti con il fatto che la storia non segue una progressione lineare e naturalmente orientata al bene. Per quanto sconcertante, questo dato non ci priva tuttavia della facoltà di sentire, capire, agire. Forse non possiamo più raffigurarci come l’Uomo vitruviano, misura ultima di tutte le cose: siamo tuttavia esseri viventi e senzienti, esseri sociali e relazionali, esseri razionali e da sempre “tecnologici”, come l’antropologia filosofica ha ampiamente dimostrato.


Miguel Benasayag


Questo ci dice che c’è un potenziale da riscoprire e che gli antidoti all’inazione passano dalla conoscenza reciproca: dalla possibilità di acquisire familiarità con fenomeni ambivalenti, di cui temiamo il portato distruttivo, ma che invece possono essere risorse di benessere e di emancipazione.

Il primo dei cinque temi di questo percorso – pensato per ridare voce alla dimensione interiore dell’individuo e riattivare l’entusiasmo per un futuro da costruire insieme – è dunque la società: il nostro modo di stare insieme agli altri e costruire relazioni di intesa e di appartenenza. Con l’antropologo Marco Aime approfondiremo le rivoluzioni antropologiche che ci hanno cambiato, per capire cosa ci tiene insieme e per chiederci come l’avvento della Rete e il diffondersi di società sempre più digitali abbiano modificato il nostro modo di relazionarci, nel contesto di forme di convivenza radicate nel locale ma attraversate da trend di portata globale.

Nel secondo appuntamento analizzeremo la complessità da un’altra prospettiva: grazie all’intervento dell’ingegnere e Professore Emerito di Fisica Teorica Mario Rasetti ci concentreremo sul rapporto tra big data e governance in un mondo sempre più condizionato dagli algoritmi. Se la tecnica diventa pervasiva e plasma le forme dell’interazione sociale, economica e politica, quale spazio può conservare e riconquistare la generatività umana nei processi decisionali? Se il digitale è l’ecosistema nel quale conduciamo le nostre vite individuali e collettive, come adattare anche le forme della partecipazione e della governance politica alle opportunità correlate alle nuove tecnologie in direzione di modelli piò sostenibili, democratici e trasparenti?

Nessun orizzonte di progresso condiviso è tuttavia possibile se non teniamo conto dell’urgenza di superare le atrofie dell’esperienza educativo e ci impegniamo nel costruire reali occasioni di crescita umana e civile. Con il maestro elementare Franco Lorenzoni approfondiremo il tema della formazione come chance di una realizzazione a tutto tondo e dell’educazione come palestra per allenare i giovani e i cittadini alla responsabilità.

Con la curatrice artistica Amelie Klein ci interrogheremo sulla necessità di ragionare collettivamente sulle attese e sui timori derivati dalla robotica, alla ricerca di una relazione di virtuosa reciprocità tra uomo e macchina. Se la nostra è l’“epoca artificiale” dei cyborg, come interpretare questi processi di ibridazione e orientarli affinché rispondano a bisogni e aspettative umane? Senza cadere vittimi di una sterile paura della tecnologia, si tratta di chiedersi come l’intelligenza umana possa interagire con gli intelletti sintetici, affinché il cambiamento possa avvenire nel segno di una co-evoluzione di cui carne e silicio possano essere protagonisti.

In risposta alla nostalgia per un passato mitizzato e rimpianto, questo itinerario vuole guardare al “futuro come a una passione gioiosa”. L’immersione nella complessità del tempo presente è una chance per navigare l’onda e spostare più in là la linea dell’orizzonte. Con Selene Biffi, imprenditrice sociale e start-upper, ci interrogheremo sulle concrete possibilità che ciascuno di noi ha di riappropriarsi della propria creatività, della capacità di produrre novità, di contribuire a un mondo più umano e sostenibile.

Un invito a apprezzare il fascino della complessità, nella consapevolezza che fragilità e felicità possono convivere, che la vastità dei processi non ci priva della facoltà di continuare a interrogarli, che il cambiamento non si produce nella forma istantanea di un risultato calcolabile ma si dà come un cammino da intraprendere con l’estro e la meraviglia della scoperta continua.

 

Condividi
La Fondazione ti consiglia
pagina 75660\