Pubblichiamo qui di seguito un estratto dal saggio di Arianna Tassinari e Vincenzo Maccarrone contenuto nel volume a cura di Luca Cigna Forza Lavoro! Ripensare il lavoro al tempo della pandemia, Milano, Fondazione G. Feltrinelli, 2020.
Nell’autunno del 2020 la gig economy italiana ha visto l’apertura di un nuovo fronte di scontro, dopo che Assodelivery – l’associazione datoriale che riunisce le principali piattaforme di consegna cibo operanti in Italia – ha annunciato di aver siglato un contratto nazionale con l’Unione Generale di Base (UGL), sindacato storicamente vicino alla destra. In quest’ultimo erano già confluiti i fattorini iscritti ad Anar, l’associazione nata a fine 2019 per raccogliere i rider favorevoli al mantenimento dello status di autonomi, col supporto delle piattaforme. Il tempismo dell’accordo non è casuale: a inizio novembre scadeva il termine – previsto dal “decreto rider” – entro il quale la contrattazione collettiva avrebbe potuto fissare le modalità di retribuzione del settore, scaduto il quale sarebbe stata eliminata la possibilità di pagare a cottimo e si sarebbero applicati i minimi salariali orari previsti dai contratti nazionali collettivi di settori affini al food delivery, come quello logistico. L’accordo raggiunto da Assodelivery con UGL risponde invece ai desiderata delle piattaforme, mantenendo l’inquadramento dei ciclofattorini come lavoratori autonomi e il cottimo come forma prevalente di retribuzione.
Nonostante l’opposizione dei collettivi dei fattorini, dei sindacati confederali e dello stesso ministero del lavoro – che in una lettera inviata ad Assodelivery ha contestato l’effettiva rappresentatività di UGL e dunque la validità del contratto – le principali piattaforme di consegna cibo hanno successivamente invitato i propri lavoratori a sottoscrivere nuovi contratti sulla base dell’accordo firmato, pena il licenziamento.
L’annuncio dell’accordo ha portato quindi a una nuova ondata di mobilitazioni dei ciclofattorini, culminata in uno sciopero nazionale il 30 ottobre che ha visto coinvolte città in tutta Italia.
Lo sciopero nazionale è stato indetto dalla rete “Rider X I diritti”, che aggrega la maggior parte dei collettivi autonomi dei rider nelle varie città italiane, ma include anche alcune sigle confederali come UIL-TuCs e NiDIL-CGIL, dimostrando un allargamento progressivo della coalizione di attori coinvolti nella lotta. Al contempo, alla mobilitazione hanno partecipato anche collettivi di rider da città non aderenti alla rete, a dimostrazione della persistente eterogeneità nelle forme organizzative. Le modalità dell’azione hanno ricalcato quelle osservate sin dai primi scioperi: disconnessione in massa dall’applicazione per prenotare i turni, presidi di fronte ai ristoranti per sensibilizzare esercenti, colleghi e clientela sulle condizioni lavorative, cortei e “biciclettate” in massa. Colpisce però sia la crescita numerica dei fattorini in mobilitazione, che il livello di combattività osservata in alcuni degli episodi di protesta, che dimostrano l’esasperazione di lavoratrici e lavoratori del settore di fronte alle condizioni di lavoro sempre peggiori, soprattutto in un contesto complesso come quello della pandemia.
Le recenti tensioni legate all’imposizione del contratto Assodelivery-UGL mostrano come, da un lato, le piattaforme abbiano ancora grande potere per intervenire in maniera fondamentalmente unilaterale sulle condizioni di lavoro e contrattuali della propria forza lavoro, anche in aperto disprezzo dei processi negoziali in corso. Dall’altro, lo strappo operato dalle piattaforme potrebbe paradossalmente portare a una spinta per garantire maggiori diritti ai rider, riportando la questione al centro dell’agenda politica.
Allo stesso tempo, la vicenda dimostra anche come il nodo della regolazione del lavoro dei rider non possa essere efficacemente affrontato continuando a seguire un approccio ad hoc come è stato finora. L’impressione, infatti, è che diverse forze politiche – Movimento 5 Stelle in primis, seguito a ruota più recentemente anche dal PD – abbiano voluto adottare la vertenza dei rider come terreno simbolico su cui dimostrare la loro attenzione ai temi della precarietà, intraprendendo dunque iniziative sia di solidarietà che di regolazione “simboliche” ma dalla portata effettivamente limitata. È chiaro invece come le problematiche del settore non siano isolate, ma sintomatiche di problemi profondi che caratterizzano il mercato del lavoro italiano più in generale: salari al ribasso, forme di precarietà contrattuale dilagante, un quadro legislativo che favorisce la contrattazione collettiva al “ribasso”, arroganza e strapotere padronale. I rider stessi hanno ben presente la generalità delle loro istanze, ben incapsulate in uno degli slogan delle lotte, “non per noi, ma per tutti”. Ed è chiaro che se avverrà un miglioramento significativo nelle loro condizioni, sarà in primis grazie alle lotte che i lavoratori e le lavoratrici hanno portato avanti con grande tenacia in questi anni, e che non accennano ad attenuarsi. Gli scenari di sviluppo rimangono incerti, ma la forza dell’azione collettiva potrebbe portare i ciclofattorini al traguardo.
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