Per una lunga fase, la cooperazione europea ha goduto di un consenso molto diffuso da parte dei cittadini, lasciando ai governi nazionali un’ampia libertà di manovra sulle politiche d’integrazione. Infatti, fino a primi anni del ventunesimo secolo, il tema dell’integrazione europea non ha influenzato il formato e le dinamiche competitive all’interno dei sistemi politici nazionali. Cittadini ed elettori si allineavano prevalentemente lungo l’asse destra-sinistra, che sintetizzava l’insieme dei conflitti dominanti all’interno delle società Europee. L’approvazione del trattato di Maastricht (1992), che istituiva l’Unione Europea (UE), ha rappresentato un primo segnale di discontinuità negli orientamenti dei cittadini nei confronti delle istituzioni Europee. La repentina accelerazione verso il processo d’integrazione non è stata accompagnata dallo sviluppo di una comune identità europea. Di conseguenza, una percentuale crescente dei cittadini ha iniziato ad esprimere un forte dissenso sia nei confronti dei principi fondamentali che delle politiche dell’UE. Eppure questa polarizzazione ideologica dei cittadini non è stata accompagnata da una imprenditorialità politica da parte delle élite partitiche, le quali hanno de-politicizzato il conflitto sull’Europa. Le principali famiglie europeiste (Socialisti, Liberali, Cristiano-Democratici, ecc.) hanno oscurato la dimensione del conflitto fondata sull’Europa, evitando di fornire uno spazio di competizione politica ai propri avversari euroscettici (Destra e Sinistra radicale).
Al contrario, la politicizzazione del conflitto sull’integrazione Europea ha subito una forte accelerazione nell’ultimo decennio, coinvolgendo sia i partiti che i cittadini. La crisi dell’Eurozona è stata un fondamentale catalizzatore di questo processo, creando degli spazi inediti per gli imprenditori Euroscettici. La gestione europea di questa crisi, che ha portato a diverse riforme dei trattati, rafforzando i vincoli di bilancio a livello nazionale, ha avuto dei profondi effetti centrifughi sulle opinioni pubbliche nazionali. I cittadini hanno incolpato le istituzioni dell’UE per il peggioramento delle loro condizioni economiche ed il sostegno popolare rispetto all’integrazione ha vissuto un vero e proprio tracollo. Di conseguenza, i partiti euroscettici hanno sfruttato questa finestra di opportunità, diventando più propensi a enfatizzare e polarizzare le loro posizioni anti-UE.
Nei paesi dell’Europa meridionale, l’opposizione Euroscettica è stata legata principalmente alle politiche di austerità promosse dall’UE, adottate per contrastare la crisi della finanza pubblica all’interno di questi stati. Non a caso, i partiti della sinistra radicale, come SYRIZA e Podemos, hanno spesso guidato questa protesta anti–austerity, enfatizzando la loro critica nei confronti dell’Europa “Neo–liberista” e del deficit democratico all’interno dell’UE. Viceversa, nei paesi dell’Europa nord-occidentale, sono stati i pacchetti di salvataggionei confronti dei paesi debitori a suscitare una forte opposizione di stampo euroscettico. In particolare, i partiti della destra radicale hanno politicizzato il loro rifiuto nei confronti di una solidarietà economica all’interno dell’Eurozona e, al contempo, hanno rivitalizzato il loro dissenso di principio verso l’integrazione Europea. Nonostante le loro differenti rivendicazioni di carattere economico, entrambi gruppi di paesi hanno testimoniato una crescente insoddisfazione nei confronti dell’UE, alimentata dagli attori Euroscettici.
Alle elezioni Europee del 2014, i temi europei hanno avuto forte impatto sul comportamento di voto, determinando un sostanziale passaggio di voti dai partiti europeisti a quelli euroscettici. In sostanza, la maggior parte delle analisi ha dimostrato la crescente importanza della dimensione europea negli allineamenti elettorali dei cittadini, che favoriva in maniera netta una coalizione di cittadini/partiti di orientamento euroscettico. Sebbene alcuni abbiano interpretato questa ondata anti–europeista come un segnale incontrovertibile di una nuova frattura politica, tale mobilitazione era ancora limitata ad un segmento minoritario della popolazione. Infatti, i partiti europeisti evitavano di politicizzare i temi europei, cercando di sfruttare elettoralmente la classica dimensione del conflitto politico, fondata sulla distinzione tra destra e sinistra. Eppure negli anni successivi, anche questi attori hanno impiegato il loro europeismo a fini elettorali, ponendo le basi per una maggiore strutturazione della frattura pro-/anti–UE.
L’imprenditorialità europeista è stata indirettamente favorita da ulteriori shock esogeni, che hanno avuto un forte impatto sugli orientamenti dei cittadini. In primo luogo, la crisi dei rifugiati, avvenuta dopo le guerre civili in Siria e Libia, ha messo ulteriormente in evidenza le storture dell’integrazione Europea. In particolare, l’UE non è stata in grado di promuovere un coordinamento sui flussi di rifugiati, con diversi paesi che hanno sfidato il quadro normativo comune. La mancanza di una risposta politica guidata dall’UE ha amplificato le carenze dei trattati esistenti, ma non ha peggiorato l’atteggiamento popolare nei confronti dell’integrazione europea. Infatti, secondo diversi sondaggi, la maggior parte dei cittadini ha espresso sostegno nei confronti del coordinamento Europeo sulle politiche migratorie durante questa crisi. Il referendum britannico sulla permanenza nell’UE (Brexit) ha dato ulteriore impulso per una reazione europeista nel resto del continente. All’indomani della Brexit, alcuni lavori hanno individuato un netto calo di coloro che sostenevano l’uscita del proprio paese dall’UE all’interno degli altri paesi membri. In effetti, l’esito di questo processo di ‘disintegrazione’ ha influenzato gli orientamenti degli elettori rispetto all’appartenenza del proprio paese all’UE, aggravando le preoccupazioni dei cittadini per il contagio politico della Brexit. In breve, la realtà dell’uscita britannica ha reso più evidenti i vantaggi utilitaristici legati all’adesione all’UE, rispetto ai costi. Di conseguenza, gli attori europeisti sono diventati più propensi ad enfatizzare la dimensione europea del conflitto politico, cercando di sfruttare elettoralmente il cambiamento degli orientamenti dei cittadini.
Le elezioni Europee del 2019 hanno testimoniato un ulteriore aumento dell’impatto dell’Europa sul voto e al contempo un riallineamento elettorale in senso europeista lunga la dimensione pro-/anti-EU. Sebbene la letteratura abbia considerato l’euroscetticismo ideologico come la principale componente di una nuova frattura sull’integrazione europea, la mobilitazione dei cittadini/elettori Europeisti ha rappresentato una condizione necessaria per strutturare questo conflitto. In effetti, periodo successivo alla crisi dell’euro, l’imprenditorialità dei partiti euroscettici ha innescato una limitata politicizzazione del conflitto europeo. Al contrario, durante il periodo successivo, l’imprenditorialità europeista sembra aver posto le basi per una politicizzazione a tutti gli effetti, ristrutturando il formato dei conflitti all’interno dei sistemi politici europei. È difficile prevedere il conflitto sull’Europa si stabilizzerà o meno. Tuttavia, la pandemia Covid-19 ha rappresentato un’ulteriore finestra di attenzione per i processi d’integrazione europea, che potrebbe aumentare l’impatto dell’Europa sul voto, rafforzando la frattura pro-/anti-EU.