Negli ultimi decenni gli aggregati urbani si sono trasformati dilatando le proprie dimensioni e assumendo in alcuni casi le forme di vere e proprie megalopoli multiculturali dalle complesse stratificazioni socioeconomiche. In tutto il pianeta, infatti, sempre più persone vivono nelle città. Un senso di crisi, tuttavia, sembra oggi pervadere non soltanto la realtà ma persino il concetto di città, che risulta sempre più difficile da definire in maniera univoca. Questi agglomerati urbani sono sempre più un complesso sistema difficile da governare in cui l’urbanistica deve procedere in parallelo con l’economia, la sociologia, la scienza politica e la storia.
La velocità e la dimensione del processo di urbanizzazione, infatti, pongono alle città un ventaglio molto ampio di problemi. Molteplici periferie – caratterizzate, in alcuni casi, dall’emarginazione e dal degrado, ma anche capaci di innovazione e risorse critiche e trasformative – si formano intorno ai centri storici. Diseguaglianze economiche sempre più marcate fanno da contraltare alla supposta naturalità del mercato, la quale, in molti casi, piega le governance cittadine ai crescenti processi di privatizzazione degli spazi sia materiali che immateriali.
Ripensare le città è, dunque, un imperativo dal quale non ci si può sottrarre. Da quando le città hanno perso gran parte della loro evidente connotazione industriale, gli obiettivi della pianificazione urbana sono profondamente mutati. Se prima era precipuo governare l’espansione delle città, adesso l’attenzione si è spostata sulla loro riqualificazione (non solo nei centri storici, ma anche nelle periferie costruite negli anni del boom economico). Riconversione degli spazi che spesso è promossa dal basso, dalle comunità che abitano i territori e ne progettano il ripensamento, sia per ciò che riguarda la creazione di servizi che la tutela ambientale.
Se «l’inferno dei viventi», come fa dire Italo Calvino a Marco Polo nelle sue Città invisibili, è quello che «abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme», due soli modi ci sono per non soffrirne: il primo è «diventarne parte fino al punto di non vederlo più»; l’altro, molto più rischioso, richiede studio e «apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.»
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli vuole proporre questa seconda modalità di approccio al tema della trasformazione delle città. Le città sono anche paesaggi, piazze, opportunità, relazioni generative. Si tratta di saperle riconoscere e di dar loro spazio per pensare la citta di domani.