Non solo storia – Calendario Civile \ #Agosto1991
Ecco – continuavano i vecchi dei villaggi polverosi a nord di Valona – per arrivare in Italia la strada è stata segnata secoli addietro. È lì, davanti ai loro occhi. Il suo imbocco è a poche centinaia di metri, pochi chilometri, dalle loro case. È lì, impressa sulle onde del mare. Scolpita non solo dal feroce ardore del sogno o dell’utopia, ma anche dal peso incontrovertibile della Storia. Ribadita da Pirro, e dai figli di Pirro, e dai figli dei figli di Pirro, e da quanti hanno deciso nei secoli di posizionare le proprie imbarcazioni all’altezza della foce del Vjosa e di farsi guidare dal soffio degli dèi.
Alessandro Leogrande, Il Naufragio, 2011
È l’8 agosto del 1991 e la nave mercantile Vlora, partita da Durazzo, entra nel porto di Bari carica di quasi ventimila migranti in fuga dall’Albania.
È l’alba di un esodo di massa verso quella che, riprendendo l’opera di Gianni Amelio, è L’america vicina: l’Italia del benessere raccontata dai programmi televisivi.
Cosa sta succedendo di là dal mare? Dopo decenni di oppressione che hanno impoverito gravemente tre milioni di persone, il regime comunista albanese, ormai isolato nel contesto internazionale, mostra le profonde crepe che lo porteranno al crollo.
Le strutture statali italiane non sono preparate al tipo di accoglienza richiesto, ma i baresi – come già successe a Brindisi nel marzo dello stesso anno – non si perdono d’animo e in poco tempo offrono cibo, medicine e vestiti.
L’8 agosto del 1991 fu il giorno in cui l’immaginario degli italiani sulle migrazioni cambiò in maniera drastica e, a trent’anni di distanza possiamo dirlo, durevole. Per decenni alle parole migrazione e migranti erano state associate le immagini degli abitanti del Meridione d’Italia che salivano sui transatlantici diretti nelle Americhe, oppure sui treni diretti a nord, fosse quello italiano o quello europeo. Lo sbarco dell’8 agosto portò con sé un’immagine destinata ad imprimersi nelle menti non solo dei cittadini pugliesi ma di tutti gli italiani che seguirono gli eventi alla televisione: quella di una mobilità non più in uscita ma in entrata, non numericamente limitata ma consistente, o almeno non più tanto limitata da poter essere invisibile.
Una mobilità che chiamava il paese di arrivo e i suoi abitanti a fare i conti con la necessità di ripensare il ruolo dell’Italia nel contesto internazionale, a rivedere i rapporti con le popolazioni vicine e meno vicine, e anche a riconsiderare, in prospettiva, la composizione della propria società.
Tornare a Bari e ricordare la risposta che diede allora il sindaco Enrico Dalfino – “sono persone” – e la successiva attivazione di reti civiche di solidarietà ci permette oggi di porre al centro la questione dell’integrazione, superando gli approcci più retorici e guardando concretamente alle esperienze di accoglienza e aiuto attivate fin qui. Ma invita anche a riflettere sul vuoto di progetto istituzionale: dopo trent’anni, siamo capaci di formulare politiche improntate non solo alla gestione emergenziale dell’immigrazione? Dopo trent’anni siamo capaci di elaborare un’idea di cittadinanza e un modello di società all’altezza delle sfide e delle opportunità che il fenomeno migratorio solleva?