Prima donna Primo Ministro della Gran Bretagna e dell’intero Occidente: il 4 maggio 1979 veniva eletta Margaret Thatcher, leader dei Tories, conservatori inglesi, e sarebbe rimasta al governo per tre mandati consecutivi fino al 1990.

Con l’arrivo degli anni Settanta, l’«età dell’oro» dell’Occidente giunse inesorabilmente a conclusione. La conferma dell’ingresso in una nuova fase storica è certamente data dal collasso del sistema di Bretton Woods nel 1971 e dal deficit energetico cui incappò l’Europa occidentale a seguito dalla guerra dello Yom Kippur nel 1973. Al contempo, è confermata dal collasso dell’equazione tra capitalismo e industrialismo, che aveva contrassegnato lo sviluppo occidentale fin dalle fasi immediatamente successive alla Seconda guerra mondiale.

Anche il Labour Party inglese, che aveva avuto un ruolo centrale nella gestione della Gran Bretagna post 1945, faticò enormemente a comprendere la nuova realtà, segnata dalla crisi dei modelli precedenti e dall’ascesa di una scuola di pensiero che mirava a ridurre le competenze dello Stato. A seguito del cosiddetto Winter of Discontent (1978-1979), cioè il biennio in cui la crisi e il conflitto sociale nel paese furono durissimi, i conservatori riuscirono a comprendere il nuovo clima che stava sorgendo nel Paese, un clima contrario al consenso cui avevano a lungo goduto i laburisti.

Non a caso, Margaret Thatcher e i conservatori si gettarono nella campagna per le elezioni generali britanniche del 1979 con lo slogan «Labour isn’t working», scritto a lettere cubitali sopra l’immagine di una lunga dole-queue di disoccupati: una immagine molto comune e rappresentativa della crisi economica che stava attraversando non solo la Gran Bretagna ma l’intero Occidente nel corso degli anni Settanta. L’arrivo di Thatcher a DowningStreet nel 1979 rappresentava un punto di non ritorno: sotto la sua bandiera furono portati avanti modernizzazione e privatizzazioni, attacco alla presenza dello Stato in economia e svuotamento del ruolo dei sindacati, una politica estera e anticomunista aggressiva, intransigenza contro gli irlandesi dell’IRA, contro l’Unione Monetaria Europea.

La Lady di Ferro fu l’artefice di una trasformazione della politica britannica in modo permanente e radicale, in un contesto europeo e mondiale di mutazione e profonda delle culture politiche, della leadership, della costruzione del consenso e di riscossa del neoliberismo, come forza distruttiva e allo stesso tempo creativa. Il “progetto egemonico”, globale e transnazionale avrebbe intaccato le culture politiche, le istituzioni, i media, le relazioni sociali, i valori condivisi nelle società dell’occidente capitalistico. Un “nuovo consenso” populista e autoritario fu la soluzione del thatcherismo alla crisi degli anni settanta, o meglio alla crisi della social-democrazia keynesiana, che avrebbe scompaginato gli equilibri economici e politici in piedi fin dal secondo dopoguerra.

La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli promuove un percorso editoriale dedicato alla figura e alle eredità di Margaret Thatcher in occasione di quarantanni dalle elezioni del 4 maggio 1979 che avrebbero cambiato per sempre la Gran Bretagna e l’Europa.



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