A cura di Niccolò Donati
L’otto marzo ricorre il giorno internazionale della donna. Questo anniversario, nato nel 1908 dalle lotte delle donne socialiste nell’ambito della Seconda Internazionale, celebra le conquiste della donna in ambito sociale, culturale, economico e politico.
Tali conquiste però non appartengono solo al movimento di liberazione delle donne, ma all’umanità intera. Con lo slogan “i diritti della donna sono diritti umani”, le femministe presenti alla Convenzione Internazionale per i Diritti dell’Uomo, a Vienna nel 1993, rimarcarono che l’umanità non potrà dirsi emancipata fintanto che non garantirà i diritti della donna.
L’Italia, che ogni anno celebra la ricorrenza in un effluvio di mimose, sembra essere però profondamente iniqua verso le donne, italiane e non. Come si legge in un recente rapporto ISTAT sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, l’Italia registra un divario di genere nei tassi di occupazione tra i più alti in Europa. In Italia, infatti, l’occupazione femminile è inferiore a quella maschile del 18%, ben sopra alla media europea del 10%. La situazione sembra migliorare se si guarda alle differenze di salario tra uomini e donne (il gender pay gap): dal 2007 al 2019, il divario è calato di 6,3 punti percentuali. A ben vedere, però, questo risultato non è tanto da attribuire ad un vero miglioramento della condizione economica femminile, quanto al peggioramento di quella maschile: la crisi economica, a partire dal 2007, ha infatti colpito maggiormente settori che occupano prevalentemente uomini (come il manifatturiero), mentre ha avuto un decorso più mite su settori dove si registra una maggiore occupazione femminile (come i servizi). Sembrano invece permanere gli ostacoli di natura lavorativa ed organizzativa che spiegano la presenza del divario salariale tra i generi. In primo luogo, non è un mistero che l’Italia usi poco e male i suoi laureati. Ma la sorte peggiore tocca alle laureate: a quattro anni dalla laurea (di primo livello), solo il 67% svolge una professione consona al titolo (contro il corrispettivo 79% dei laureati uomini). Le condizioni sul lavoro, poi, sono rese peggiori dal fenomeno del “part-time involontario”: le donne che svolgono part-time sono un terzo della forza lavoro femminile (32,8%, contro l’8,7% degli uomini). Di queste il 60% svolge un part-time involontario, non usato cioè come strumento di conciliazione vita-lavoro, quanto come strumento di flessibilità a favore delle imprese.
Per finire, in tema di conciliazione famiglia-lavoro, la cura della famiglia rimane uno dei fattori che maggiormente svantaggia le donne: in termini di tasso di occupazione, la partecipazione delle donne con figli al mercato del lavoro è minore del 26% rispetto a quello delle donne senza figli.
La festa della donna celebra le conquiste femminili e la parità di genere in ogni ambito della vita.
Perché non diventi una festa puramente simbolica, però, dobbiamo considerare il contesto materiale, le condizioni effettive di lavoro e di vita. Per questo, vogliamo contribuire a questa ricorrenza – che da tempo è diventata giornata di mobilitazione transnazionale contro la violenza di genere per rivendicare libertà e autodeterminazione – con sei approfondimenti provenienti dalla ricerca di Fondazione Feltrinelli per offrire sei diverse fotografie dell’occupazione femminile.