A cura di Jacopo Perazzoli
Il 7 ottobre 1989 a Berlino Est venne festeggiato, con una parata militare alla presenza dei principali esponenti politici del blocco orientale (Michail Gorbachev su tutti), il quarantennale della Repubblica Democratica Tedesca. Due giorni dopo, il 9 ottobre, a Lipsia iniziarono le “dimostrazioni del lunedì”. Evidentemente, le condizioni e la quotidianità della RDT non erano così rosee come aveva dichiarato poco prima il suo presidente, Erich Honecker. Infatti, malgrado la retorica del regime, il malessere dei cittadini della Germania Est era evidente: esemplificativo, in questo senso, l’esodo di migliaia di tedeschi orientali verso Occidente, esodo reso possibile dall’apertura delle frontiere tra Ungheria e Austria nell’agosto del 1989.
Ciò premesso, perché l’epicentro della Friedliche Revolution, la Rivoluzione pacifica, fu proprio Lispia? Lo storico Charles Maier ha spiegato che la città sassone rappresentava il contesto ideale sulla base di tre diversi fattori: “i partecipanti più motivati alle sedute di preghiera, ispirati dai diritti umani, dalla pace e da altre telematiche pubbliche; la vecchia classe operaia dell’area metropolitana, colpita dalla crisi industriale della regione, dal cattivo stato delle abitazioni e da trasporti inadeguati; la polizia di regime, tentennante tra un atteggiamento di cauta circospezione e dure tattiche repressive”.[1]
All’interno di un contesto favorevole e pronto a recepire il cambiamento, la crisi che investì il vertice del Partito Socialista Unificato (SED) venne percepita come l’ulteriore prova dell’instabilità del sistema. Infatti, nel medesimo periodo – tra il settembre e l’ottobre – in cui l’anziano capo dello Stato Erich Honecker venne sostituito da Egon Krenz, il numero dei partecipanti ai “lunedì di Lipsia” crebbe fino a toccare quota 300.000 cittadini in piazza e nelle strade. Fu una protesta in larghissima parte spontanea, vista la debolezza dei gruppi di dissidenti organizzati, il primo dei quali, Neues Forum (Nuovo Foro), nacque praticamente in quelle turbolente settimane.
Anche se il ricordo dei moti del giugno 1953 era ancora particolarmente vivo tra la popolazione (moti che, provocati dall’aumento delle ore di lavoro del 10 per cento senza alcun innalzamento dello stipendio, furono repressi nel sangue anche grazie al supporto delle truppe sovietiche), così come lo era, forse con entità maggiore, il ricordo dei fatti drammatici di Piazza Tienanmen, il 9 ottobre 1989 fu la giornata decisiva: invocando, tra i vari punti, le libere elezioni, l’abolizione delle restrizioni di viaggio, la legittimazione delle forze d’opposizione e la rinuncia da parte della SED al suo primato politico, i manifestanti riuscirono a resistere alle pressioni dell’apparato di sicurezza, schierato in forze per dar seguito ai propositi del regime di voler far rispettare la legge e l’ordine, se necessario con la forza.[2]
Dopo essersi ritrovati nel tardo pomeriggio alla Nikolaikirche – una chiesa evangelica situata nelle vie centrali – ed aver assistito alla decisione della polizia di rimuovere i posti di blocco, i manifestanti decisero di riversarsi nelle vie del centro storico: da quel momento, è stato notato, “fu chiaro che non si sarebbe più tornati alla vecchia RDT”.[3] Mentre il regime comunista aveva lungamente adoperato il concetto di popolo nelle sue operazioni politico-propagandistiche, i dimostranti lanciarono quale slogan decisivo e fulminante “Wir sind das Volk, Noi siamo il popolo”.[4] Queste parole ribaltavano la prospettiva della Repubblica Democratica: non riconoscendosi più nelle istituzioni, avendo inoltre la forza di dichiararlo pubblicamente, i dimostranti contribuirono così ad indebolire l’intero edificio statale, che nel giro di un anno sarebbe definitivamente crollato: al termine di quella “rivoluzione morbida”, ossia un cambiamento rivoluzionario e al contempo non violento,[5] la riunificazione delle due Germanie fu proclamata il 3 ottobre 1990, a meno di un anno dai fatti di Lipsia qui rievocati.
Nel percorso proposto, quattro riflessioni prodotte “in tempo reale” ricavate dal patrimonio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli mettono a fuoco alcuni aspetti specifici di quegli eventi, tracciando alcune ipotesi interpretative sulle conseguenze della Friedliche Revolution. Anzitutto, il saggio di Norberto Bobbio, L’utopia rovesciata, ragiona sugli sviluppi delle crisi dei sistemi comunisti nel corso della seconda metà del 1989, ammonendo il lettore che la conclusione dell’esperienza comunista non avrebbe posto fine “al bisogno di sete e giustizia”. L’articolo di Carlo Galli, L’Europa e la rivoluzione della modernità, descriveva quelle rivolte come delle spinte verso la modernizzazione, per la cui realizzazione i cittadini della Germania Est si erano dimostrati pronti a mobilitarsi e a battersi per l’ottenimento di nuovi diritti individuali e sociali. Gli ultimi due scritti della sezione documentaria sono ricavati dalla sezione “Germania/Germanie” che “Micromega” predispose nel secondo numero del 1990. Se il saggio di Gian Enrico Rusconi, Quale rivoluzione, quale patriottismo, pone l’accento sulla rotta percorsa dai movimenti a seguito dell’ottobre 1989, riflettendo in particolare sull’apparente ritrosia della classe dirigente della RDT nell’accogliere le istanze di riforma provenienti “dal basso”, lo scritto di Otto Kallscheuer evidenzia le difficoltà della sinistra tedesco-occidentale ed europea nel reagire a quegli avvenimenti con chiarezza d’intenti: l’unica soluzione per inglobare la riunificazione tedesca sarebbe stata quella di “fare dell’Europa uno spazio sociale aperto”, dove agli stranieri – in quel caso i cittadini tedeschi provenienti dalla RDT ormai in fase di dissoluzione – venissero riconosciuti immediatamente i diritti civili sociali e i diritti di partecipazione politica: soltanto agendo in questo modo, l’Europa sarebbe divenuta effettivamente federale.
La sezione si completa con gli articoli di Mario Ricciardi, direttore della rivista “Il Mulino, e David Bernardini, dottore di ricerca ed esperto di storia tedesca.
[1] C. S. Maier, Il crollo. La crisi del comunismo e la fine della Germania Est, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 219.
[2] Ivi, p. 226.
[3] C. Wielepp, Montags Adbends in Leipzig, in T. Blanke, R. Erd (a cura di), DDR-Ein Staat Vergeht, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main, 1990, pp. 71-78.
[4] G. E. Rusconi, Capire la Germania. Un diario ragionato sulla questione tedesca, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 76.
[5] G. Corni, Storia della Germania, Il Saggiatore, Milano, 1995, pp. 435-442.