È come se nella vicenda Cospito ci fosse un enorme non detto che riguarda il grado di maturazione della democrazia in Italia. Vi è l’ostinazione di uno Stato sordo all’Europa, che non accetta di mettersi in discussione dal punto di vista del diritto e della propria capacità di esercitare la pena in modo non inflittivo, al di là delle caratteristiche del detenuto.
Vi è inoltre una curiosa convergenza, fra destra e sinistra, di superficialità, di allarmismi, di distinguo e di ancestrale timore del conflitto che, se la democrazia fosse appunto matura, non avrebbero poi tanta ragione di esistere. Lo Stato avrebbe la capacità di assorbire il conflitto (anzi, qualche volta, addirittura di migliorare sé stesso), o di reprimerlo quando necessario, avendo l’autorevolezza e il consenso per farlo.
Alfredo Cospito è un militante anarchico che nel passato ha compiuto scelte molto nette, alcune delle quali violente e che sono state naturalmente perseguite a livello penale. Le ha rivendicate, ne ha pagato e ne sta pagando le conseguenze. Oggi, conduce una personale battaglia contro la detenzione in regime di art. 41 bis., dalla quale non vuole uscire con benefici soltanto individuali.
Nella storia, e non solo italiana, gli anarchici hanno sovente pagato – anche con la vita, come Sacco e Vanzetti, e anche da innocenti – la colpa di essere un obiettivo sempre a portata di mano. Di rappresentare talvolta un obiettivo cruciale, quando il movimento anarchico rappresentava la parte più esposta di un movimento in grado di mettere realmente in crisi le istituzioni. Di rappresentare talvolta un obiettivo “solo” strumentale: come sembra accadere ancora oggi.
Sacco e Vanzetti
Il movimento anarchico dei tempi di Valpreda o Pinelli era una cosa molto diversa dal movimento che oggi sostiene Cospito nella sua battaglia contro il 41 bis. Parlare oggi di attacco anarchico alle istituzioni è semplicemente impreciso; nella peggiore delle ipotesi serve invece a ricompattare qualcuno che ne ha un disperato bisogno. Sono movimenti diversi per composizione numerica, per composizione di classe, per obiettivi e finalità politiche, per prassi di militanza. Ed è molto cambiata, del resto, anche la sostanza delle istituzioni italiane, dai tempi di Piazza Fontana ad oggi.
Caso Cospito – Proteste a Milano contro il 41 bis
Mentre il potere è impegnato a compattarsi per la conservazione del 41 bis in Italia, un grosso quotidiano italiano ripesca – chissà da dove – la figura di un presunto anarchico divenuto amico di Matteo Messina Denaro dopo un genuino confronto fra “uomini veri”, in uno stabilimento balneare lungo le coste del mar di Sicilia, come se fosse un romanzo di Izzo, come se la Sicilia fosse un poco Marsiglia.
Un anarchico a sua volta finito in galera per moltissimi anni, forse perché – anche lui – strutturalmente votato a delinquere, da buon anarchico appunto. È curiosa, ma non nuova – e anzi rappresenta quasi un genere letterario ben radicato – questa eterna indecisione fra volontà di insinuare, imputare, additare e, viceversa, il mancato controllo di una fascinazione che finisce sempre con l’aggiungere alle ricostruzioni giornalistiche improbabili aneddoti che raccontano, appunto, la storia per come si vorrebbe che fosse. Eroi e antieroi, buoni e cattivi, cattivi che si riconoscono fra loro, come anarchici e mafiosi – appunto – nell’opposizione al carcere duro.
Possibile che le istituzioni italiane, il giornalismo, l’opinione pubblica non abbiano la maturità per stare sul punto? Come e perché lo Stato italiano, mentre l’Europa ha già mosso i noti rilievi a questo istituto carcerario, ritiene di continuarne l’applicazione del 41 bis? Come e perché, la democrazia italiana, è ancora incapace di promuovere una discussione profonda su un tema così delicato come il carcere, la gestione del conflitto, la vita delle persone? Come e soprattutto perché la democrazia italiana non ha la forza di interrogarsi sul suo grado di maturità e su tematiche non solo cogenti ma strutturali del nostro essere una democrazia attenta ai diritti e adatta ai tempi?
Su questo, ci piacerebbe ricevere interventi da parte di intellettuali, ricercatori, militanti che guardano alla Fondazione Feltrinelli come a un luogo di confronto non superficiale, non ideologico, non rituale.
Quattro riflessioni