Università degli Studi di Torino

Le politiche memoriali in Europa sono sempre più oggetto di attenzione anche in relazione ai processi di integrazione e ai percorsi costituenti. Anche il giurista, dunque, è chiamato a entrare a far parte del novero di coloro che sono legittimati a occuparsi di memoria

 

Di fronte agli impedimenti che il processo di integrazione europea incontra, soprattutto per quel che concerne la definizione di un progetto politico comune a tutti gli Stati membri, si è soliti reagire imputando le difficoltà all’assenza di un demos, ossia di un corpo sociale capace di riconoscersi, al di là delle differenze e degli accadimenti, come parte di una entità coesa attorno alla medesima volontà e ai medesimi valori. Si dimentica così, più o meno consapevolmente, che quello di popolo è un concetto tutt’altro che naturale, che presuppone la definizione di una identità tutt’altro che istintiva, in quanto frutto di un’intensa attività politica di composizione delle diversità e gestione del conflitto.

La costruzione dell’identità, infatti, a queste condizioni cessa di essere un processo fondato sull’emersione spontanea di un modello di vita, credenze e valori dominanti, per trasformarsi in una intensa attività performante.

Anche per questo negli ultimi anni in Europa ci si è interrogati spesso su quelli che possono essere gli strumenti più adatti a favorire questo processo identitario, a prescindere dalle correnti avverse; inevitabilmente ci si è ritrovati a ragionare di memoria, di politiche memoriali, di memorie collettive e istituzionali.

In effetti, in questa prospettiva, la memoria finisce con il giocare un ruolo rilevante, dal momento che è anche a partire da eventi di un passato più o meno prossimo che le comunità fondano la loro unità e la coscienza delle loro peculiarità.

È evidente che in assenza di veicoli memoriali comuni, di oggetti esemplari cui riferirsi collettivamente e di strumenti semantici condivisi, le storie e le memorie nazionali la fanno da padrone emergendo prepotentemente, rubando la scena a ogni altra possibile narrazione, negando l’idea stessa di una possibile memoria europea capace di accogliere, se non comporre, le tante memorie divise che si intrecciano a livello locale e in ambito comunitario.

Ne consegue che, mentre appare sempre più chiaro che la predisposizione di politiche memoriali costituisce una strada da percorrere necessariamente insieme per raggiungere il traguardo ambizioso dell’unità politica, si fa evidente il paradosso in cui ci troviamo immersi: se non impossibile, è quantomeno difficile costruire percorsi memoriali condivisi in assenza di coordinate comuni; allo stesso tempo, senza gettare le basi per tracciare un perimetro memoriale, forgiare il tante volte evocato demos europeo diventa arduo.

In questo senso, la scelta degli oggetti-veicoli di memoria diventa importante, ma anche la selezione dei valori da celebrare. La costruzione di una memoria collettiva in funzione identitaria, infatti, è in continua ricerca di intersezioni, attraverso le quali il passato e il presente si intrecciano con lo sguardo rivolto al futuro, attraverso la selezione di valori che si reificano in eventi o personaggi del passato che per questo si fanno esemplari e diventano memorabili favorendo la formazione di un consenso.

Ne consegue che non bisogna sottovalutare il fatto che una stessa singolarità memoriale potrebbe essere vissuta in termini assai diversi da due comunità. Esse infatti, pur condividendo l’oggetto, potrebbero non connetterlo al medesimo nexus, ossia al medesimo supporto emozionale e ideale, rifacendosi, per esempio, l’una all’idea di “libertà”, l’altra a quella di “patria”, pur richiamandosi al medesimo evento o personaggio storico. Ne consegue che i valori attivati dallo stesso oggetto esemplare risulteranno diversi perché diverso è il nexus su cui si fondano: pur basandosi su un oggetto comune, le memorie delle due comunità non potrebbero essere ricondotte a una medesima memoria collettiva, anche se condividono il medesimo spazio memoriale, dal momento che non vi è lo stesso valore a connetterle.

Ecco perché, costruire una memoria collettiva presuppone, prima di tutto, tracciare relazioni di coerenza tra nexus, valori e oggetti esemplari di memoria. Ciò al fine di assicurare se non il raggiungimento (utopico, nelle nostre società complesse) di un orizzonte memoriale condiviso, quantomeno la definizione di una arena in cui le memorie divise possono convivere.

In questo senso è necessario che il processo memoriale, forza propulsiva dell’impianto identitario, sia sviluppato in ottica dialogica, ossia prediligendo il confronto. In assenza di una piattaforma comune, infatti, la prospettiva per la sua edificazione non può che essere quella comunicativa: la memoria deve essere resa discorsiva e come tale legata al linguaggio, ossia alla struttura della comunicazione e non solo all’atto/oggetto memoriale in sé.

È così che anche quando istituzionalizzata – e dunque stabilizzata dai pubblici poteri – la memoria non è mai data una volta per tutte. Si presenta, pertanto, come strumento di conservazione e, al medesimo tempo, di attivazione, anche di conflitti sociali.

Né poteva essere diversamente nel contesto del costituzionalismo democratico compatibile solo con un’idea plurale di memoria, per questo al tempo stesso necessariamente conflittiva e inclusiva, in cui i pubblici poteri sono chiamati non a definire memorie stabilizzate, bensì a inaugurare arene dove trovano spazio le diverse memorie divise del corpo sociale, quelle contrastanti, ma anche quelle represse, mai esplicitate. La memoria pubblica diviene luogo della presenza, ma anche dell’assenza, facendosi occasione di manifestazione per tutti quei soggetti che sono parte della storia, pur non avendo mai contribuito alla sua scrittura. In quelle arene memoriali, anche attraverso il rifiuto della “versione” istituzionale della storia, coloro che in passato sono stati esclusi oggi possono divenire voce narrante e contribuire a costruire nuove memorie.

Questo modo di intendere i processi memoriali mi pare sia l’unico strategico per affrontare le sfide che la costruzione di una piattaforma memoriale comune europea lancia: esso, infatti, accetta l’esistenza del pluralismo memoriale, accantonando una volta per tutte la prospettiva di una memoria a tutti i costi condivisa e puntando, semmai, su una memoria polifonica, che si fonda su dinamiche dialogiche, in cui è possibile distinguere le voci, che sono diverse, ma armoniche fra loro. A consentire questa armonia non è uno sguardo comune sul passato, bensì una convergenza sul futuro che deve essere costruito a partire da una piattaforma valoriale condivisa nel presente, che si fa identità costituzionale.

Resto convinta che questo modo di guardare alla memoria nel processo di integrazione europea possa portare dei frutti, ma presuppone un patto di collaborazione funzionale tra diverse discipline. Tra storici e giuristi senza dubbio, per non correre il rischio di ripetere gli errori già commessi quando si è provato ad avviare una stagione costituente di fatto senza costituzione perché si è preteso di farlo senza i cittadini, senza la storia, senza i valori, quasi dimenticando che oggi le Carte sono prima di tutto pacta societatis e solo in seconda battuta pacta subiectionis.

Fotografia: Christian Lue
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