Università degli Studi di Pavia

Il legame tra diritto ed economia è oggi particolarmente rilevante e deriva da una serie di mutamenti di carattere sociale, economico e giuridico tra loro dipendenti. Da questa dipendenza derivano le scelte dell’Unione Europea che hanno portato ad una caratterizzazione sempre più tecnica del diritto in corrispondenza dell’evoluzione del concetto di bilanciamento operato dalla giustizia costituzionale e alla ricerca dell’efficienza economica tramite la norma. Lo studio degli strumenti propri del diritto finalizzati a raggiungere l’efficienza economica porta il giurista a considerare una serie di problematiche generali ancor prima di analizzare e ipotizzare uno strumento legislativo.

In questi mesi interessati da una crisi sanitaria globale il dibattito in tema di regolamentazione ed efficienza economica si fa sempre più incalzante e l’assetto disegnato con l’applicazione del TSCG (Treaty on Stability, Coordination and Governance in the Economic and Monetary Union) pare crollare con la stessa rapidità di un castello di carte.

Un primo aspetto critico si può individuare nella relazione che porta a trasformare in norma giuridica il concetto di efficienza economica. L’analisi economica fornisce sofisticati strumenti che possono consentire di prevedere gli effetti di una determinata norma in termini quantitativi; questo aspetto, senza dubbio, è uno dei fattori che porta a ricercare l’efficienza e ad istituzionalizzarla.

Il legislatore, potendo descrivere le differenti conseguenze di una scelta normativa, si trova nella condizione di considerare diversi scenari che risultano essere più o meno desiderabili in relazione a una serie di fattori contingenti che esulano dalle considerazioni tecniche del giurista. Una norma è, per definizione, prescrittiva, per cui, a differenza del modello economico che influenza il legislatore, non si limita a dire “come potrebbe essere” ma decide cosa “dovrà essere”. La problematica teorica che sorge è, quindi, riferibile all’utilizzo del parametro dell’efficienza economica, che deve essere utilizzata come formante normativo per distinguere tra le conseguenze desiderabili o meno di una decisione di carattere legislativo. L’efficienza economica come “caratteristica generale” di una norma è il principale aspetto dibattuto in sede di approvazione e il principale strumento di persuasione nei confronti del decision maker: Dimostrata l’efficienza della norma, a meno di chiari profili di incostituzionalità, si procederà all’approvazione di quella “più efficiente”. Questa caratteristica riduce, in maniera drastica, la discrezionalità dell’organo legislativo dello Stato. L’uso dell’analisi economica in concerto con il metodo giuridico per la produzione di norme, anche diverse da quelle finalizzate all’efficienza, se non assolutizzato, può certamente concorrere ad eliminare molti aspetti di incertezza.

I due strumenti principali legati al controllo delle finanze pubbliche da un punto di vista formale, sono, senza dubbio, da un lato i limiti costituzionali all’indebitamento e, dall’altro, il mercato stesso, che per sua stessa natura è sottratto ad un puntuale e costante controllo politico.

Il disegno di legge costituzionale approvato dal Governo italiano nel settembre 2011 ha segnato l’inizio del procedimento di revisione costituzionale finalizzato ad inserire nella nostra Carta fondamentale il c.d. vincolo di bilancio. Le due principali disposizioni – vale a dire l’equilibrio del bilancio previsto al primo comma e il divieto di ricorso all’indebitamento inserito nel secondo comma del novellato art. 81 Cost. – hanno infatti una intrinseca natura di principio: l’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio sembrerebbe infatti una regola precisa, ma diventa una formula generale nel momento in cui lo Stato, nel perseguimento dell’equilibrio, è autorizzato a tener conto delle fasi avverse e di quelle favorevoli del ciclo economico.

Data questa premessa appare chiaro il ruolo dell’Unione Europea durante la crisi sanitaria ed economica causata dal virus SARS-CoV-2. La risposta dell’UE alla pandemia, incoraggiante per molti aspetti, ci ha senza dubbio ricordato e mostrato i limiti di un sistema sovranazionale sprovvisto di capacità fiscale autonoma. Considerato quanto espresso sopra in riferimento al TSCG, occorre valutare le risorse messe in campo con cautela. Il c.d. “recovery fund” generato da indebitamento a scapito del budget dell’UE (e distribuito in parte tramite prestiti) è garantito dalla capacità contributiva degli Stati Membri e non dalla stessa Unione. Un assetto fiscale autonomo è, tuttavia, la prerogativa principale di un governo costituzionale e, soprattutto, di un ordinamento giuridico di tipo costituzionale. Pertanto, quanto svelato brutalmente dalla pandemia del 2020 ci porta ad interrogarci sulla natura stessa dell’Unione Europea: è giusto parlare di poteri legislativi dell’Unione? Oppure, considerata la sudditanza economica che ha nei confronti dei singoli Stati Membri che permane a causa della mancanza dell’autonomia finanziaria, la potestà legislativa stessa dell’Unione può essere messa in discussione? 

La domanda, sicuramente provocatoria, ci permette di interrogarci sul funzionamento intrinseco dell’UE e sul suo assetto istituzionale: esiste un’assemblea eletta in via democratica, il Parlamento Europeo che partecipa al processo legislativo ordinario dell’Unione. Le regole normative scaturite da questa Assemblea permettono di perseguire e rendere effettivo il processo di integrazione europea. Se accogliamo la natura “quasi” costituzionale che si conferisce all’UE, possiamo affermare che il punto nevralgico del procedimento legislativo europeo risiede nel Parlamento Europeo. Tuttavia, è lecito chiedersi (specialmente in questo momento di crisi) se non ci troviamo di fronte ad un errore di categorizzazione: in questi giorni il Parlamento Europeo è parso più vicino ad un organo di tipo esecutivo-tecnocratico che ad un’assemblea rappresentativa. Gli interrogativi sul futuro dell’Unione sono molteplici e, sicuramente, a parere di chi scrive è necessario quel “salto istituzionale” che fino ad oggi è mancato per costruire un’Unione Europea con più poteri e, necessariamente, con un sistema fiscale proprio. I temi da trattare e approfondire sono molteplici: applicando il noto “political trilemma of the world economy” di Rodrik nel contesto europeo possiamo dire che, rebus sic stantibus, il ruolo del Parlamento Europeo bilancia i poteri della Commissione europea del Consiglio dell’Unione europea e del Consiglio europeo; il crescente potere degli esecutivi nazionali è una conseguenza del c.d. “fenomeno di deparlamentarizzazione” che opera a detrimento delle assemblee nazionali conferendo sempre più potere agli Esecutivi e, infine, i rispettivi poteri delle Assemblee Nazionali e del Parlamento Europeo andrebbero impiegati in maniera sinergica al fine di ottimizzare i procedimenti decisionali, specialmente in settori critici quali, appunto, il budget interno, sicurezza, difesa, giustizia etc…

In estrema sintesi, quindi, il passaggio ad un budget europeo, alla luce della crisi (finanziaria e istituzionale che si protrae da circa dieci anni) consentirebbe all’UE di passare da un sistema “come se fosse costituzionale” ad un vero sistema costituzionale.

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