La crisi economica del primo decennio del secolo ha avuto come conseguenze due movimenti che hanno caratterizzato la politica del paese iberico con differente intensità fino ai giorni nostri: il movimento degli “indignati” (“indignados”), una parte del quale confluiva in Podemos (2014) e quello indipendentista catalano (2012).
Gli “indignati” iniziarono le proteste in piazza del Sol a Madrid, nel maggio del 2011, e rivendicando la rifondazione della politica dando spazio alla democrazia diretta s’estendevano alle piazze delle principali città della Spagna. L’eredità di quel movimento fu alla base di Podemos, il cui DNA originale era appunto la critica e la volontà di superare il bipartitismo del PSOE e del PP, considerati partiti corrotti e asserviti alle grandi imprese multinazionali spagnole. I risultati elettorali di Podemos, con gli alleati catalani, valenziani e galiziani, hanno visto la coalizione oscillare da un massimo di 71 deputati (2016) agli attuali 36 (2019).
Dal canto loro, gli indipendentisti hanno guidato la politica catalana dal 2012, raccogliendo alle elezioni del 2015 quasi il 48% dei voti. Il referendum di autodeterminazione, celebrato il 1 ottobre 2017, ma dichiarato illegale dal governo di Madrid e represso dalla polizia, ha prodotto un passo “sui generis” di indipendenza (27 ottobre), e conseguentemente il commissariamento della regione catalana, l’incarcerazione di vari deputati catalani e l’esilio del presidente Carles Pugidemont. Nel dicembre dello stesso 2017, le elezioni hanno visto i partiti catalani ottenere una maggioranza di seggi che ridava validità al loro potere, grazie alla legge elettorale spagnola vigente che offre una maggiore rappresentazione alle provincie meno densamente abitate che coincidono, nel caso catalano, con la maggior densità del voto indipendentista.
Il processo ai leader catalani imprigionati e soprattutto la dura sentenza a cui sono stati condannati nell’ottobre del 2019 hanno infuocato le strade barcellonesi conquistando le prime pagine di tutti i giornali spagnoli e internazionali.
Ciò nonostante e benché la questione catalana occupasse il centro del dibattito politico degli ultimi anni, non possiamo ignorare che l’irruzione degli indignati prima, e di Podemos dopo, assieme alla crisi del bipartitismo di popolari e socialisti, spingeva le élite economiche spagnole a cercare un’alternativa politica.
Josep Oliu, presidente del Banco de Sabadell, dichiarava che si doveva creare un “Podemos di destra”, davanti a un gruppo di industriali e di uomini d’affari nel giugno del 2014. Ragionava che non essendo i partiti tradizionali (PP e PSOE) più in grado di appoggiare l’iniziativa privata, si doveva bloccare Podemos considerato contrario agli interessi del capitalismo spagnolo.
In questo quadro emergeva il partito di Ciudadanos che, da organizzazione nata in Catalogna per opporsi al nazionalismo catalano nel 2006, s’era trasformato in un partito su scala nazionale nel 2008. Pur non raccogliendo risultati apprezzabili nel 2008, era lo stesso rilevante in virtù della citata crisi di PSOE e PP, del suo ultraliberalismo in economia, del suo antinazionalismo catalano. Nella congiuntura 2014-2015, le interviste ad Albert Rivera, leader di Ciudadanos, si moltiplicavano sulla stampa e alla televisione spagnola, tanto da ottenere un certo risultato alle elezioni del 2015, quantificabile in 40 deputati, anche se insufficienti per incidere politicamente.
Da notare che, paradossalmente, Ciudadanos si presentava come partito di centro-sinistra, difensore dell’unità nazionale spagnola e prammatico difensore dell’iniziativa economica. Proprio la crisi catalana del 2017, proiettava il Partito di Ciudadanos come il primo difensore della unità, propugnata da Madrid, ricevendo l’appoggio dei mass media spagnoli. La candidata di tale formazione, Inés Arrimadas, otteneva alle elezioni di dicembre il 25% dei voti, mentre i partiti indipendentisti ottenevano complessivamente più del 47 % dei voti e la maggioranza assoluta del Parlamento catalano.
Sulla scia del buon esito ottenuto in Catalogna, le elezioni andaluse del dicembre 2018 e le spagnole dell’aprile del 2019, segnalavano una grande crescita di Ciudadanos che poteva contare su 57 deputati al Parlamento di Madrid. Il risultato era interpretato dai leader del partito come la richiesta della società spagnola di rifondare il centrodestra e di sostituire il Partito popolare. Le speranze di Ciudadanos venivano vanificate dal vento che anche in Spagna comincia a soffiare verso un nazionalismo spagnolo sempre più vicino all’estrema destra. Invece della sognata vittoria la ripetizione elettorale del 10 novembre 2019 li ha ignorati riducendo la loro rappresentanza a soli 10 deputati.
Il partito polare si riprende il ruolo di partito centrale della destra, però ora deve fare i conti con la presenza di Vox, partito nato nel 2014 per volontà di ex membri del PP. Oltre a una difesa ad oltranza dell’unità nazionale, ha tra i suoi programmi la lotta contro l’immigrazione, il femminismo e l’indipendentismo catalano. E ancora, la richiesta della liberalizzazione del porto d’armi, l’abolizione della legge per la memoria storica e la “riconquista” di Gibilterra. Il partito di Vox non inneggia alla dittatura franchista ma ha delle connivenze inquietanti con il periodo, come lo testimonia il fatto che abbia tra i suoi membri persone legate alla Fundación Francisco Franco, abbia criticato l’esumazione del dittatore dal Valle de los caídos per applicazione della Legge della memoria storica, e vi siano membri del partito con passato nell’estrema destra. Il suo leader, Santiago Abascal è nipote di un sindaco franchista e figlio di un dirigente di Alianza Popular, il partito erede del franchismo nella transizione alla democrazia. Riprendendo lo slogan di Donald Trump, Vox difende l’idea di “rendere di nuovo grande la Spagna” arrivando a sedurre migliaia di cittadini spagnoli e pure dei mass media che hanno visto nello spettro della Catalogna il pericolo di avere una “seconda Cuba”. Proprio giornali e televisioni spagnole hanno normalizzato il discorso di Vox, il cui appello alla mano dura contro la Catalogna gli è valso 52 deputati alle elezioni del 10 novembre del 2019. L’estrema destra risorge in Spagna e viene normalizzata in maniera inquietante dalla stampa internazionale quando permette che scrittori come Fernando Savater o Javier Cercas presentino Vox come un partito populista rinunciando alla loro funzione di intellettuali in nome della difesa ad oltranza dell’unità nazionale spagnola.
Bibliografia
Jorge Cagiao, Gennaro Ferraiuolo, Patrizio Rigobon (a cura di), La nazione catalana. Storia, lingua, politica, costituzione nella prospettiva plurinazionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018.
Jorge Cagiao, Isabelle Touton (eds), España después el 15 M, Madrid, Catarata, 2019.
Xavier Casals, Cataluña y la España viva de Vox. Elretorno del nacionalismo español integristaa: https://xaviercasals.wordpress.com/2019/04/26/cataluna-y-la-espana-viva-de-vox-el-retorno-del-nacionalismo-espanol-integrista/
Tom Harrington, A Citizen’s Democracy in Authoritarian Times. An American View on
the Catalan Drive for Independence, València, PUV 2018.
Vicenç Navarro, Las mentiras y falsedades de Albert Rivera, presidente de Ciudadanos, en ‘La Sexta Columna’, a Público, aprile 2015, https://blogs.publico.es/vicenc-navarro/2015/04/14/las-mentiras-y-falsedades-de-albert-rivera-presidente-de-ciudadanos-en-la-sexta-columna/
Ignacio Sánchez Cuenca, La desfachatez intelectual. Escritores e intelectuales ante la política, Madrid, Catarata, 2016.
Ignacio Sánchez Cuenca, La confusión nacional, Madrid, Catarata, 2018.