Università di Lisbona

Negli ultimi giorni, persino la stampa italiana ha cominciato ad interessarsi al “Boogaloo Movement”. Chi bazzica un poco l’estrema destra conosce vagamente il termine che allude a una delle molte correnti del neonazismo, anche se rinchiudere questo strano movimento dentro gli steccati rigidi del neofascismo è, certamente, non facile. Chi sono i Boogaloo Boys? Chi sono questi strani figuri con camicie hawaiane e teste rasate che professano, anzi agognano, la seconda guerra civile americana, come il solo orizzonte possibile? La crisi finale, la guerra tra le razze e la fine della democrazia sono i capisaldi di un movimento magmatico che nasce e cresce in rete ed è capace di portare i suoi aderenti a partecipare – sia negli Stati Uniti sia in UKalle rivolte del movimento Black Lives Matters, in contrapposizione tanto con quel movimento quanto con la polizia.

Mossi dall’intenzione di accelerare la crisi e farla precipitare, questi gruppi, che inneggiano al nazismo, alle tesi anarchiche di Pëtr Kropotkin, alla superiorità della razza bianca ballando musiche caraibiche, sono un pezzo minoritario del panorama della nuova destra contemporanea. Non siamo di fronte a nulla di nuovo, sia chiaro: nel sincretismo culturale creato dalla globalizzazione, se i turbo fascisti del terzo millennio esaltano qui da noi Che Guevara, i loro camerati nord americani si appropriano di una serie di sotto culture urbane, creole e sostanzialmente sotto proletarie e ne fanno strumento propagandistico. Chi studia la destra, in fondo, sa che questo tipo di fascinazioni sono sempre esistite: i nazimaoisti non sono personaggi mitologici, sono esistiti e seppur in numeri assolutamente esigui la loro idea non era poi così distante. Sarebbe sufficiente rileggersi La disintegrazione del sistema di Franco Freda o Cavalcare la tigre di Julius Evola per comprendere come tra misticismo, millenarismo, attese induiste e purezza della razza, il neofascismo si sia sempre mosso. La ricerca di un’accelerazione della crisi, poi, è nuovamente alla base di questi due testi sacri: l’idea che il vero nemico sia la Rivoluzione francese, con la sua idea tutta borghese dell’eguaglianza tra gli uomini, è stata cavalcata dai neonazisti, di allora e di oggi, convinti che l’importante fosse scatenare il caos da cui, successivamente, sarebbero emersi equilibri nuovi.

Questi movimenti sono apparsi, in forma organizzata, soprattutto negli USA dove si sono messi in mostra durante le manifestazioni antilockdown e ora in quelle scaturite dall’uccisione di George Floyd.

 

In Gran Bretagna vi sono stati violenti scontri con la polizia mentre ufficialmente i ragazzi del boogaloo volevano preservare la statua di Churchill dall’abbattimento.

Questi gruppi cavalcano il malcontento, qualunque esso sia. Scavano tra teorie del complotto e iconografie da ultimi giorni dell’impero, secondo una strategia semplice: scatenare scontri con la polizia o con altri gruppi per poi sostenere che le istituzioni democratiche non sono all’altezza della situazione. Ora, nessuno crede che questi giovani neonazisti siano realmente pericolosi: per intenderci, una normale operazione di polizia potrebbe sgominarli in qualche ora; lo stesso tempo che servirebbe a sgomberare un palazzo occupato da fascisti nel pieno centro di Roma. Il vero problema è che il punto che sollevano non deve lasciare indifferenti: le istituzioni sono all’altezza della sfida epocale che hanno davanti?

Facciamo un passo indietro. Come dicevo, il fenomeno del neofascismo nazional-rivoluzionario non è nuovo; è almeno dalla prima metà degli anni ’60 che a destra si cerca di entrare in “concorrenza” con l’idea di Rivoluzione che tanto andava per la maggiore in quegli anni. Non si deve pensare al neofascismo come un fenomeno statico e immutabile di ripetizione di slogan a pappagallo. Nel campo della destra neofascista l’attenzione verso i cambiamenti sociali e politici è sempre stata intensa. Questo dibattito ha portato a spaccature storiche, politiche e strategiche importanti. I popoli di mezzo mondo si ribellavano al colonialismo e il campo del neofascismo si divideva tra chi rivendicava la missione civilizzatrice dell’uomo bianco e chi, in nome di una fratellanza nazionalista, appoggiava le guerre di indipedenza contro gli avanzi di colonialismo sopravvissuti a due guerre mondiali. Il razzismo – o come cominciarono a chiamarlo tra la fine del decennio ’60 e gli inizi degli anni ’70 grazie alla Nuova Destra francese, la “questione delle culture e delle comunità” – restava intatto ma il neofascismo ragionava in termini geopolitici e l’URSS non era il solo nemico. L’antiamericanismo neofascista non è nuovo, anzi è stato ampiamente studiato ma, forse, è il caso di ribadire un paio di concetti: in primo luogo bisogna ricordare come gli aspetti culturali e politici della fine della Seconda Guerra Mondiale non abbiano avuto effetti durevoli solo a sinistra. Se da un lato si parlava di Resistenza tradita per indicare la mancata rivoluzione socialista che, sempre secondo alcuni, avrebbe dovuto seguire la Liberazione, a destra la narrazione post-bellica, di segno opposto, occupa uno spazio enorme. Forse, in proporzione, la destra neofascista è, su questo punto, molto più coesa della sinistra. Gli americani (e gli alleati in genere) sono il nemico. Senza il loro intervento, le forze dell’Asse avrebbero trionfato e sconfitto non solo il bolscevismo – ed è questo il punto nodale del dibattito –  ma anche le perfide democrazie plutocratiche guidate dalle élite cosmopolite giudaiche, massoniche che volevano controllare il mondo con la finanza a danno dei poveri lavoratori e delle classi medie. Vi ricorda qualcosa? Bravi. Il vero nemico dei fascismi è sempre stato la democrazia. Leggendo i teorici della destra radicale e neofascista, Da De Maistre fino a Evola, la critica è sempre la stessa: la democrazia si basa, almeno da Kant in poi, sull’uguaglianza tra gli uomini ma questo principio contraddice, secondo loro, la legge di Natura che vede il più forte che prevale. Ribaltando questa legge, ci si sarebbe condannati alla decadenza politica, culturale e morale. Se partiamo da questo assunto, che è uno dei pilastri immutati nel dibattito neofascista dagli anni ’20 ad oggi, ci si rende conto che una serie di comportamenti e di posizioni anche bizzarre che contraddistinguono quelle formazioni assumono, di colpo, un’altra valenza. Se il gioco è quello di sfasciare il sistema per costruirne uno nuovo fondato sulla legge “naturale” della diseguaglianza, vale tutto. Ogni singola contraddizione delle società va messa in luce e “sfruttata” per dimostrare quanto sarebbe meglio per tutti se, al posto di un farraginoso sistema democratico, avessimo al potere una cerchia ristretta di “anime d’oro” che ci guidano, come un gregge, verso le sorti di un destino segnato, immutabile e fuori dalla storia.

Possono farci sorridere questi ragazzotti ingenui che credono ancora in paradigmi di questo tipo, possiamo sentirli distanti da noi, possiamo persino pensarli come alienati e un poco disconnessi dalla realtà. L’alienazione, però, è un processo materiale e storico che se non è contestualizzato e spiegato, oltre che dominato e superato, può portare molti a costruirsi una narrazione simbolica dentro la quale un virus è un’opportunità e un rosario diviene un’arma da brandire. In questo contesto, cercare di ritardare misure di protezione sociale aiuta un progetto di più ampio respiro che mira a ridurre, fino ad annullare, gli spazi di democrazia.

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