Nella foto, Hangzhou, la città verde della cina
In questi giorni è in corso la Settimana Verde dell’Unione Europea, dedicata, quest’anno, a come rendere più ecologiche le nostre città. Un tema quanto mai attuale, questo, che ricorre con sempre maggiore enfasi in dichiarazioni e manifestazioni di portata internazionale, oltre che in iniziative di carattere locale. Ne è evidenza anche la declinazione data quest’anno alla Giornata Internazionale delle Foreste indetta dalle Nazioni Unite il 21 marzo allo scopo di far crescere la consapevolezza dell’importanza dei polmoni verdi del nostro Pianeta. Il tema portante di quest’anno è stato, appunto, il verde urbano e i benefici che parchi e foreste portano ai centri abitati in termini di regolazione del clima locale, mitigazione e adattamento ai cambiamenti di quello globale, mantenimento della qualità dell’aria e delle risorse idriche di cui usufruiscono gli abitanti, senza dimenticare che le aree verdi costituiscono anche spazi di aggregazione e di riconnessione con un paesaggio – quello naturale – che diventa teatro di socializzazione e cura di alcuni aspetti che definiscono la qualità della vita.
A questo proposito la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite ha recentemente pubblicato un interessante rapporto che raccoglie le storie di 15 città che hanno messo il verde al centro dei loro piani di sviluppo. Tra gli esempi riportati, alcuni – anche inaspettati – recano elementi di grande interesse. Bangkok appare spiccare in questo senso perché dal 2014 a oggi vi sono stati creati 10 nuovi parchi cittadini con vegetazione autoctona che hanno portato a 5312 ettari il verde pubblico a disposizione degli 8 milioni di cittadini con l’obiettivo di restituire alla capitale della Thailandia, un tempo ricca di canali, risaie, mangrovie e frutteti, parte della natura perduta. Sempre in oriente, Pechino, con i suoi 22 milioni di abitanti, è una delle città più popolose del mondo e si estende su una superficie di 1,64 milioni di ettari. Nel 2012 ha avviato il più grande programma di rimboschimento nella sua storia: oltre 54 milioni di alberi sono stati piantati in quattro anni su una superficie di 70 mila ettari pari a 23 aree boschive urbane dando vita a un ecosistema forestale urbano, con ampie aree di verde e corridoi ecologici. Venendo all’Europa, a Lubiana, capitale della Slovenia e città più green del vecchio continente nel 2016, il 46% del territorio è coperto da una foresta naturale che per il 92% è di proprietà privata. Nel Nuovo Continente, Lima è la seconda città nel deserto più popolosa del mondo dopo Il Cairo, con ampie zone periferiche ad alto rischio terremoto e calamità naturali. Qui è partito il rimboschimento con programmi mirati a ridurre il rischio di disastri cui è chiamata a partecipare la popolazione residente.
Questi dati, decisamente molto incoraggianti e a cui fanno eco storie di metamorfosi meno eclatanti ma altrettanto degne di nota, descrivono un quadro in movimento che apre a interrogativi ampiamente approfonditi nel dibattito contemporaneo nel quale però le domande generano altre domande piuttosto che trovare una risposta univoca: quando una città si definisce verde? Che cosa la rende tale? I parchi e gli spazi verdi, l’aria pulita, i mezzi pubblici funzionanti, le piste ciclabili, un sistema di raccolta dei rifiuti efficiente, la partecipazione dei cittadini, oppure la combinazione di tutti questi elementi? Probabilmente l’unica risposta incontestabile in questo senso è che creare città verdi, abbracciando in questa dicitura la moltitudine di accezioni che comporta, richiede tempo, visione e investimenti, con questi ultimi che devono essere attuati da una varietà di soggetti in collaborazione gli uni con gli altri: i politici, i cittadini e le imprese che, insieme, condividono e popolano lo spazio urbano. Le città che hanno sviluppato strategie per migliorare il coinvolgimento, la collaborazione e la comunicazione con i portatori d’interesse locali sono città che riescono a trasformare in realtà la loro visione sostenibile attraverso la sinergia di questi attori che si mobilitano, creano e fanno rete, anche sperimentando interessanti processi di creazione collettiva, capaci di generare nuovi beni comuni o rigenerare circuiti di produzione e distribuzione di valore che si collocano al di fuori delle regole di mercato.
In questo quadro, vivace e foriero di innovazione – tecnologica, sociale, infrastrutturale, culturale e relazionale – che ridisegna città, paesaggi umani, contesti antropizzati, ma anche ruoli e contributi di chi è artefice del cambiamento, si innesta la riflessione promossa da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli trasversalmente alla sue aree di ricerca che trovano evidenza pubblica proprio in questi giorni: in About a city, l’iniziativa dedicata alla riflessione sull’evoluzione dello spazio urbano quale coacervo di luoghi, idee e diritti per i cittadini del futuro, e nel lancio, in collaborazione con Ferrarelle SpA, della Call for Pratice – Buone Pratiche per la gestione sostenibile di acqua e altre risorse comunitarie. Questo bando, in particolare, si prefigge di mappare esperienze/iniziative/progetti che abbiano applicato i principi dello sviluppo sostenibile a partire dalle risorse idriche in virtù delle molteplici connessioni che queste hanno con i sistemi agroalimentari, le risorse energetiche, l’innovazione tecnologica, la salute umana ma, anche, l’architettura del paesaggio, la sua fruizione, la sua dimensione quale ‘teatro della democrazia’, dove si esercita e si possono leggere i segni dell’azione collettiva.