L’incontro con la riflessione di Axel Honneth vuole contribuire a costruire un panorama delle posizioni intellettuali che nel campo intellettuale e culturale europeo vengono date alle domande più impellenti della società: diritti, cittadinanza e diversità.

In un continente sempre più attraversato da tensioni e divisioni, la ricerca di una programmaticità con cui disegnare l’Europa del futuro può ripartire dall’analisi puntuale di riflessioni filosofiche e analisi politiche che riportino al centro la “cittadinanza”, intesa come il “diritto ad avere diritti”.

La riflessione di Honneth sul “riconoscimento”, sull’accettazione dell’altro da sé, dell’individuazione delle irriducibili differenze ma insieme della pari dignità: queste le premesse per abitare i conflitti politici, sociali e culturali che interessano lo spazio europeo e per rifondare un nuovo lessico dei diritti capace di ripensare le soglie di inclusione ed esclusione tra cittadini e non cittadini.

Cartina storica dell’Europa

Si potrebbe affermare, non senza una certa dose di semplificazione, che il percorso di Axel Honneth nasca dall’incontro e dallo scontro tra i pensieri di Hegel, di Marx e di Jürgen Habermas. Dei primi due è stato un assiduo lettore e profondo conoscitore. Dell’altro è stato allievo e assistente. Oggi, professore alla Columbia University e all’Università di Francoforte, direttore del prestigioso Istituto per la Ricerca Sociale fondato da Max Horkheimer e Theodor Adorno, Honneth è uno dei nomi di punta della filosofia-politica internazionale e il più noto rappresentante della terza generazione della Scuola francofortese.

Partiamo dunque dall’inizio. Nel 1981 Habermas dà alle stampe il suo Teoria dell’agire comunicativo (Il Mulino 1986) in cui l’azione sociale è interpretata attraverso il modello della comunicazione e dell’opinione pubblica. Lo studio rappresenta un allontanamento dal marxismo francofortese e risponde ad un punto su cui convergono molte critiche dell’epoca alle pagine marxiane: la riduzione della prassi sociale alla produzione materiale. Insomma, l’idea attribuita a Marx per cui l’intera società possa essere ridotta alla sua struttura economica sembrava ai più una posizione problematica e insufficiente. Honneth formula la sua posizione all’intersezione di queste posizioni: accetta la critica al pensiero marxiano ma contesta allo stesso tempo l’astrattezza e il formalismo della riflessione habermasiana. Ciò è esplicitato in un saggio del 1985 intitolato Critica del potere (Dedalo 2002). In queste pagine Honneth sostiene la sua tesi: la teoria di Habermas mistifica il significato sociale del lavoro riducendolo ad un agire strumentale, è priva di una reale riflessione sul potere e non coglie l’importanza del conflitto come fattore del mutamento sociale.

Ciò che qui ci interessa comprendere, oltre il dettaglio della critica, è come proprio da questo punto polemico emerga il progetto successivo dell’autore: interpretare lo scontro sociale come un conflitto per il riconoscimento. Tale proposta è delineata al meglio nel saggio Lotta per il riconoscimento (Il Saggiatore 2002), pubblicato nel 1992. Attraverso un attento uso di Hegel, Honneth presenta il riconoscimento come un bisogno intrinseco dell’uomo. La potenzialità e l’importanza di questo approccio emergono però quando viene applicato al piano collettivo. Anche i conflitti tra classi e gruppi sociali, anche quelli apparentemente motivati da ragioni economiche, afferma il filosofo, rispondono sempre ad uno stesso fine: l’affermazione del collettivo che può avvenire dopo il riconoscimento da parte dell’Altro. Attraverso questa interpretazione, Honneth cerca di concepire insieme conflitto sociale e progresso normativo, dando allo stesso tempo per scontata l’impossibilità di eliminare la conflittualità in una società dove sono inevitabilmente presenti gruppi portatori di visioni tra loro diverse.

La riflessione sul riconoscimento apre così la strada all’analisi della società democratica e della sua conflittualità intrinseca. Pur rimanendo in un contesto normativo, Honneth si sforza di afferrare la dinamica concreta di privazione e rivendicazione che struttura il conflitto democratico e di cogliere così il senso delle lotte sociali e la loro capacità di progresso. Seguendo questa linea interpretativa il filosofo approccia alcune categorie come libertà e giustizia (L’idea di socialismo, Feltrinelli 2016). Anch’esse, avverte, non devono essere intesi come concetti astratti ma in quanto pratiche sociali concrete, frutto di lotte e conquiste.

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