Avere vent’anni in Italia
I giovani italiani hanno mosso i loro primi passi in un Paese già in declino e, nel giro di pochi anni, sono stati marchiati a fuoco da tre crisi: 2008, 2010, 2020. A ogni colpo, la speranza nel futuro ha ceduto sempre più terreno, se non alla rabbia, quantomeno alla disillusione.
La questione giovanile è ai margini della politica. Anche chi la prende in considerazione spesso lo fa con superficialità e miopia.
Non basta destinare più soldi ai giovani, ma bisogna cambiare radicalmente visione e ricette economiche. E bisogna sciogliere il nodo dei rapporti intergenerazionali. Sbaglia chi dipinge una guerra fra vecchi e giovani. Sbaglia chi raffigura il debito pubblico come un “fardello sulle future generazioni”: anche economisti mainstream, infatti, stanno comprendendo che il debito pubblico deve essere visto come uno strumento di politica economica.
In questo articolo delineiamo una serie di proposte per tentare di rispondere agli effetti della pandemia sui giovani.
Ricostruire il welfare
Il nostro modello di welfare è fermo a un sistema che ricalca la realtà del secondo dopoguerra, quando l’obiettivo era assicurare un reddito al capofamiglia.
Se ciò ha funzionato bene fino agli anni Novanta, oggi non è più così. Questo sistema genera una società bloccata. Garantire il lavoro al cosiddetto “capofamiglia” non basta più. Lasciare indietro donne e giovani danneggia la stabilità economica.
È perciò necessaria una revisione del sistema di welfare, più equamente distribuito, che tuteli le donne e permetta ai giovani di entrare nel mondo del lavoro con salari dignitosi e con maggiori tutele. E bisogna anche pensare a misure strutturali. Un esempio: non bastano i bonus nascite, servono anche gli asili nido.
Un salario minimo
Mentre Biden annuncia che alzerà il salario minimo orario a 15 dollari, in Italia siamo ancora indietro. Il fermento nel mondo del lavoro di questi ultimi anni ha fatto emergere un dualismo pernicioso: alcuni vengono coperti dal contratto nazionale del lavoro, mentre altri sono costretti a lavori scarsamente tutelati e con paghe infime – e in questa seconda categoria rientrano molti giovani.
Un salario minimo aiuterebbe a colmare il divario. Anche fra gli economisti, un tempo scettici, molti si stanno convincendo della sua efficacia.
Far ripartire la pubblica amministrazione
In questi mesi di crisi c’è stato un accanimento crescente verso i dipendenti pubblici. I ritardi e i disagi della pubblica amministrazione italiana non sono però dovuti a fantomatici scansafatiche iper-garantiti, ma ad anni di tagli e depauperamento. Per far funzionare il Paese, serve un piano di ricambio generazionale in seno alla PA.
Ad oggi, infatti, i trentenni non sono neanche l’1% dei dipendenti. Negli ultimi anni le migliori opportunità di carriera e le maggiori assunzioni nella finanza o nei servizi hanno allontanato i giovani dalla PA. Ciò ha effetti deleteri sulla qualità dei servizi pubblici: la scarsa digitalizzazione del paese rende la macchina statale troppo lenta. Un ricambio generazionale, attraendo i talenti provenienti dalle università, porterebbe a un netto miglioramento delle capacità digitali della PA, supportata da un piano di investimenti per la modernizzazione. Un esempio interessante? Il digital government in Estonia.
Innovazione, cambiamento climatico, sostenibilità
Se vuole difendere il suo futuro, la nostra generazione deve reclamare una nuova strategia di crescita, che concili salvaguardia dell’ambiente e benessere economico.
Siamo stati abituati a pensare all’Italia come una terra il cui petrolio è il turismo. Ma in questo modo l’innovazione, motore trainante della crescita, è stata trascurata.
Non dimentichiamo poi che la crescita non deve avere soltanto un incremento, ma anche una direzione, come sottolinea Mariana Mazzucato.
Quindi, per garantire alla nostra generazione un futuro più sostenibile e un presente fatto di lavoro ed opportunità, è necessario usare la leva della politica industriale, indirizzando la crescita verso un orizzonte di sostenibilità e inclusività.
Due proposte: creare un fondo pubblico per l’innovazione (destinato, in particolare, alle piccole e medie imprese innovative) e istituire un’agenzia governativa sulla falsariga della SBA statunitense (in modo che gli investimenti siano conformi a obiettivi di sostenibilità).
Una contro-urbanizzazione giovanile
L’emergenza sanitaria ha spinto molti studenti e lavoratori a rientrare nelle province, in un’inedita diaspora dai centri metropolitani.
In vent’anni un milione di residenti è migrato dal Mezzogiorno al Centro-Nord per avere prospettive lavorative migliori. Energie creative e produttive sono fuggite nelle regioni già sviluppate, con enormi vantaggi per gli agglomerati urbani del Nord.
Questa concentrazione dei fattori di produzione non è compatibile con le politiche verdi che si vogliono promuovere in Europa. Infatti, il Nord produttivo ed esportatore è anche più inquinante. Le regioni italiane con maggiore densità di polveri totali sospese sono Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.
Quella che auspichiamo è una contro-urbanizzazione: un saldo migratorio positivo nel Sud e nelle zone rurali. Per questo serviranno politiche di investimento massicce in infrastrutture, istruzione e beni pubblici.
Scuola e università
Durante la pandemia sono emerse tutte le criticità del nostro apparato educativo, dovute a decenni di scarsi investimenti. L’aggravarsi della sperequazione socio-economica, le nuove disuguaglianze, l’aumento della dispersione scolastica, la carenza di insegnanti, i lati negativi della didattica a distanza devono apparire come problematiche non inedite, ma dis-velate dalla crisi in atto.
Una vera riforma del sistema deve recuperare il meglio della nostra eredità culturale, ma anche aprire alle novità. L’insegnamento è ancora troppo legato alla lezione frontale. Innovazioni didattiche – come la flipped classroom – aiuterebbero gli studenti a migliorare nel lavoro di gruppo e nella capacità di interazione, oltre a sviluppare i necessari strumenti per la maturazione di un pensiero critico.
Affinché le conoscenze possano trasmettersi e ampliarsi servono poi infrastrutture adatte. È necessario re-immaginare la dimensione spaziale, per una scuola che sia immersa in un contesto di biblioteche pubbliche, sale di registrazione, aule computer, luoghi di ritrovo. Perché l’istruzione non può essere solo uno strumento per trovare lavoro, ma anche e soprattutto un percorso di formazione etica della persona.
Conclusione
Come scrive Marc Bloch in “Apologia della storia”, una generazione non viene definita solo da una comunanza di età, ma anche e soprattutto da una comunanza di impronta. Il tempo storico si imprime nella vita di ognuno di noi, lasciando la traccia di un’esperienza comune. Quale potrà essere l’impronta che la nostra generazione lascerà nel futuro, in un tempo dominato dalla precarietà? Solo rifiutando il dominio dell’istantaneo sul durevole riusciremo a sciogliere questo dilemma.
Hanno contribuito per Kritica Economica: Alessandro Bonetti, Ivan Giovi, Francesco Giuseppe Laureti, Mattia Marasti, Giorgio Michalopoulos, Andrea Muratore, Sara Nocent, Anna Noci