Consapevolezza, lotta, organizzazione e «una sofisticata strategia politica» rivolta alla costruzione del «potere popolare» non riducibile al«momento elettorale». Questo è l’orizzonte di pensiero dell’ “intellettuale scomodo” Atilio Borón, settantacinquenne politologo e sociologo argentino.
Per le sue ferree posizioni contro le classi dominanti dell’America Latina e il capitalismo mondiale, è inviso a molti, compresa quella classe politica democratica che nel subcontinente latinoamericano si trova in uno stato di evidente crisi di identità e di rappresentanza. Ma Borón non è amato neanche da alcuni gruppi e movimenti “radicali”, per aver sostenuto in passato governi “progressisti” di vario tipo.
Formatosi per buona parte negli Stati Uniti, professore per diversi anni presso la Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales (FLACSO) e segretario generale del Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (CLACSO), i due principali centri latinoamericani di scienze umane e sociali della regione; titolare di cattedra all’Università di Buenos Aires, direttore del Programa Latinoamericano de Educación a Distancia presso il Transnational Institute e direttore del Centro de Investigaciones Europeo-Latinoamericanas; destinatario di numerosi premi e riconoscimenti, fra cui il premio dell’UNESCO José Martí per il contributo all’integrazione dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Fra i suoi libri pubblicati in Italia ricordiamo Impero e imperialismo. Una lettura critica di Michael Hardt e Antonio Negri (Edizioni Punto Rosso, 2003), e Crisi di civiltà e agonia del capitalismo. Dialoghi con Fidel Castro (Natura Avventura Edizioni, 2012).
Il suo impegno di intellettuale militante ha pochi eguali. Il suo profilo di accademico e quello di attivista vanno di pari passo contro conformismi, ingiustizie, imbarbarimento politico, culturale e sociale e degrado delle condizioni materiali dell’esistenza delle classi svantaggiate. Autore di numerose opere di scienza sociale, non ha mai tenuto segreto il proprio orientamento marxista, così come non ha mai nascosto il suo impegno a favore di quei governi di sinistra (quello cubano e, in misura minore, quelli di Venezuela, Bolivia e Ecuador) che, in America Latina, a suo avviso, avrebbero realmente utilizzato l’eguaglianza – economica, sociale e politica – come criterio fondamentale di una buona società.
Ferreo sostenitore della necessità di una battaglia da condurre anche sul piano delle idee contro il «nemico di classe», in un contesto internazionale che vede il declino del potere unilaterale nordamericano, la redistribuzione degli equilibri geopolitici mondiali – tema che affronta nei termini di “nuovi imperialismi” aggressivi nel suo noto lavoro América Latina en la geopolítica del imperialismo, Ediciones Luxemburg, 2012 – e di crescente diseguaglianza economica, marginalizzazione, impoverimento progressivo delle classi popolari, devastazione dell’ambiente, nella lettura di Borón del mondo non esiste altro obiettivo e soluzione per la sinistra latinoamericana e mondiale se non la rottura rivoluzionaria e, più in generale, un “socialismo del XXI secolo”.